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**Monti resta, noi che facciamo?**Scritto da Claudio Conti Venerdì 28 Settembre - Contropiano.
È presto per dire “ormai è fatta”, ma le premesse sono
state poste tutte. La sortita newyorkese del “Professore” ha tolto il velo di
incertezza che circondava la prossima legislatura: il “governo tecnico”
proseguirà anche dopo le elezioni, qualsiasi sia il loro risultato, perché così
voglio, pretendono e impongono “i mercati”, Wall Street, la Casa Bianca, la
Germania e l'Europa.
«Non penso ci sarà una seconda occasione, ma se dovesse
servire io ci sarò». La decodifica diventa quasi inutile, ma per quel poco che
serve va fatta. La crisi è lunga (l'ha detto lui stesso all'Assemblea
dell'Onu), non ci sono soluzioni alle viste, la barca italiana è tra le più
fragili nel mare in tempesta; i partiti “locali” esprimono una classe politica
inadeguata e rissosa, non hanno ancora ben compreso il mutamento di realtà che
la crisi economica sta producendo. Ma bisogna rispettare le scadenze formali
della democrazia, anche se è chiaro quanto questa sia per “il potere” ormai un impiccio, più che uno strumento di costruzione
del consenso.
Ad aprile ci saranno perciò le elezioni politiche (anzi:
un election day per rinnovare anche alcuni consigli regionali già in crisi o
che lo saranno presto, il Comune di Roma che diventa “area metropolitana”
cancellando la Provincia, ecc), anche se ancora non si sa con quale legge
andremo alle urne.
La sortita del Professore risolve anche questo problema:
ci andremo con una legge elettorale proporzionale (con o senza premio di
maggioranza per il primo partito), perché in tal modo è assolutamente certo che
non ci sarà alcuna maggioranza politica sufficientemente coesa e stabile.
Quindi si creeranno quelle “circostanze particolari” per cui sarà
indispensabile “richiamare in servizio permanente effettivo” (l'espressione
militare è stata pronunciata da Pierferdy Casini, ed è tutta un programma) Monti ed almeno una parte della sua squadra di
governo.
Monti ha scelto con cura il luogo della sua esternazione.
Ha parlato al Council on foreign relations di New York, una sorta di
istituzione non formalizzata che ha tra i suoi direttori ex segretari di Stato
come Madeleine Albright e Colin Powell. Insomma, uno di quei centri – al pari
del Bilderberg o la Trilateral – che hanno da qualche decennio sostituito i
“salotti buoni” e i “circoli del golf”
nazionali, come luogo di formazione delle principali
scelte politiche; perlomeno di quelle “condivise”. Tra coloro che gli
rivolgevano la domanda “resti o no?”, per capirci, c'è gente come David M.
Rubinstein, cofondatore del gruppo Carlyle, “che gestisce
oltre 150 miliardi di dollari in almeno tre continenti” e ha vantato tra i suoi
dirigenti George Bush padre, Frank Carlucci, John Major, nonché – in Italia -
Chicco Testa, Letizia Moratti e Marco De Benedetti (mica il proprietario di
Repubblica, solo il figlio). Soldi da sposstare a seconda della risposta.
In questo tempio del capitale multinazionale Monti ha
messo sul piatto la sua “disponibilità fornendo una spiegazione assolutamente
tecnico-finanziaria, inconfutabile: “dato che mi trovo in un contesto in cui
quotidianamente tutti nei mercati manifestano preoccupazione e incertezze su
cosa succederà dopo le elezioni, offro solo elementi di rassicurazione
oggettiva”. Sono insomma io il garante dell'affidabilità dell'Italia come
fedele esecutore di quanto altrove viene deciso. Detto altrimenti: resta,
Rubinstein, ti faremo guadagnare...
Naturalmente questo distrugge la credibilità delle
elezioni di aprile. E diventa un problema serio per i partiti che devono
“motivare” l'elettorato. Che senso ha andare a votare se si sa già che andremo
avanti con Monti qualsiasi partito scegliamo? L'unico senso possibile sarebbe
tra un voto allo schieramento pro-Monti e uno a quelli contrari. Una sorta di
bipolarismo “forzoso” che prosegue il ventennio berlusconiano alle nostre
spalle senza però più il pathos dell'antiberlusconismo d'accatto.
Per il Pd è una notizia mortale, che lo ha immediatamente
spaccato al suo interno. I democristiani come Fioroni i e Letta gongolano nel
sapersi blindati anche in futuro; Bersani starà cominciando a pensare alla
pensione, e persino Renzi intuisce di esser stato “rottamato” prima ancora di partire col camper.
Diventa un problema anche per il “partito di repubblica”,
costretto ormai ad arrampicarsi sugli specchi: “Obama e Wall Street tifano
Monti, è lui il vero anti-Berlusconi"; o anche “La Casa Bianca confida nel
premier italiano per proseguire il dialogo con la Germania. I timori degli
Stati Uniti: Silvio può tornare?". Silvio?
Come ricorda giustamente Monti, “mi ha scoperto lui, nel
'94. nominandomi commissario europeo”. Ma quale “ vero
anti-Berlusconi”...
Ma è un problema anche per l'opposizione sociale, che
deve dare immediatamente segni di vita (prima e dopo il No Monti Day” del 27
ottobre). Segni di vita sul piano politico, perché “lottare” nelle singole situazioni non basta. Si dovrebbe puntare a
vincere, qualche volta...
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