Cronaca di una Waterloo.
Dall' Espresso
di Marco Damilano
di Marco Damilano
Mancanza di un progetto alternativo a Berlusconi e Bossi. Incapacità di interpretare il rapporto con la società. L'analisi severa del presidente Pd Rosy Bindi
Non c'è un dato economico e sociale del Paese che sia migliorato, dovrebbero perdere voti. E invece loro acquistano consensi e noi siamo lì, fermi. Non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti». L'analisi delle regionali di Rosy Bindi, presidente del Pd, è preoccupata: il centrosinistra perde perché da tempo ha smarrito il contatto con la società italiana. Qualcosa di molto più profondo e radicale di una semplice défaillance del Pd, che non si risolve con un cambio al vertice: «Per favore, non ricominciamo con il tormentone. È dal 2007 che ogni anno mettiamo in discussione la leadership. Fermiamo questa corsa suicida. E torniamo a riflettere, con serietà, su cosa è successo in Italia negli ultimi vent'anni». Lei conosce e combatte la Lega almeno dall'inizio degli anni Novanta, quando era segretaria della Dc veneta, ha assistito all'alba del fenomeno. Oggi cosa c'è nel voto del Nord per il partito di Bossi? «La Lega resta un movimento di protesta capace come nessun altro di interpretare le inquietudini del suo elettorato, in un tempo segnato dalla paura. Lucra voti senza risolvere i problemi, senza portare a compimento nessuna riforma. Non c'è più sicurezza in questo Paese, e non c'è il federalismo. Eppure la gente continua a votarla. La stessa cosa che succede per Berlusconi: nonostante l'evidente declino della sua leadership, nonostante il fallimento del suo governo, nessun italiano oggi può dire di stare meglio di ieri, scopriamo che trasformare le elezioni regionali in un referendum sulla sua persona ancora una volta ha funzionato. Dobbiamo chiederci il motivo». Forse perché voi dell'opposizione fate peggio di lui. In Francia l'astensionismo ha colpito il centrodestra al potere, qui colpisce anche la minoranza e il Pd.
«Non condivido un giudizio così netto. Rispetto alle elezioni europee siamo riusciti a evitare di farci chiudere nella trincea delle regioni centrali, non siamo la Lega appenninica come qualcuno ci rappresenta. Ma non sfuggo al problema: anzi, è proprio questo il punto fondamentale da cui deve partire la nostra riflessione. Perché se il Paese sta male, se non c'è un lavoratore o un imprenditore che possa sentirsi gratificato da questo governo, Berlusconi e la Lega continuano a vincere? E rendono marginali i politici più responsabili del centrodestra come Gianfranco Fini, che gode del mio apprezzamento ma è in posizione minoritaria nel suo partito». Qual è il loro segreto? O la vostra colpa? «Me lo vedo già il dibattito interno al mio partito. Coalizione sì coalizione no, andare con Di Pietro o con Casini, organizzati sul territorio o con Internet... Io spero invece che si abbia il coraggio finalmente di alzare il tiro. La partita è culturale, si gioca su un'idea dell'Italia. È qui che noi veniamo a mancare: finora noi non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti. Dobbiamo reinterpretare il rapporto tra politica e società». Forse per trasmettere un'idea diversa dovreste partire da una diversa classe dirigente. Bersani sarà messo in discussione? «Sarebbe un errore gravissimo. Guardi, è dal 2007 che perseguiamo questa strada. Quell'anno il centrosinistra perse un turno di elezioni amministrative, si disse che il governo Prodi era finito e si passò a eleggere Veltroni segretario del Pd con le primarie. Poi Veltroni ha perso in Sardegna e si è dimesso, e così via. Ogni anno cambiamo leader, ora non ricominciamo con il tormentone. Fermiamo questa corsa suicida. E andiamo in profondità: la nostra proposta, il progetto che non si vede. Una nuova classe dirigente non si inventa, non si improvvisa, nasce se si fanno partire progetti politici innovativi. Altrimenti restano i vecchi attori».Lei parla di errori di lungo periodo. Ci sono stati sbagli in questa campagna elettorale? Candidature poco convincenti come la Bonino? «Prima del voto ho detto apertamente che in una regione come il Lazio e in una città come Roma la candidatura di Emma Bonino non era la migliore che potessimo mettere in campo. È stata frutto di un caso e non di una scelta. Come dice il blogger Zoro, “c'avevamo solo quella”. Però devo rendere onore alla combattente. Siamo andati al fotofinish grazie alla battaglia della Bonino, nonostante i soliti pregiudizi su di lei agitati a poche ore dal voto in modo pretestuoso. E poi dobbiamo riflettere su come abbiamo governato il Sud, dati i risultati in alcune regioni come Campania e Calabria».
