Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

domenica 7 aprile 2013

La lancia e lo scudo

Il fantasma della speculazione nello scontro valutario

Francesco Schettino - contraddizione -

Avete presente quel sabato di un fine settimana qualsiasi di un mese qualsiasi di un anno ormai già archiviato, quando, non più tardi delle ore 14, pensavate di servirvi il miglior armagnac della vostra riserva - sì, proprio quello del 1986 - preludio di una irresistibile pausa di riposo, guadagnata dopo quaranta e più ore di lavoro trascorse in azienda nei cinque giorni precedenti, la cui gran parte era stata, come di consueto, espropriata dal padrone, proprietario della vostra forza lavoro? Ricordate quando, in quell'esatto istante, mentre con un movimento guidato da una lentezza inusuale facevate tintinnare sulle pareti della tazzina un cucchiaino con l'intento di addolcire il caffè, vi voltaste repentinamente verso il balcone della cucina?
Esattamente in quei momenti il vostro odorato aveva comunicato alla parte più razionale del cervello un segnale di pericolo: sottile come un filo, ma pesante come un macigno, un puzzo misto di plastica e legna arsa, incuneatosi tra le ante socchiuse della porta-finestra era giunto proprio alla base delle vostre narici indicandovi che, in un indistinguibile locale, di certo non così lontano da poter lasciarvi intendere di stare al sicuro, qualcosa stava bruciando.
La prima idea che aveva attraversato la vostra mente era di certo quella più ovvia, sebbene catastrofica, ma vi sembrava del tutto impossibile che, come due anni prima, a causa di un problema strutturale, l'impianto elettrico del piano sottostante avesse causato un cortocircuito, riducendo in cenere mobilio ed abitanti di allora:
tecnici e periti con tanto di certificati e voci rasserenanti, nei giorni appena successivi alla tragedia, avevano assicurato che il problema non si sarebbe mai più ripresentato e che le misure adottate erano ampiamente garanti della vostra sicurezza ed incolumità: e allora, forse si trattava di un zighinì ampiamente bruciacchiato dalla cuoca eritrea del primo piano? O forse di una maldestra manovra dell'operaio tuttofare, al lavoro (in nero) anche nel fine settimana per assecondare tutte le maniacali volontà piccolo-borghesi della pensionata del piano di sopra tutta protesa a mantenere vivo quel senso estetico di una classe media che ormai non esiste più? Arrivaste persino ad ipotizzare che si fosse trattato solamente di una soggettiva distorsione olfattiva - in altri termini una sensazione illusoria -, dovuta ad una recente sinusite, curata alla meno peggio, per evitare una decurtazione del già minimo stipendio conseguente ad un'assenza di uno o più giorni dal posto di lavoro.
Sapendo già che quest'ultima sarebbe stata l'ipotesi prescelta, solo perché la più comoda da adottare, in quanto avrebbe potuto permettervi di apprezzare, dopo un po' di caffè, l'adorato sapore amarognolo dell'armagnac e, di seguito, garantirvi almeno un'oretta di riposo, appena vuotato il bicchiere, di certo restaste ben consci del fatto che il dubbio martellante di un'imminente potenziale tragedia, dovuta alla congettura più ragionevole e pertanto plausibile di quelle enumerate - sebbene priva di una prova evidente -, avrebbe di certo condizionato una parte dei vostri auspicati sogni pomeridiani. Ma nonostante tutto, decideste di assopirvi, abbandonando anima e corpo alle vigorose braccia di Morfeo.

In una situazione assimilabile
per molti versi, in termini di incertezza ed ansia, è presumibile che gli agenti, sia politici che economici, del capitale legato all'euro si trovino invischiati da qualche settimana a questa parte. Al ridosso del rinnovamento del parlamento italiano, nel pieno dello scandalo del Ppe, partito di governo spagnolo, e in coincidenza dell'indagine sulle malefatte di Mps - che, in qualche modo, già coinvolge altri importanti istituti bancari legati all'euro - quel timido ottimismo esternato dagli operatori europei nell'ultimo trimestre del 2012, sembra essere stato del tutto soppiantato da un timore diffuso di una potenziale ricaduta nei medesimi problemi che hanno attanagliato il capitale legato all'euro nel biennio appena passato. Tuttavia, per individuare con oculatezza le ragioni sottostanti a tale mutamento di vedute, è utile ripercorrere le più recenti tappe della crisi.

