Fonte: controlacrisi
Nel primo trimestre dell'anno il PIL della Germania è cresciuto, la nazione è diventata il «motore della crescita» dei paesi industrializzati, non solo in Europa: lo ha detto oggi il neo ministro dell'Economia, Philipp Roesle. «L'ingresso nel 2011 è stato eccellente», ha continuato il ministro dicendo che ci troviamo di fronte ad uno sviluppo «vigoroso» della crescita. Da parte sua, il presidente della Banca centrale tedesca (Bundesbank), Jens Weidmann, ha rimarcato il fatto che l'economia del paese potrebbe entrare adesso in una fase di ripresa capace di «autosostenersi». «La buona forma dell'economia dimostra che adesso potrebbe seguire una ripresa in grado di autosostenersi». Peccato però che questa crescita della Germania avviene soprattutto ai danni degli altri paesi europei che subiscono la esportazioni della Germania. La Grecia ne è l'esempio principale.
Pubblichiamo a sostegno di questa tesi una interessantissima intervista di Emiliano Brancaccio uscita su liberazione un anno fa.
Intervista all'economista Brancaccio: «La Germania è la vera colpevole, ora decida se vuole un'altra crisi»
06/05/2010 14:41 ECONOMIA - INTERNAZIONALE
di Andrea Milluzzi (Liberazione del 06/05/2010)
Intervista ad Emiliano Brancaccio, docente economia politica Emiliano Brancaccio Università del Sannio
Mentre Atene e tutta la Grecia bruciano, le Borse di tutto il mondo
crollano, l’euro raggiunge un altro minimo storico (1,288 dollari) e
gli investitori si buttano alla caccia dei bund tedeschi, spinti dalla
paura di un contagio della crisi. Come se non bastasse, dopo Atene
anche Madrid e Lisbona rischiano grosso: l’agenzia di rating Moody’s
ha messo sotto controllo per tre mesi, con rischio di declassarlo, il
rating sul debito del Portogallo. Per risalire alle cause di tutto ciò
e per ipotizzare scenari futuri Liberazione ha intervistato Emiliano
Brancaccio, docente di economia politica all’Università del Sannio.
D. Per prima cosa, come commenti quanto sta succedendo in Grecia al
secondo giorno consecutivo di sciopero generale?
R. Credo che ci sia un problema: occorre individuare le responsabilità
politiche di quello che sta avvenendo. Tanto più è grave quello che
succede tanto più è urgente farlo.
D. E di chi sono le responsabilità?
R. Due le ipotesi: o ci accodiamo alla opinione comune secondo cui questa
crisi e le sue conseguenze dipendono dalle responsabilità del
precedente Governo greco, spendaccione e falsificatore di conti
pubblici e corrotto e dedito alla finanza allegra, oppure andiamo più
a fondo e ci rendiamo conto che la crisi greca in realtà è il sintomo
di uno squilibrio strutturale profondo nell’intero assetto dell’unione
monetaria europea, che quindi riguarda tutti e in particolare la
politica economica e commerciale del Paese economicamente più forte,
cioè la Germania.
D. Dove stanno le colpe della Germania?
R. La Grecia è sintomo di uno squilibrio generale dovuto al fatto che i
capitali tedeschi sono dotati di una straordinaria capacità di
penetrazione nei mercati esteri. Questo perché la produttività cresce
più rapidamente che altrove e perché da diversi anni la Germania attua
una politica di forte contenimento dei salari e della spesa interna.
Il risultato è che la Germania si è caratterizzata per un forte
surplus con i conti sull’estero perché vende molto all’estero e compra
molto poco dall’estero. Di conseguenza i Paesi relativamente deboli
dell’Ue, come Spagna, Portogallo - e un po’ meno l’Italia - registrano
conti in deficit con l’estero. Il fatto che il Paese più forte
dell’Unione monetaria attui una politica restrittiva è la causa
principale dell’indebitamento degli altri paesi. La Germania avrebbe
dovuto comprare dall’estero.
D. Quindi, il prestito non basta?
R. No, non basta. La Ue e la Germania non se la caveranno con un po’ di
soldi in prestito, che non risolvono i problemi ma li rinviano.
Inoltre va ricordato che i soldi vengono erogati in cambio di una
politica di austerità. Ma noi dovremmo ricordarci del 1992, quando
l’Italia attuò un drastico piano di austerità, fondato sul rigido
controllo del costo del lavoro e, nonostante l’austerity, poche
settimane dopo l’approvazione, l’Italia uscì dal sistema dei cambi
fissi e lasciò fluttuare la lira. Quindi non è affatto detto che i
piani di austerità risolvano le crisi, anzi possono aggravarle. Se
dovessimo scommettere, dovremmo dire che questo piano non risolve
l’equilibrio strutturale alla base del problema, quindi la Grecia non
reggerà. Non è un caso che gli speculatori continuino a vendere titoli
greci, perché sospettano che da qui a breve la Grecia potrebbe
abbandonare l’euro, svalutare la moneta e quindi il debito che ha
contratto non varrebbe più molto.
