Pubblicato il 12 apr 2013
di Roberto Ciccarelli -C’è un dettaglio nel bollettino che ieri la Bce ha pubblicato sullo stato dell’occupazione nell’Eurozona. Un dettaglio importante. Poche righe che riguardano l’aumento della disoccupazione strutturale che aumenterà insieme a quello congiunturale nel 2013. Quest’ultima oscilla tra il 9 e l’11%, con punte fino al disastroso 27% in Grecia. A fine 2012 il tasso di disoccupazione aveva già raggiunto un «livello senza precedenti», scrive la Bce, passando dal 7,6% del 2007 all’11,4% di cinque anni dopo. Di questa percentuale, che corrisponde a 25 milioni di persone, la metà (il 3,8%, 6,5 milioni di persone) non riuscirà più a trovare un lavoro. L’uscita dalla crisi, se e quando ci sarà, non produrrà nuova occupazione, e lascerà sul campo persone non «riconvertibili». I loro posti di lavoro non ci saranno più. La Bce si sofferma su un altro dettaglio fino ad oggi poco considerato nelle lamentazioni sulla disoccupazione, ma fondamentale per chi considera la forza-lavoro a partire dal suo «capitale umano». «Quanto più a lungo i disoccupati restano senza lavoro – si legge – più è probabile che le loro competenze diminuiscano e che il loro capitale umano si deprezzi. Gli individui che accumulano periodi di disoccupazione più lunghi possono essere considerati meno favorevolmente dai potenziali datori di lavoro, rendendo più difficile paer loro trovare un nuovo impiego».
Assistiamo ad un doppio processo: da un lato, la recessione brucia posti di lavoro e rende «inoccupabili» 6,5 milioni di persone. Dall’altro lato, per chi aspira a trovare un nuovo impiego, si registra la crescente obsolescenza delle «competenze». Quando tornerà la crescita sarà necessario riqualificare il «capitale umano» di queste persone, altrimenti destinate a perdere la speranza di trovare un lavoro. Tutto sembra far pensare che sarà così. Per la Bce nel 2013 «la situazione è destinata a peggiorare». La ripresa inizialmente prevista nella seconda parte dell’anno, ieri è stata ufficialmente posticipata al 2014 quando si prevede una «graduale ripresa che è soggetta a rischi al ribasso». L’appuntamento mancato con la crescita è dovuto alla frattura tra finanza e economia reale. I miglioramenti osservati sui mercati finanziari dopo l’estate 2012 non sembrano trasmettersi all’economia reale mentre, i tagli al bilancio nel settore pubblico e privato insieme alla stretta sul credito «seguiteranno a gravare sull’attività economica» conferma l’istituto guidato da Mario Draghi.
Ecco come un dettaglio può rivelare la verità sul fallimento delle politiche ispirate al paradosso dell’«austerità espansiva»: il taglio del debito sovrano, e il contenimento del disavanzo pubblico penalizza l’economia reale, e quindi i mercati. Eppure i mercati continuano a chiedere la sostenibilità dei conti, unica condizione per la crescita economica. Servirebbe l’unione bancaria, sospira l’Euro Tower di Francoforte, che però resta in stand by in attesa delle elezioni tedesche di settembre.
Considerata dal punto di vista italiano, questa situazione presenta un aspetto ancora più fosco. Lo rileva l’Istat che ieri ha reso noti gli indicatori complementari sulla disoccupazione aggiornati al 2012. Anche in questo caso, bisogna fare attenzione al lato strutturale della disoccupazione. L’Istat parla infatti di «inattivi» che l’anno scorso hanno superato il record del 2004: sono 2 milioni 975 mila, 78 mila in più (2,7%) rispetto al 2011. Rispetto all’Eurozona questo dato è addirittura il triplo della media (3,6% rispetto alla disoccupazione). Cosa significa? Che in Italia gli inattivi, cioè coloro che non cercano più un lavoro (scoraggiati), i giovani neet, i disoccupati cronici, sono più numerosi dei disoccupati in senso stretto (2 milioni e 700 mila). In Europa accade l’opposto: i disoccupati sono il doppio rispetto agli inattivi (8.800 milioni). Tecnicamente queste persone vengono definite «forza-lavoro potenziale», cioè occupabile. Ma che resterà a lungo in questa condizione perché non troveranno un posto di lavoro, né lo cercheranno. In 5 anni la crisi ha prodotto in Italia 1,2 milioni di disoccupati in più. Cresceranno ancora. Sono i «costi umani» della guerra economica in corso.
Il Manifesto – 12.04.13
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