In quel maledetto ultimo trimestre del 2008, detonarono i bubboni che negli ultimi decenni si erano tremendamente alimentati di materia infetta sotto la pelle del modo di produzione capitalistico mondiale: come abbiamo più volte tentato di spiegare, infatti, per tale spettacolare fenomeno non è esistita né una sola causa particolare - fuorvianti, pertanto, tutti i tentativi di trovare uno o più capri espiatori (come ad esempio le agenzie di rating) - né un luogo prediletto. Il naturale sviluppo delle forze produttive del capitalismo ha permesso, proprio in quel periodo, l'esplosione di tutte le contraddizioni immanenti che negli anni si erano andate accumulando. Dunque, dati alla mano, il capitale mondiale, nella sua interezza, è stato colpito dagli effetti di una sovrapproduzione di merci e di capitale, e quindi da una forte difficoltà di autovalorizzazione, fenomeni che sono emersi dapprima negli Stati uniti d'America - in quanto paese più avanzato, in termini quantitativi, nella produzione e circolazione di merci e capitali - ma che rapidamente si sono estesi, proprio per la dimensione mondiale del capitale, in ogni angolo del pianeta.
Già nei momenti appena successivi, nonché nelle settimane che hanno seguito il settembre del 2008, le dichiarazioni schizofreniche dei più importanti rappresentanti istituzionali del capitale mondiale, mostravano come, in preda a vere e proprie crisi di panico, una gran parte della classe dominante, forse per la prima volta, prendesse in considerazione la possibilità che le leggi dell'attuale modo di produzione, se non proprio capovolte, avrebbero potuto subire dei mutamenti talmente profondi da cambiare gran parte degli assetti che nei secoli il capitalismo aveva sedimentato. Agendo con indiscutibile scaltrezza, la classe dominante ha fatto leva sulla pressoché completa assenza di coscienza di quella subalterna e quindi sulla sua capacità di ingoiare amarissime pillole ideologiche che giustificassero politiche orientate a stimolare misure antagonistiche alla crisi: esse sono consistite principalmente nella riduzione del salario sociale, ossia nell'aumeto della popolazione disoccupata, nella tendenza ribassista della dinamica salariale, nel peggioramento delle condizioni di lavoro e nella polverizzazione della cosiddetta spesa sociale. Ottenendo, attraverso queste abili manovre, risultati che sono andati probabilmente al di là dell'immaginabile, la classe dominante e i suoi agenti sono riusciti a tenere sufficientemente a bada il naturale conflitto sociale, concentrandosi, pertanto, su quello interno alla propria classe che, principalmente, si è giocato sul terreno di contrapposizione euro-dollaro e che, data la gravità della situazione, si è sganciato dai consueti, benché ripidi e tortuosi, binari della concorrenza capitalistica [cfr. l'eutanasia del banditore, no. 129].

Codesta conflittualità valutaria
ha raggiunto il proprio acme all'inizio del 2010 quando molti tra gli agenti più rilevanti del capitale legato alla valuta statunitense hanno deciso di espletare un formidabile attacco ai fratelli nemici legati alla valuta unica europea. L'attacco fu sferrato, attraverso un'ingente movimentazione di strumenti derivati, al tallone d'Achille dell'euro, ossia ai cosiddetti piigs, e più in particolare al paese, tra questi, che presentava oltre ad una situazione dei conti pubblici oltremodo compromessa e taroccata, anche una struttura industriale particolarmente debole: la Grecia. Successivamente è stato il turno di Italia e Spagna, il cui andamento dell'ormai celebre spread è stato un buon indice del livello di speculazione che si andava accumulando sui rispettivi titoli del debito pubblico.

