Solo 6 punti in più dopo la «svolta populista» di venerdì scorso. La finanza globale considera il «ritorno del Caimano» un film che non si farà mai
Non serviva essere esperti di speculazione finanziaria per sapere che la sortita berlusconiana – «decideremo se togliere la fiducia al governo immediatamente» – avrebbe avuto un effetto visibile: lo spread che aumenta. E così è andata: il differenziale tra Btp e Bund tedeschi è salito nella giornata di ieri fino a 353 punti. Nemmeno tanto, appena 6 punti. Come se i mercati avessero ormai archiviato il Cavaliere e tutte le sue giravolte. Una leggera increspatura, insomma, giusto per far capire che se questo paese è tanto fesso da voler ripercorrere una strada chiusa. il suo destino è già segnato.
Meno di un anno fa quel maledetto spread era arrivato a 575 punti, con Silvio barricato a palazzo Chigi. Forse avrebbe resistito ancora qualche giorno, ma in due ore il titolo Mediaset perse il 12%, tanto da esser sospeso dalle contrattazioni per eccesso di ribasso. Berlusconi uscì a mani alzate e Monti prese il suo posto appena 24 ore dopo esser stato innalzato al ruolo di senatore a vita. Se qualcuno crede che sia stato solo un bizzarro «incrocio di coincidenze», può ritirarsi in convento. Ieri il Biscione ha perso appena il 2,1%, in una giornata negativa per tutte le piazze del Continente (Piazzaffari -1,5%) e con Wall Street chiusa per uragano in arrivo.
Dobbiamo concluderne per forza di cose che Berlusconi è politicamente morto e sepolto nella considerazione globale. Il suo «ritorno» è ormai solo una favoletta per cercare di tener buoni quanti, a sinistra, hanno molto da ridire sulle politiche messe in atto dal governo «tecnico»; ma sui tavoli che contano – le piazze finanziarie e le riunioni della troika (Bce, Fmi, Ue) – le sue minacce suonano ormai come il ruggito di una pulce.
La conferma diretta, in forma algida e velenosa più del solito, è venuta dallo stesso Mario Monti, impegnato a Madrid in colloqui con Mariano Rajoy. Perseguitato da giornalisti obbligati a tener d’occhio solo la provincia italiana, prima si è mostrato sorpreso dal possibile collegamento tra andamenti dello spread e comportamenti berlusconiani: «Non ci avevo pensato». Salvo poi dire che «lo spread attuale è ingiustificato; per qualche ragione che mi sfugge era a 330, oggi è a 350, comunque molto meno di un anno fa quando era a 575». Venti punti, invece di 240; questo è quanto Silvio «pesa» oggi.
Infine si è dilungato con noncuranza sulla sortita suicida del fu Caimano: «Minacce di ritiro della fiducia a questo governo non possono essere fatte, perché non lo vivremmo come una minaccia. Siamo stati richiesti di dare un contributo in un momento difficile di questo paese. Pensiamo di stare avendo buoni risultati, ma non spetta a noi valutarlo. Sono ‘minacce’ che a noi non toglierebbero niente, se non l’attività di governo che non è stata da noi ricercata».
Questo, viene ricordato, è un governo che dipende da una maggioranza parlamentare solo «pro forma», per la necessità di mantenere una legittimità democratica esteriore. Ma la sostanza è altrove; la forza o la legittimazione vengono da poteri molto ben definiti, ma soprattutto sovrastanti il cortile italico. L’esecutivo in carica può benissimo esser fatto cadere, ma cosa accadrebbe poi «è una domanda da rivolgere alle forze politiche, ai mercati, non a me. Non voglio neanche speculare su questo». Non ce né bisogno.
Naturalmente, lo strapotere «europeo» sulle sorti di questo paese è ancora in fase di strutturazione istituzionale. Mancano molti tasselli prima di poter considerare chiusa ogni possibilità di ritorno al passato, anche se la strada – tra un Fiscal compact e il «pareggio di bilancio» inserito a forza nella Costituzione – è ampiamente tracciata. Lo sfaldamento del Pdl indica però una dinamica sociale, prima che banalmente politica: il suo «blocco sociale» di riferimento (in parte coincidente quello della Lega), quella «borghesia del reddito» cresciuta tra commesse pubbliche ed evasione fiscale, imprenditoria minimale («piccolo è bello», «padroni a casa nostra») e caporalato reale, si sta sciogliendo man mano che la crisi avanza; e appare chiaro che la «ripresa» – se mai ci sarà – avrà altri piloti al posto di guida. I settori «avanzati» dell’imprenditoria sanno che solo dietro «il montismo» potranno avere una chance in un mondo fin troppo competitivo per le loro ossa. Per tutti gli altri, semplicemente, non ce n’è più.
