Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

domenica 8 maggio 2011

DOPO L’ONDA E IL MOVIMENTO 2010

Gli orizzonti dei freelance alla prova della politica
di Roberto Ciccarelli. Fonte: controlacrisi
A differenza degli Stati Uniti, nei paesi Ue la crisi economica si è manifestata sotto forma di riduzione del bilancio pubblico e di dismissione dello stato sociale. Nel prossimo triennio i tagli annunciati dal Documento di economia e finanza pubblica rafforzeranno nel nostro Paese il trasferimento del reddito e ricchezza dal basso in alto, la riduzione dei salari reali e produrrà un tasso di disoccupazione che resterà molto elevato per anni (oggi è al 13%,ma supera il 20% se calcoliamo le figure del lavoro intermittente, atipico e autonomo). La crescita sempre più tangibile di abissali disuguaglianze ha letteralmente travolto il lavoro della conoscenza che negli ultimi dici anni è cresciuto anche grazie al fondo sociale europeo destinato alla formazione e oggi vive in un'economia fondata sul debito, sulle differenze di classe e di ceto e sulla rottura della solidarietà tra le generazioni.
Eppure le statistiche sulla disoccupazione giovanile (al 30% tra i 15-24enni), il crollo delle iscrizioni nell'università del 3+2 targata Gelmini, l'alto tasso di abbandono degli studi, la distruzione della scuola e dell'università di massa sfiorano solo la superficie della nuova questione sociale che coinvolge tutti i precari del lavoro intellettuale, i freelance del lavoro autonomo di seconda generazione, e non solo la borghesia delle professioni liberali.
In una platea di almeno 4 milioni di persone, ma sono sicuramente di più, mai come oggi indagata dalle scienze sociali (il rapporto Aaster sulle professioni commissionato dalla Camera di commercio di Milano e quello dell'Ires-Cgil solo nelle ultime due settimane), si registrano almeno due fratture: quella che divide i giovani laureati e diplomati fino a 30 anni destinati all'inoccupazione dalla generazione precaria nata negli anni ’70 e sommersa dal fallimento dell'etica del successo e del professionalismo e questi ultimi dalla borghesia delle professioni liberali (dall'avvocatura al giornalismo) che detiene le chiavi di accesso agli ordini professionali, alle risorse superstiti, al riconoscimento sociale.
Quelle in campo sono due ordini di grandezza incommensurabili che tuttavia gravitano nell'orbita della stessa crisi: gli «indipendenti» non hanno tutele e garanzie sociali,
fiscali, previdenziali, né un sostegno al reddito, sono vittime dell'incertezza derivante dal «declassamento» e dalla «de-professionalizzazione» del lavoro cognitivo avvenuta in questi tre anni.
Sebbene la crisi abbia colpito entrambi (per l'Ires solo il 38,6% è riuscito a lavorare in modo continuativo nell'ultimo anno), la borghesia delle professioni chiede di
restringere l'accesso agli ordini, rafforza la perimetrazione deontologica degli ordini professionali. Invece, il 91% dei giornalisti, editor o «creativi» dello spettacolo, senza contare coloro che lavorano nel campo medico e assistenziale, soccombe sotto il peso di queste differenze di classe e non risparmia critiche al sindacato che ha fatto poco o nulla per smentire una storica diffidenza rispetto al lavoro autonomo.
Continuare a restringere la crisi solo al campo delle professioni o, all'opposto, a quello del lavoro dipendente è dunque un errore di prospettiva. La crisi ha reso universale il modello di (auto)sfruttamento che vige nel «terziario avanzato» e il lavoro a bassissimo valore aggiunto diffuso nel «cognitariato». Questa trasformazione paradigmatica ha investito lo stesso concetto di precarietà che non può più essere considerata come la condizione preliminare per l'accesso ad un impiego, ma è un'antropologia comune a tutto il lavoro, dipendente e indipendente. L'«ideologia del professionalismo» dall'alto, la carenza di strumenti di autotutela dal basso, insieme all'assenza di una cultura associativa e cooperativa, l'hanno trasformata in una realtà apparentemente inaggirabile.
Il lavoro della conoscenza non è stato però a guardare e ha organizzato l'unico movimento di opposizione reale al governo Berlusconi.
Nel 2008 con il movimento dell'Onda, quest'autunno quello contro l'approvazione della riforma Gelmini. Oggi c'è tutto un fiorire spontaneo di rivendicazioni nel lavoro
indipendente che chiede una riforma del Welfare, agevolazioni per la formazione, il sostegno al reddito in caso di disoccupazione (e non solo), il ricongiungimento dei contributi e la parificazione dei coefficienti di calcolo a quelli dei dipendenti.
Non è escluso tuttavia che questa convergenza sia solo episodica.
Il corporativismo dei professionisti e il conservatorismo dilagante potrebbero uscire rafforzati dalla crisi e boicottare ogni ipotesi di riforma sociale complessiva. E
non lascia tranquilli nemmeno la discontinuità dei movimenti della conoscenza che sono stati colpiti dall'approvazione della Gelmini e continuano a restare da soli davanti
all'aggressione sistematica del governo. Ma questa contingenza potrebbe essere anche usata virtuosamente per costruire un'alleanza intergenerazionale e trans-professionale tra precari e indipendenti, insieme ad una politica della coalizione sociale che
coinvolga seriamente, e senza sconti, il sindacato e superi la frammentazione prodotta dalla politica finanziaria e monetaria dei governi e delle banche centrali dagli anni ’90 in poi. L'obiettivo non è quello di mettere in comune le debolezze, ma di negoziare un nuovo, forte, patto sociale.
Sembra fantascienza, ma è solo la realtà a portata di mano.

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