Il risultato più immediato è stato quello di trasferire da una parte (quella statunitense) all'altra (Europa) dell'Atlantico gran parte degli effetti più nefasti dell'esplosione della crisi che, giova sempre ricordarlo, è emersa negli Stati uniti, paese che ancora oggi vanta il debito pubblico e privato più elevato del mondo e che periodicamente si avvicina pericolosamente all'orlo del burrone. A corredo di ciò, è utile riportare alla memoria il rischio di default paventato ad inizio a-gosto 2011, i pericoli connessi al fiscal cliff scongiurati solo in "zona Cesarini", nel 2012 e l'attuale certa recessione in cui gli Usa finirebbero, come ricordato recentemente da Obama, se non venisse innalzata la soglia del debito pubblico ammissibile (è interessante da questo punto di vista come l'approccio europeo e statunitense per molti versi appaia del tutto discordante).
In ogni caso, grazie alla possibilità della Federai reserve [Fed] di agire da prestatore di ultima istanza, ossia di stampare moneta per finanziare il governo attraverso l'acquisto diretto dei titoli del debito pubblico federale, le politiche dei quantitative easing [qe] ossia il pompaggio di migliaia di dollari in pochi anni (circa 2500 mrd $ nelle sole due prime tranches), hanno sortito i loro effetti. Generando una liquidità pressoché gratuita, hanno permesso sia ai grandi capitali di poter riprendere o alimentare le proprie operazioni - principalmente di natura speculativa - sia a quelle aziende che, per la loro devastante situazione non a-vrebbero potuto avere accesso al credito ordinario perché incapaci oggettivamente di fornire garanzie di restituzione delle somme di cui necessitavano, di poter disporre di un po' di ossigeno e di aggirare, almeno per un lasso temporale limitato, il cosiddetto credit crunch.
Nella prima parte del 2012 erano in molti ad essere disposti a scommettere sulla possibile scomparsa, in tempi non necessariamente dilatati, della valuta unica europea: in tanti, compresa la stampa ben accreditata dalla borghesia, sostennero l'eventualità di prevedere un euro a due velocità, in modo da svincolare i paesi apparentemente più solidi, Germania in primis, da quelli in maggiore difficoltà, piigs innanzitutto. Anche se le ipotesi a partire da questa idea spesso e volentieri raggiungevano dei livelli di assoluta assurdità, esse erano stimolate dalla permanente incapacità delle istituzioni europee di riuscire a reagire ad un flusso di capitale fittizio così forte e perdurante. Le cosiddette "politiche -di austerity" orientate alla riduzione del debito, in quel periodo iniziavano concretamente a generare un quadro devastante per quel che concerne la condizione dei lavoratori - ponendo, pertanto, a repentaglio la "stabilità" sociale - e riuscendo, peraltro, nel difficile scopo di accrescere la cifra che ancora segue il segno negativo dell'andamento del pil nella quasi totalità dei paesi più indebitati.
Forse perché anche intimoriti dal fatto che dinanzi ad una condizione del genere i lavoratori potessero finalmente destarsi, ma più probabilmente per rialzarsi da una posizione che li vedeva obiettivamente in grande difficoltà, gli agenti del capitale legato all'euro, dopo un'estate particolarmente turbolenta, decisero di utilizzare uno strumento che, sino a quel punto, era stato del tutto escluso, proprio per l'assetto normativo che ad esso sottostava. Quando il presidente della Bce, Draghi - uomo di Goldman Sachs, è sempre bene tenerlo a mente - dichiarò pubblicamente nel settembre 2012 che si sarebbe fatto di tutto pur di difendere l'euro, allora molti dei capitali che avevano accumulato lauti profitti attraverso operazioni speculative ai danni dei titoli del debito pubblico degli stati europei, compresero che qualcosa potesse effettivamente cambiare. È stato pertanto elaborato un artifizio che, almeno in parte, ha svincolato la Bce da quanto previsto dal trattato - ossia di non poter agire come prestatore di ultima istanza -; si chiama piano Omt [Outright monetary transactions] e fa parte dell'Ems, ossia il meccanismo di stabilità monetaria, che, sebbene dotato di un fondo limitato (650 mrd €) e per questo probabilmente inadeguato dinanzi a potenziali forzature speculative, almeno per il periodo appena passato ha garantito un momentaneo allentamento della pressione sul debito pubblico dei paesi più deboli [cfr. no. 141].
La rilevanza di questa manovra, sebbene indirettamente, è stata confermata dalla pressoché contemporanea contromossa adottata dalla Fed: probabilmente per ovviare alla possibilità che il focolaio della recessione potesse ritornare nella dimora da cui aveva preso spunto e si era dapprima fortemente alimentato, Bernanke, presidente della Federai reserve, ha varato la terza ondata di quantitative easing. Tale strumento di politica monetaria garantirà all'economia statunitense su base annuale circa 1500 mrd $, importo che, oltretutto, vale solo come limite minimo in quanto, qualora le condizioni del mercato del lavoro e, più in generale, della produzione, non dovessero dare segni di inversione di tendenza, la Fed avrà mandato di stampare un numero di biglietti verdi in maniera pressoché illimitata (la manovra è stata chiamata, per questa ragione, open ended). Se a questa si aggiunge, oltretutto, che in contemporanea è stata varata l'operation twist - che consente alla Fed di acquistare titoli del debito a lungo termine per 85 mrd $ al mese - si può comprendere con chiarezza che se il capitale legato all'euro si è dotato di un discreto scudo, di certo quello vicino al dollaro non è rimasto a guardare, affilando per bene, al contrario, le lance del proprio arco.

