Il premier Mario Monti, intervenendo in collegamento a Palermo durante l’inaugurazione di un centro biomedico della fondazione Ri.Med., ha rilasciato una dichiarazione preoccupante: «Il nostro sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento. La posta in gioco è altissima».
Monti ha ribadito inoltre che «il momento è difficile, la crisi ha colpito tutti e ha impartito lezioni a tutti. E il comparto medico non è stato esente né immune dalla crisi». Il punto, dunque, è quello del finanziamento. Quello che Monti non dice, però, è che le difficoltà di finanziamento del sistema sanitario non dipendono direttamente dalla crisi economica. In primo luogo, dipendono dal decentramento, ovvero dalla regionalizzazione della sanità. In secondo luogo, dipendono dalle scelte del governo e della maggioranza parlamentare sia sul fiscal compact, che impone vincoli di bilancio molto stretti, sia a proposito di fisco e di ripartizione delle risorse tra i vari comparti statali. Il decentramento avrebbe dovuto risolvere i problemi dell’Italia, a partire dalla sanità. In realtà, li ha accresciuti favorendo il collegamento, non sottoposto a controlli centrali, tra ceto politico locale e imprese private sanitarie locali, che ha fatto lievitare i costi. Il problema è costituito non solo dalla corruzione, ma dall’inserimento nel sistema dell’impresa privata, che comporta la necessità di un profitto e quindi di un accrescimento della spesa statale. Un problema specifico è costituito dal federalismo fiscale, praticamente una finzione, visto che è lo Stato a decidere di quanto si possa aumentare le imposte locali e quanta parte ne vada agli enti locali. La fonte principale di finanziamento della sanità pubblica, per circa il 40 per cento, è l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, il risultato di un pastrocchio in cui alcune imposte già esistenti sono state messe insieme con i contributi sanitari per i lavoratori, cioè con una parte del salario indiretto.
L’Irap è stata da sempre oggetto di un attacco lobbistico da parte della Confindustria e delle grandi imprese, che ha portato alla sua progressiva riduzione nel corso degli anni, contribuendo ad inaridire le fonti di finanziamento della sanità pubblica. Un ulteriore colpo è stato inferto dalla Legge di stabilità, che già nelle stesura originaria vedeva la riduzione dei trasferimenti statali alle regioni: un miliardo di euro in meno. Riguardo alla sanità, oltre ai provvedimenti già adottati, si prevede un taglio di 600 milioni per il 2013 (500 in beni e servizi non sanitari e 100 in dispositivi medici), e un miliardo per il 2014 e per il 2015, di cui il taglio per i dispositivi medici ammonta a 500 milioni annui. Sempre la Legge di stabilità, nella sua stesura definitiva, prevede una ulteriore riduzione dell’Irap per le imprese. L’importo deducibile per un lavoratore dipendente sale da 4.600 a 7.500 euro e per un lavoratore donna o giovane fino a 35 anni da 10.600 a 13.500. Nel Mezzogiorno, l’importo è ancora più alto: da 9.200 a 15.000 e per giovani e donne da 15.200 a 21.000. Non consideriamo poi l’aumento della dotazione, deciso dalla maggioranza parlamentare, a quasi un miliardo nel 2013 e a 800 milioni nel 2014 della detassazione per il pagamento di straordinari, lavoro notturno e festivo, presentato impropriamente come “salario di produttività”.
Dunque, se oggi il sistema sanitario non ha risorse è perché sta facendo le spese di una redistribuzione del salario, indiretto e diretto, verso il profitto, cioè verso le imprese in genere. In effetti, Monti non è credibile neanche quando dice che tutti i settori pagano la crisi. Infatti, il ministero della Difesa vede crescere la sua dotazione, che passerà dai 19,96 miliardi del 2012 ai 20,55 miliardi del 2013, azzerando i tagli triennali previsti dal governo Berlusconi. A beneficiarne saranno gli acquisti di nuovi sistemi d’arma, tra cui i cacciabombardieri F35, la cui spesa salirà dai 2,48 ai 3,63 miliardi, mentre migliaia di militari saranno licenziati, preferendo evidentemente garantire le commesse alle imprese belliche. Inoltre, il bilancio della Difesa non tiene conto della spesa per le missioni all’estero e dei fondi per i sistemi d’arma contenuti nel bilancio del Ministero dello sviluppo economico, che dovrebbero ammontare insieme a circa due miliardi e mezzo.
Le dichiarazioni di Monti sulla necessità di reperire “altre fonti di finanziamento” potrebbero alludere al proposito di incrementare ancora la presenza dei privati, a partire dalle assicurazioni, nella sanità pubblica o a forme come quelle in vigore negli Usa che sono universalmente note per la loro inefficacia. Infatti, secondo Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao Assomed, «quando Monti parla di dover trovare nuove modalità di finanziamento, sembra voler aprire al privato, magari con un modello come il Medicare statunitense. Forse è già in campagna elettorale?».
Peccato che Medicare abbia contribuito a rigonfiare il debito pubblico Usa a livelli ingestibili, malgrado non offra un servizio universalistico come quello italiano, coprendo appena il 48% dei costi di assistenza per gli anziani oltre i 65 anni e i giovani disabili. Già oggi andare nelle strutture pubbliche, a causa dell’aumento dei ticket, è in alcune regioni tutt’altro che più conveniente rispetto ai privati. Le parole di Monti potrebbero segnare l’inizio del definitivo smantellamento del servizio sanitario nazionale.
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