D. Quali erano quindi le alternative?
R. E’ chiaro che in assenza di una presa di responsabilità da parte
tedesca sarebbe stato meglio procedere subito all’uscita della Grecia
dall’euro e ad una svalutazione del suo debito. Meglio sarebbe se i
tedeschi facessero espansione, e iniziassero finalmente a comprare. Ma
non bisogna essere ingenui, in Germania esiste un interesse forte a
mantenere la situazione così com’è: quanto più si inasprisce la lotta
competitiva fra i capitali, tanto più il capitale tedesco si ritroverà
in una situazione favorevole nella competizione intercapitalista, con
un aumento progressivo delle quote di mercato tedesche e indebolimento
dei capitali degli altri Paesi.
D. E cosa potrebbe succedere ai Paesi in difficoltà?
R. C’è chi ritiene che potrebbero diventare territori desertificati, in
cui risiedono solo lavoratori a basso costo e azionisti di minoranza
di aziende che hanno la testa in Germania.
D. Una prospettiva non molto allettante...
R. Per i capitalisti tedeschi lo sarebbe. Tuttavia esiste un punto al di
là del quale questa politica conduce al tracollo del sistema: quando
la crisi si avvita su una deflazione e lo sbocco di mercato per le
merci non si trova più. A quel punto si precipiterebbe in una seconda
grande crisi, forse più pesante di quella del 2008-2009. Vedremo se la
Germania ha interesse a accentuare la sua politica di feroce
competizione o se prevarrà a un certo punto il timore di scatenare una
seconda crisi.
D. In tutto questo ragionamento l’Europa unita non c’entra nulla?
R. In questo momento l’Europa unita è una mera espressione retorica.
Piuttosto che rimasticare vecchi slogan retorici, i Governi dei Paesi
deboli dovrebbero far voce comune per segnalare al governo tedesco che
se non cambia il suo orientamento c’è il rischio di alimentare una
reazione protezionista. A sinistra abbiamo storicamente avuto nei
confronti del protezionismo una ingenua ritrosia, mentre sarebbe
opportuno rendersi contro che eliminare questa opzione dagli strumenti
di lotta politica, potrebbe rilevarsi un errore che si paga caro.
D. Un’ultima domanda: come giudichi l’operato delle tre grandi agenzie di
rating durante tutta questa vicenda?
R. Ripeto, lo squilibrio è strutturale e si colloca alla base di tutto,
la crisi non deriva dalle agenzie. Detto questo, il loro comportamento
è indicativo del fatto che il mercato finanziario non si comporta in
modo concorrenziale ma è dominato da pochi attori dotati di un potere
oligopolistico. Questo è importantissimo da chiarire. La litania del
mercato finanziario efficiente, spesso evocata anche a sinistra, è
completamente priva di basi reali.
Pubblichiamo a sostegno di questa tesi una interessantissima intervista di Emiliano Brancaccio uscita su liberazione un anno fa.
Intervista all'economista Brancaccio: «La Germania è la vera colpevole, ora decida se vuole un'altra crisi»
06/05/2010 14:41 ECONOMIA - INTERNAZIONALE
di Andrea Milluzzi (Liberazione del 06/05/2010)
Intervista ad Emiliano Brancaccio, docente economia politica Emiliano Brancaccio Università del Sannio
Mentre Atene e tutta la Grecia bruciano, le Borse di tutto il mondo
crollano, l’euro raggiunge un altro minimo storico (1,288 dollari) e
gli investitori si buttano alla caccia dei bund tedeschi, spinti dalla
paura di un contagio della crisi. Come se non bastasse, dopo Atene
anche Madrid e Lisbona rischiano grosso: l’agenzia di rating Moody’s
ha messo sotto controllo per tre mesi, con rischio di declassarlo, il
rating sul debito del Portogallo. Per risalire alle cause di tutto ciò
e per ipotizzare scenari futuri Liberazione ha intervistato Emiliano
Brancaccio, docente di economia politica all’Università del Sannio.
D. Per prima cosa, come commenti quanto sta succedendo in Grecia al
secondo giorno consecutivo di sciopero generale?
R. Credo che ci sia un problema: occorre individuare le responsabilità
politiche di quello che sta avvenendo. Tanto più è grave quello che
succede tanto più è urgente farlo.
D. E di chi sono le responsabilità?
R. Due le ipotesi: o ci accodiamo alla opinione comune secondo cui questa
crisi e le sue conseguenze dipendono dalle responsabilità del
precedente Governo greco, spendaccione e falsificatore di conti
pubblici e corrotto e dedito alla finanza allegra, oppure andiamo più
a fondo e ci rendiamo conto che la crisi greca in realtà è il sintomo
di uno squilibrio strutturale profondo nell’intero assetto dell’unione
monetaria europea, che quindi riguarda tutti e in particolare la
politica economica e commerciale del Paese economicamente più forte,
cioè la Germania.