Gli ultimi mesi del 2012
hanno mostrato un andamento del mercato dei titoli del debito pubblico dei piigs notevolmente più stabile: è evidente che tale forte presa di posizione da parte delle autorità europee abbia, almeno nell'immediato, agito come deterrente nei confronti del capitale fittizio sempre in attesa di intervenire e sconvolgere gli assetti politici ed economici dei paesi aderenti all'area dell'euro. Del resto, in una fase in cui il livello di accumulazione del capitale mondiale si è adagiato asintoticamente sullo zero, e non va profondamente in negativo solo grazie alla formidabile crescita di quella che ormai è riconosciuta come prima potenza commerciale mondiale (la Cina), il livello di asperità con cui si combatte il conflitto intercapitalistico è ovviamente aumentato: la stessa decisione della Bce di creare uno "scudo" rimanda chiaramente al fatto che, da qualche parte, e neanche troppo lontano, si annidi un esercito dotato di intenti tutt'altro che pacifici.

Tuttavia, a fronte di un sostanziale miglioramento degli indici di borsa - in molte "piazze" europee, e non solo, si è verificato quel fenomeno definito in termini tecnici rally di fine anno - i risultati in termini di accumulazione di capitale sono andati generalmente in direzione opposta. In sostanza, mentre i titoli di borsa si sono comportati come se la crisi fosse ormai superata, la produzione e la circolazione di merci è rimasta al palo e in molti paesi ha continuato ad alimentare la tendenza recessiva già inaugurata negli scorsi anni. Da questo punto di vista è importante sottolineare come l'indice sintetico Dow Jones, al pari dell'omologo nipponico, abbiano persino superato i valori (già di per sé gonfi) registrati prima del crollo di Lehman Brothers. Solo alcuni, tra cui persino il sole-24ore [cfr. Longo, 5.2.2013], hanno sottolineato in maniera allarmante tale discrepanza in quanto, con grande probabilità, essa potrebbe essere l'effetto di un nuovo potente rigonfiamento di una o più bolle speculative. Del resto, se si sommano le tre ondate di qe della Fed, e la quantità di denaro prestato a tassi d'interesse inferiori a quelli dell'inflazione dalla Bce (che pertanto regala denaro ai privati a tassi reali negativi) il volume di liquidità immesso nell'economia mondiale è a dir poco mastodontico; e se, facilmente, si correla questo immensa somma alla riduzione drammatica della domanda pagante di uno dei mercati più rilevanti del capitalismo - quello dell'Ue, il cui reddito complessivo è ancora superiore a quello degli Usa - non è per nulla un azzardo immaginare che una grandissima parte di tale liquidità, divenendo capitale e avendo pertanto la necessità di autovalorizzarsi, dinanzi ad una perdurante trappola di sovrapproduzione, abbia preferito provare a fare profitti sul mercato finanziario, eludendo il passaggio attraverso la merce e dunque la produzione.
Da questo punto di vista è emblematica la situazione dell'ottava economia mondiale (in termini di pil nominale, al 2011), ossia dell'Italia: considerando il fatto che, come è noto, le misure del tasso di disoccupazione sottostimino fortemente l'entità del fenomeno, il superamento della soglia dell'11% è un evento assolutamente allarmante. Peraltro, i risultati della ricerca condotta da Confartigianato forniscono una rappresentazione ancor più calzante della realtà, mostrando come, in media, il capitale localizzato sul suolo italiano, abbia quotidianamente liberato 480 unità di forza lavoro tra la fine del 2008 e quella del 2012. Non stupisce, quindi, che il tasso di occupazione - ossia la quota di lavoratori compresi nella fascia di età 15-65 anni - sia giunto ad uno scarno 57% complessivo (46% per le donne) mostrando come, nell'anno appena iniziato, complessivamente, la forza lavoro attiva sia probabilmente inferiore a quella non impiegata. Se a ciò si affiancano i dati relativi alla produzione di merci ed alla domanda pagante si ottiene un quadro ancor più spaventoso: per quel che riguarda quest'ultima, il fatto che il mercato dell'automobile - normalmente considerato alla stregua di un buon indicatore dell'economia nel suo complesso - si sia contratto a tal punto da far registrare alla fine del 2012 un numero di immatricolazioni prossimo a quelle del 1979, è un elemento già di per sé in grado di delineare adeguatamente lo status generale. Tale intuizione viene confermata con maggiore precisione dal valore della produzione industriale italiana che ha raggiunto lo stesso volume del 1990, contraendosi, pertanto, per una quota prossima al 25% e ritornando indietro di ben ventitré anni: una vera e propria ecatombe di valore, probabilmente mai osservata nell'ultimo secolo- se si escludono i periodi bellici e quelli che li hanno immediatamente preceduti e succeduti -, che solo in piccola parte potrebbe esser stata compensata da fenomeni di dislocazione produttiva.