(31 marzo 2010)
Non c'è un dato economico e sociale del Paese che sia migliorato, dovrebbero perdere voti. E invece loro acquistano consensi e noi siamo lì, fermi. Non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti». L'analisi delle regionali di Rosy Bindi, presidente del Pd, è preoccupata: il centrosinistra perde perché da tempo ha smarrito il contatto con la società italiana. Qualcosa di molto più profondo e radicale di una semplice défaillance del Pd, che non si risolve con un cambio al vertice: «Per favore, non ricominciamo con il tormentone. È dal 2007 che ogni anno mettiamo in discussione la leadership. Fermiamo questa corsa suicida. E torniamo a riflettere, con serietà, su cosa è successo in Italia negli ultimi vent'anni». Lei conosce e combatte la Lega almeno dall'inizio degli anni Novanta, quando era segretaria della Dc veneta, ha assistito all'alba del fenomeno. Oggi cosa c'è nel voto del Nord per il partito di Bossi? «La Lega resta un movimento di protesta capace come nessun altro di interpretare le inquietudini del suo elettorato, in un tempo segnato dalla paura. Lucra voti senza risolvere i problemi, senza portare a compimento nessuna riforma. Non c'è più sicurezza in questo Paese, e non c'è il federalismo. Eppure la gente continua a votarla. La stessa cosa che succede per Berlusconi: nonostante l'evidente declino della sua leadership, nonostante il fallimento del suo governo, nessun italiano oggi può dire di stare meglio di ieri, scopriamo che trasformare le elezioni regionali in un referendum sulla sua persona ancora una volta ha funzionato. Dobbiamo chiederci il motivo». Forse perché voi dell'opposizione fate peggio di lui. In Francia l'astensionismo ha colpito il centrodestra al potere, qui colpisce anche la minoranza e il Pd.
«Non condivido un giudizio così netto. Rispetto alle elezioni europee siamo riusciti a evitare di farci chiudere nella trincea delle regioni centrali, non siamo la Lega appenninica come qualcuno ci rappresenta. Ma non sfuggo al problema: anzi, è proprio questo il punto fondamentale da cui deve partire la nostra riflessione. Perché se il Paese sta male, se non c'è un lavoratore o un imprenditore che possa sentirsi gratificato da questo governo, Berlusconi e la Lega continuano a vincere? E rendono marginali i politici più responsabili del centrodestra come Gianfranco Fini, che gode del mio apprezzamento ma è in posizione minoritaria nel suo partito». Qual è il loro segreto? O la vostra colpa? «Me lo vedo già il dibattito interno al mio partito. Coalizione sì coalizione no, andare con Di Pietro o con Casini, organizzati sul territorio o con Internet... Io spero invece che si abbia il coraggio finalmente di alzare il tiro. La partita è culturale, si gioca su un'idea dell'Italia. È qui che noi veniamo a mancare: finora noi non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti. Dobbiamo reinterpretare il rapporto tra politica e società». Forse per trasmettere un'idea diversa dovreste partire da una diversa classe dirigente. Bersani sarà messo in discussione? «Sarebbe un errore gravissimo. Guardi, è dal 2007 che perseguiamo questa strada. Quell'anno il centrosinistra perse un turno di elezioni amministrative, si disse che il governo Prodi era finito e si passò a eleggere Veltroni segretario del Pd con le primarie. Poi Veltroni ha perso in Sardegna e si è dimesso, e così via. Ogni anno cambiamo leader, ora non ricominciamo con il tormentone. Fermiamo questa corsa suicida. E andiamo in profondità: la nostra proposta, il progetto che non si vede. Una nuova classe dirigente non si inventa, non si improvvisa, nasce se si fanno partire progetti politici innovativi. Altrimenti restano i vecchi attori».Lei parla di errori di lungo periodo. Ci sono stati sbagli in questa campagna elettorale? Candidature poco convincenti come la Bonino? «Prima del voto ho detto apertamente che in una regione come il Lazio e in una città come Roma la candidatura di Emma Bonino non era la migliore che potessimo mettere in campo. È stata frutto di un caso e non di una scelta. Come dice il blogger Zoro, “c'avevamo solo quella”. Però devo rendere onore alla combattente. Siamo andati al fotofinish grazie alla battaglia della Bonino, nonostante i soliti pregiudizi su di lei agitati a poche ore dal voto in modo pretestuoso. E poi dobbiamo riflettere su come abbiamo governato il Sud, dati i risultati in alcune regioni come Campania e Calabria».
(31 marzo 2010)
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