D. Dove stanno le colpe della Germania?
R. La Grecia è sintomo di uno squilibrio generale dovuto al fatto che i
capitali tedeschi sono dotati di una straordinaria capacità di
penetrazione nei mercati esteri. Questo perché la produttività cresce
più rapidamente che altrove e perché da diversi anni la Germania attua
una politica di forte contenimento dei salari e della spesa interna.
Il risultato è che la Germania si è caratterizzata per un forte
surplus con i conti sull’estero perché vende molto all’estero e compra
molto poco dall’estero. Di conseguenza i Paesi relativamente deboli
dell’Ue, come Spagna, Portogallo - e un po’ meno l’Italia - registrano
conti in deficit con l’estero. Il fatto che il Paese più forte
dell’Unione monetaria attui una politica restrittiva è la causa
principale dell’indebitamento degli altri paesi. La Germania avrebbe
dovuto comprare dall’estero.
D. Quindi, il prestito non basta?
R. No, non basta. La Ue e la Germania non se la caveranno con un po’ di
soldi in prestito, che non risolvono i problemi ma li rinviano.
Inoltre va ricordato che i soldi vengono erogati in cambio di una
politica di austerità. Ma noi dovremmo ricordarci del 1992, quando
l’Italia attuò un drastico piano di austerità, fondato sul rigido
controllo del costo del lavoro e, nonostante l’austerity, poche
settimane dopo l’approvazione, l’Italia uscì dal sistema dei cambi
fissi e lasciò fluttuare la lira. Quindi non è affatto detto che i
piani di austerità risolvano le crisi, anzi possono aggravarle. Se
dovessimo scommettere, dovremmo dire che questo piano non risolve
l’equilibrio strutturale alla base del problema, quindi la Grecia non
reggerà. Non è un caso che gli speculatori continuino a vendere titoli
greci, perché sospettano che da qui a breve la Grecia potrebbe
abbandonare l’euro, svalutare la moneta e quindi il debito che ha
contratto non varrebbe più molto.
D. Quali erano quindi le alternative?
R. E’ chiaro che in assenza di una presa di responsabilità da parte
tedesca sarebbe stato meglio procedere subito all’uscita della Grecia
dall’euro e ad una svalutazione del suo debito. Meglio sarebbe se i
tedeschi facessero espansione, e iniziassero finalmente a comprare. Ma
non bisogna essere ingenui, in Germania esiste un interesse forte a
mantenere la situazione così com’è: quanto più si inasprisce la lotta
competitiva fra i capitali, tanto più il capitale tedesco si ritroverà
in una situazione favorevole nella competizione intercapitalista, con
un aumento progressivo delle quote di mercato tedesche e indebolimento
dei capitali degli altri Paesi.
D. E cosa potrebbe succedere ai Paesi in difficoltà?
R. C’è chi ritiene che potrebbero diventare territori desertificati, in
cui risiedono solo lavoratori a basso costo e azionisti di minoranza
di aziende che hanno la testa in Germania.
D. Una prospettiva non molto allettante...
R. Per i capitalisti tedeschi lo sarebbe. Tuttavia esiste un punto al di
là del quale questa politica conduce al tracollo del sistema: quando
la crisi si avvita su una deflazione e lo sbocco di mercato per le
merci non si trova più. A quel punto si precipiterebbe in una seconda
grande crisi, forse più pesante di quella del 2008-2009. Vedremo se la
Germania ha interesse a accentuare la sua politica di feroce
competizione o se prevarrà a un certo punto il timore di scatenare una
seconda crisi.
D. In tutto questo ragionamento l’Europa unita non c’entra nulla?
R. In questo momento l’Europa unita è una mera espressione retorica.
Piuttosto che rimasticare vecchi slogan retorici, i Governi dei Paesi
deboli dovrebbero far voce comune per segnalare al governo tedesco che
se non cambia il suo orientamento c’è il rischio di alimentare una
reazione protezionista. A sinistra abbiamo storicamente avuto nei
confronti del protezionismo una ingenua ritrosia, mentre sarebbe
opportuno rendersi contro che eliminare questa opzione dagli strumenti
di lotta politica, potrebbe rilevarsi un errore che si paga caro.
D. Un’ultima domanda: come giudichi l’operato delle tre grandi agenzie di
rating durante tutta questa vicenda?
R. Ripeto, lo squilibrio è strutturale e si colloca alla base di tutto,
la crisi non deriva dalle agenzie. Detto questo, il loro comportamento
è indicativo del fatto che il mercato finanziario non si comporta in
modo concorrenziale ma è dominato da pochi attori dotati di un potere
oligopolistico. Questo è importantissimo da chiarire. La litania del
mercato finanziario efficiente, spesso evocata anche a sinistra, è
completamente priva di basi reali.
Nessun commento:
Posta un commento