La questione Mps,
pertanto, si va a collocare in una situazione che definire magmatica significa voler abusare di eufemismi. Di certo, le recenti dichiarazioni dell'attuale ministro dell'economia Grilli al wsj con cui ha sostenuto la solidità dell'istituto bancario, sono ispirate dalla necessità di non dilapidare la presunta fama di affidabilità che le più grandi banche italiane avrebbero negli anni guadagnato (questione tutta da dimostrare); tuttavia, è innegabile che ciò che nei primi due mesi dell'anno corrente è emerso, sia a mezzo stampa che attraverso le indagini giudiziarie, presenta un quadro generale peculiare del capitalismo italiano, in cui massoneria, Ior (e pertanto il Vaticano) e, come loro emanazione, alcuni partiti, attraverso giri di tangenti, riciclaggio e l'utilizzo di mezzi comunque fraudolenti hanno tentato di arricchirsi individualmente o di coprire perdite altrimenti accumulate.

Innanzitutto, è doveroso ribadire come l'esplosione dell'affaire Mps sia stata dapprima gestita in funzione elettorale, sebbene la sua portata sia nettamente più ampia: il tentativo di coinvolgere direttamente il partito democratico - ed in particolare l'area ex Margherita - nella questione proviene dal fatto che, come noto, la fondazione Monte dei paschi di Siena detiene la maggioranza relativa (34,9%) delle azioni; i suoi membri vengono nominati, più o meno direttamente, dalle cosiddette "giunte rosse" di comune, provincia e regione. Senza alcun ombra di dubbio, pertanto, i vertici locali del Pd hanno sempre assunto un ruolo preminente nella determinazione dei membri della fondazione e per questo, per quanto indirettamente, hanno avallato la nomina di Mussari (e non solo) alla gestione della banca: tuttavia le sue capacità non dovevano essere così presunte, giacché lo stesso Mussari è divenuto, successivamente, presidente anche della potentissima Abi (Associazione bancaria italiana) eletto dai suoi omologhi (in particolare su spinta di Profumo, attuale presidente di Mps) dell'intero sistema bancario italiano. Per questo, se è probabile che molti membri della fondazione potessero e, soprattutto, dovessero essere al corrente delle operazioni effettuate, d'altra parte individuare la diretta responsabilità di un partito sulle decisioni che il cda dell'Mps (organo distinto dalla fondazione) ha adottato è una forzatura evidentemente eccessiva. Solo quando nelle indagini è stato inserito anche uno dei coordinatori nazionali del Pdl, allora l'attribuzione di una chiave di lettura prevalentemente politica alla questione Mps è divenuta cosa sconveniente anche per il centrodestra: l'uomo chiave non poteva essere altri che Denis Verdini - come noto inquisito, tra i tanti processi, anche per la presunta appartenenza alla loggia massonica P4 - coinvolto sia per prestiti "torbidi" garantiti da Mps al Credito cooperativo fiorentino, di cui a lungo è stato presidente, sia per aver siglato un presunto accordo di "non belligeranza", stabilito con l'ex sindaco di Siena nel 2009, al fine di spartirsi la gestione economica e politica del capoluogo toscano.
Peraltro, che la gestione della banca negli ultimi anni fosse fallimentare, era già emerso da alcuni anni: alla fine del 2011, infatti, la perdita di periodo era giunta a ben 4,69 mrd €, a fronte di risultato operativo netto pari a 541 mln €; nei primi 9 mesi dell'anno successivo, ad un montagna del genere di perdite, si erano affiancati altri 1,6 mrd € (risultato operativo sempre in positivo) con un contemporaneo aumento dei crediti in sofferenza dal 4 al 5%. Nonostante i pessimi risultati di fine 2011, la questione è divenuta di dominio pubblico solo tre mesi dopo, quando, per la prima volta nella storia dell'antichissima banca, divenne concreta la possibilità che ben 8 mila dipendenti