di ALESSANDRO ROBECCHI –
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E’ passato un anno e qualche giorno. Ho aspettato (non potevo fare altro, del resto) e ho visto. La disoccupazione è al suo record storico. L’occupazione giovanile (quella per cui la riforma del lavoro doveva fare qualcosa) è crollata al suo minimo storico (36,5 giovani tra i 15 e i 24 anni su 100 sono disoccupati). Il precariato (che la riforma del lavoro doveva combattere) è aumentato a dismisura. Il divieto di cumulo di contrattini che doveva portare ad assunzioni a tempo indeterminato è naufragato tra mille eccezioni e deroghe. I precari della pubblica amministrazione sono prorogati fino a luglio, così di una riforma fatta col culo (nostro, soprattutto) si dovrà occupare il governo a venire, quando madama Fornero sarà tornata alle sue gardenie e alla sua cattedra. Il debito pubblico non è diminuito, anzi è aumentato. Il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito. Gli attacchi alla scuola pubblica sono quotidiani. L’attacco velato al sistema sanitario nazionale sembra una minaccia di tipo mafioso.
Non c’è niente di bello, né di consolatorio nel dire quella frase odiosa che è “io l’avevo detto”, ma insomma, io l’avevo detto. Ora, un caro pensiero va a tutti quei ragazzi, lavoratori, precari, salariati, dipendenti e semischiavi che per un attimo almeno ci avevano creduto, ci avevano sperato. A quelli che dicevano: massì, levate questo articolo 18, tanto io non l’avrò mai. A quelli che dicevano: massì, un po’ più di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, così ci sarà più occasione di entrata. Accecati dalla mancanza di prospettive, angosciati, indifesi, scambiavano i preparativi della nuova rapina per una buona azione. A loro, con affetto, va la solidarietà e l’appoggio che bisogna dare ai rapinati. Anche se per qualche mese hanno parlato bene del rapinatore. Magari, la prossima volta non si sbagliano (questa è una fesseria, si sbaglieranno di nuovo).
Alessandro Robecchi
(30 novembre 2012)
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