Meno di un anno fa quel maledetto spread era arrivato a 575 punti, con Silvio barricato a palazzo Chigi. Forse avrebbe resistito ancora qualche giorno, ma in due ore il titolo Mediaset perse il 12%, tanto da esser sospeso dalle contrattazioni per eccesso di ribasso. Berlusconi uscì a mani alzate e Monti prese il suo posto appena 24 ore dopo esser stato innalzato al ruolo di senatore a vita. Se qualcuno crede che sia stato solo un bizzarro «incrocio di coincidenze», può ritirarsi in convento. Ieri il Biscione ha perso appena il 2,1%, in una giornata negativa per tutte le piazze del Continente (Piazzaffari -1,5%) e con Wall Street chiusa per uragano in arrivo.
Dobbiamo concluderne per forza di cose che Berlusconi è politicamente morto e sepolto nella considerazione globale. Il suo «ritorno» è ormai solo una favoletta per cercare di tener buoni quanti, a sinistra, hanno molto da ridire sulle politiche messe in atto dal governo «tecnico»; ma sui tavoli che contano – le piazze finanziarie e le riunioni della troika (Bce, Fmi, Ue) – le sue minacce suonano ormai come il ruggito di una pulce.
La conferma diretta, in forma algida e velenosa più del solito, è venuta dallo stesso Mario Monti, impegnato a Madrid in colloqui con Mariano Rajoy. Perseguitato da giornalisti obbligati a tener d’occhio solo la provincia italiana, prima si è mostrato sorpreso dal possibile collegamento tra andamenti dello spread e comportamenti berlusconiani: «Non ci avevo pensato». Salvo poi dire che «lo spread attuale è ingiustificato; per qualche ragione che mi sfugge era a 330, oggi è a 350, comunque molto meno di un anno fa quando era a 575». Venti punti, invece di 240; questo è quanto Silvio «pesa» oggi.
Infine si è dilungato con noncuranza sulla sortita suicida del fu Caimano: «Minacce di ritiro della fiducia a questo governo non possono essere fatte, perché non lo vivremmo come una minaccia. Siamo stati richiesti di dare un contributo in un momento difficile di questo paese. Pensiamo di stare avendo buoni risultati, ma non spetta a noi valutarlo. Sono ‘minacce’ che a noi non toglierebbero niente, se non l’attività di governo che non è stata da noi ricercata».
Questo, viene ricordato, è un governo che dipende da una maggioranza parlamentare solo «pro forma», per la necessità di mantenere una legittimità democratica esteriore. Ma la sostanza è altrove; la forza o la legittimazione vengono da poteri molto ben definiti, ma soprattutto sovrastanti il cortile italico. L’esecutivo in carica può benissimo esser fatto cadere, ma cosa accadrebbe poi «è una domanda da rivolgere alle forze politiche, ai mercati, non a me. Non voglio neanche speculare su questo». Non ce né bisogno.
Naturalmente, lo strapotere «europeo» sulle sorti di questo paese è ancora in fase di strutturazione istituzionale. Mancano molti tasselli prima di poter considerare chiusa ogni possibilità di ritorno al passato, anche se la strada – tra un Fiscal compact e il «pareggio di bilancio» inserito a forza nella Costituzione – è ampiamente tracciata. Lo sfaldamento del Pdl indica però una dinamica sociale, prima che banalmente politica: il suo «blocco sociale» di riferimento (in parte coincidente quello della Lega), quella «borghesia del reddito» cresciuta tra commesse pubbliche ed evasione fiscale, imprenditoria minimale («piccolo è bello», «padroni a casa nostra») e caporalato reale, si sta sciogliendo man mano che la crisi avanza; e appare chiaro che la «ripresa» – se mai ci sarà – avrà altri piloti al posto di guida. I settori «avanzati» dell’imprenditoria sanno che solo dietro «il montismo» potranno avere una chance in un mondo fin troppo competitivo per le loro ossa. Per tutti gli altri, semplicemente, non ce n’è più.
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