potessero esser colpiti da contratti di solidarietà o pure da licenziamenti. Ciò, oltre ad essere stato denunciato dai sindacati, aveva ottenuto una discreta eco sociale attraverso il programma televisivo report che, in un appuntamento del maggio dello stesso anno ("monte dei fiaschi", 6.5.2012), aveva posto sotto ai riflettori molte delle operazioni che, solo successivamente, sono state approfondite dal fatto quotidiano in un articolo di fine gennaio 2013 (in particolare relativamente all'operazione sul derivato Alexandria), il cui contenuto ha fornito uno stimolo determinante per l'avvio di quel nuovo filone di indagine che attualmente è in fase di svolgimento.
In ogni caso, al di là della tentata, e, per alcuni versi, riuscita strumentalizzazione partitica, la questione continua ad assumere dei connotati interessanti: in particolare, sotto la lente di ingrandimento sia della magistratura che della politica (per i motivi di cui sopra), è finita sia l'operazione di acquisizione dell'Antonveneta, che la gestione di alcuni prodotti derivati, tra cui Alexandria. È bene ricordare, innanzitutto, che le ultime vicende della Banca Antonveneta sono balzate agli onori della cronaca grazie al goffo tentativo dei "furbetti del quartierino" di Ricucci & co., avallato, peraltro, dall'allora governatore della Banca d'Italia, di avviare una scalata, tentando così di anticipare l'acquisizione della quota di maggioranza dell'istituto da parte di Abn Amro, controllata prevalentemente dal Banco Santander, che invece riuscì nell'operazione agli inizi del 2006. Solo dopo due anni di gestione, de facto esercitata dall'istituto spagnolo anche a seguito della scalata avvenuta nel 2007, l'anno successivo si perfezionò la transazione, ormai famosa, che per 9,3 mrd € permise ad Mps di acquisire Antonveneta. Della vendita, diversi elementi risultano particolarmente oscuri. Innanzitutto il costo: solo alcuni mesi prima la banca padovana era stata acquistata da Santander con poco più di 6 mrd €. Inoltre, al prezzo di acquisto vanno aggiunti gli oneri (1 mrd €) e soprattutto la cassa (sostanzialmente debiti) che è stata rilevata (7,5 mrd €) il che conduce ad un totale di circa 17 mrd € pagati dall'istituto toscano.
Da questa esorbitante transazione, è stata, inoltre, stranamente stralciata l'Interbanca, banca di investimento interna ad Antonveneta, che solo 10 giorni prima della chiusura dell'operazione era stata ceduta ad un'altra controllata del gruppo Abn Amro (Sterreck); per questa ragione, Mps, al momento dell'acquisizione, ha pagato un surplus di circa 900 mln € (a fronte di un credito di eguale importo) che, attraverso partite di giro, sarebbe dovuto esser rimborsato alla banca senese. Tuttavia, non risulta esistere alcuna traccia di tale rientro e, pertanto, sembra plausibile, che dietro a tale operazione ci sia stato un movimento di tangenti a cui corrisponderebbe il reato di falso in bilancio. Da non sottovalutare, inoltre, è la tempistica della vendita: tra l'accordo (fine 2007) e la stipula sono intercorsi quattro mesi, della cui necessità in molti si interrogano, dato che sono costati - in termine di interessi versati ovviamente da Mps a Santander - ben 500 mln €: anche qui, il sospetto di un giro di tangenti è quanto mai legittimo. Tutto ciò assume toni ancora più loschi se si riflette sulla scelta del tutto inusuale, per utilizzare un eufemismo - fatto peraltro già denunciato in passato proprio da alcuni membri della Fondazione - che ha condotto Mps a versare tutti i 17 mrd € in denaro liquido (attraverso successivi bonifici bancari) piuttosto che con l'emissione di azioni - modalità nettamente più consona e consueta per un'operazione di questo genere - il che avrebbe permesso a Santander di partecipare alla proprietà della banca senese.

Come ogni truffa all'italiana
che si rispetti, non potevano rimanere esenti da metterci lo zampino il Vaticano (Ior) e la massoneria. Se per quanto riguarda quest'ultima, il padre del Grande oriente democratico (Magaldi) - che si contrappone al più noto Grande oriente d'Italia di Raffi - sostiene che Mussari sia stato iniziato come "libero muratore" prima della sua sostenibile ascesa al potere, confermando così lo strettissimo legame che vincola le organizzazioni massoniche al capitale italiano (e non solo), il ruolo dello Ior assume una rilevanza ancora maggiore dal punto di vista pratico e materiale. [Al momento della stesura del presente articolo, tuttavia, le indagini delle diverse procure sono ancora in corso e, pertanto, è possibile fornire solo alcuni dei molti elementi che sembrano indicare un profondo legame, potenzialmente "esplosivo", tra la questione Mps e la gestione del capitale finanziario dell'istituto finanziario del Vaticano].
Come è noto, l'anello di congiunzione tra le due banche è rappresentato da Gotti Tedeschi, personaggio che negli ultimi decenni ha assunto un deciso rilievo nella gestione delle dinamiche del capitale italiano e, più in generale, di quello europeo. Dai primi anni novanta, infatti, insieme a Emilio Botìn (considerato da molti, l'uomo forte dell'opus dei) è stato il supervisore di tutte le operazioni italiane del Banco Santander tra cui, con alta probabilità, della transazione incriminata Mps-Antonveneta all'interno della quale sembra abbia assunto un ruolo di estremo rilievo. Poco prima di divenire consigliere personale di Tremonti, all'inizio del 2008, Tarcisio Bertone, gli aveva affidato l'incarico di gestire finanziariamente il governatorato della Città del Vaticano, in quel periodo vessato da una situazione debitoria particolarmente grave; il suo lavoro deve essere stato particolarmente apprezzato, tant'è che solo un anno dopo è stato nominato presidente dello Ior (il cui solo patrimonio immobiliare, secondo il sole-24ore, è stimato intorno ai 2000 mrd $, valore analogo a quello del debito pubblico italiano ...), da cui però è stato rimosso nel 2012, a seguito dello scontro proprio con lo stesso segretario di stato sulla applicazione di regole più trasparenti [per un approfondimento cfr. no. 140]. Da questo punto di vista, non può essere considerato casuale il fatto che in molti individuarono nell'allora presidente dell'Abi, Mussari, il potenziale successore che invece è stato nominato solo all'inizio del 2013 dall'ultimo colpo di coda dell'ex papa (... emerito), dopo un periodo lungo di assenza di un vero e proprio "banchiere di Dio".
Nonostante le più che attendibili smentite del Vaticano, sembrerebbe che al-dall'interno dello Ior fossero presenti conti intestati ai vertici di Mps su cui apparirebbero movimentazioni sospette, per un importo superiore a 20 mln €, che lo stesso istituto, facendo leva sulle sue torbide procedure, avrebbe poi fatto sparire nei conti esteri di fiduciarie. Non è da escludere, inoltre, un coinvolgimento persino di Jp Morgan, all'interno del quale lo Ior ha un conto, che ha avuto un ruolo preminente nell'emissione di azioni per 1 mrd € (operazione Fresh del 2008), ossia nell'aumento di capitale di Mps necessario all'acquisizione proprio di Antonveneta: attraverso questa collocazione, di fatto, JpM appariva come socio effettivo di Mps, ingannando sia i mercati che i controlli della Banca d'Italia. Da questo punto di vista, pertanto, sia la presunta truffa legata alla gestione dei derivati, di cui Alexandria è il prodotto più conosciuto e "pesante" - le cui transazioni con fondi giapponesi (Nomura) e non solo, sono state alla base della formazione della voragine nei conti Mps pari a poco meno di 1 mrd € - che il sistema della "cresta" del 5% (per cui è stato incriminato principalmente Baldassarre oltre ad altri vertici dell'area finanziaria di Mps), assume un rilievo decisamente inferiore.
Da tutto questo difficilissimo intreccio, quello che appare essere lo scenario più plausibile è che, a seguito di tutte le operazioni descritte, una gran parte dei 17 mrd € versati da Mps a Banco Santander siano dapprima transitati all'estero (c'è chi parla di "lavaggio" alle Cayman e dunque di riciclaggio di denaro sporco) per poi essere depositati successivamente, al sicuro, nelle casse dello Ior. Certo è che, fin quando la magistratura non terminerà l'indagine, queste resteranno delle intuizioni, per quanto sostenute da fatti incontrovertibili: tuttavia, se non sono pochi coloro che collegano persino il "pensionamento" anticipato di Ratzinger all'imminenza di uno scandalo, le considerazioni che, per ora, possono essere tratte da questa vicenda vertono innanzitutto sull'evidente legame tra opus dei e massoneria che continua amabilmente a rivestire un ruolo di assoluta preminenza nella gestione del capitale italiano; inoltre, la pessima situazione in cui Mps si è cacciata potrebbe assumere un ruolo purtroppo cruciale nell'indebolimento dell'ennesimo anello del tessuto capitalistico italiano, aprendo a scenari che potrebbero far gola al capitale fittizio d'oltreoceano in un futuro neanche troppo remoto. A margine, ci sembra opportuno sottolineare come le ipotesi di nazionalizzazione - ovviamente con indennizzo - proposte da tanti esponenti del-l'(a)sinistra assumerebbe tutt'altro che un profumo rivoluzionario, assomigliando, bensì, molto di più ad una delle operazioni in stile Iri (sia del periodo fascista che repubblicano).

L'esito delle elezioni politiche
italiane, in un siffatto quadro, dal punto di vista del capitale legato all'euro è probabilmente uno dei peggiori nell'ottica della continua conflittualità intracapitalistica con l'omologo vincolato al dollaro Usa. Ciò è stato evidentemente confermato dalla reazione dei mercati che è stata incredibilmente repentina ed ha seguito persino i macroscopici errori che i diversi istituti statistici, prima della definizione completa dello spoglio hanno prodotto: nel lunedì post-elettorale, praticamente in contemporanea alla diffusione degli instant poll, la borsa di Milano iniziava a correre in terreno positivo, mentre lo spread raggiungeva livelli inferiori a 250 punti. Le successive proiezioni di Piepoli - quelle in cui il Pdl veniva dato in vantaggio in entrambi i rami del parlamento - sono state in grado di sovvertire repentinamente tali andamenti, iniziando quella rapida corsa al rialzo dello spread, che ha guadagnato ben 50 punti in poche ore (100 il giorno successivo), ed il ribasso degli indici sintetici del mercato azionario italiano che ancora trova difficoltà ad uscire dal pantano in cui è finito.

La configurazione parlamentare che è uscita fuori dall'ultima tornata elettorale promette tutto, fuorché una evidente e facile governabilità: a livello numerico, l'asse pd-pdl avrebbe l'autonomia di poter dar vita ad un governo, sebbene momentaneo, ma il rischio connesso - al di là della formale ostilità tra i due gruppi, spesso solo di facciata- è rappresentato, evidentemente, dal conseguente rafforzamento del M5s che, già primo partito, potrebbe osservare, andando ad aumentare il già incredibile consenso di cui ha dimostrato di godere. Pertanto, Bersani, sedicente primo-nonvincitore delle elezioni, ha l'obbligo di tentare di formare un governo (più probabilmente di minoranza), anche perché l'ipotesi di nuove elezioni sembra essere tecnicamente scongiurata dal fatto che Napolitano è entrato nel semestre bianco - ossia è in scadenza - e ciò gli sottrae il potere di scioglimento anticipato delle camere.
L'immediato viaggio proprio del presidente della repubblica in Germania, così come l'assidua presenza di giornalisti, ambasciatori ed osservatori di tutta Europa in tutte le sedi politiche, sono solo alcuni dei fenomeni che dimostrano come tale ingovernabilità sia una questione che non riguarda solamente l'Italia ma coinvolge in maniera diretta e significativa tutto il capitale legato all'euro e gli apparati politici che intorno ad esso sono andati formandosi. Alla già grande difficoltà strutturale delle principali industrie italiane, ad una classe lavoratrice ormai giunta sull'orlo dell'esasperazione (il risultato di M5s ne è una delle manifestazioni più scellerate ed evidenti), ed ad un sistema bancario colpito da uno scandalo che va ben oltre la gestione partitica, si aggiunge la certezza che nei prossimi mesi (perché solo un sognatore potrebbe prevedere che chiunque sarà incaricato, governerà sino al 2013), l'Italia non potrà disporre di un governo con una rassicurante solidità politica.
Un quadro così delineato è effettivamente già di per sé disastroso ed allarmante: tuttavia ad esso va aggiunto un ulteriore tassello che, di fatto, è la ragione principale per cui i riflettori di tutta Europa sono puntati sulle vicende politiche che ci riguardano direttamente: gli strumenti contro gli attacchi speculativi messi a disposizione dal cosiddetto fondo salva-stati, di cui abbiamo discusso in principio, sono condizionati all'adozione da parte dei governi che ne richiedono accesso, delle politiche di austerity dettate dalla cosiddetta troika. In assenza di una garanzia di questo tipo, la Bce non potrà, di fatto agire da prestatore di ultima istanza, contrapponendosi ad eventuali flussi speculativi provenienti, presumibilmente, dal capitale legato al dollaro; ciò, potenzialmente, potrebbe riproporre condizioni molto prossime a quelle che si sono presentate alla fine del 2010 e in gran parte del 2011 in tutti i piigs. Questa volta, però, a finire nell'occhio del ciclone del capitale fittizio non sarebbe la Grecia, con il suo limitato pil e il suo insignificante indebitamento: il debito pubblico italiano ha una mole tale che un forte attacco speculativo nei suoi confronti potrebbe avere degli effetti estremamente più nefasti per tutta l'area dell'euro, prefigurando scenari, al momento, del tutto inimmaginabili.
D'altra parte, anche uno degli altri paesi più a rischio, la Spagna, sta vivendo un passaggio politico molto delicato che potrebbe metterne a repentaglio la "stabilità": il manifesto giro di tangenti che ha recentemente coinvolto il partitoal governo, per quanto non abbia portato immediatamente a nuove elezioni, di certo ha indebolito la credibilità dei partiti attualmente presenti nel parlamento ispanico e, in un futuro neanche troppo prossimo, potrebbe condurre ad una situazione per molti versi analoga a quella italiana. A quel punto, se entrambi i paesi dovessero mostrare una tale fragilità, per di più in contemporanea, allora il capitale fittizio legato al dollaro troverebbe dinanzi a sé una autostrada spianata per mettere a segno un colpo che, questa volta, potrebbe destabilizzare veramente il cuore del capitale legato all'euro con conseguenze che, ovviamente, si farebbero sentire con estrema durezza in particolare sulle condizioni di vita della classe subordinata locale.

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