di Simone oggionni. - Fonte: reblab
Abbiamo scelto di andare a Madrid tra gli indignados di Puerta del Sol perché da qui, nelle cronache girate in rete, abbiamo intravisto qualcosa di grande e che ci riguarda da vicino. Che interroga le nostre lotte, il nostro stesso modo di concepire la politica.
Cosa è successo a Madrid e in tutta la Spagna in questi ultimi mesi? Dopo lo sciopero generale del settembre scorso e le manifestazioni in tutte le città di dicembre, scandite dalla richiesta di lavoro, salario e diritti sociali, il 7 aprile si è svolta un’altra grande giornata di mobilitazione in cui in particolar modo i giovani (raccolti nella piattaforma di Juventud Sin Futuro) hanno manifestato l’esigenza di strutturarsi in soggetto politico e coordinarsi in maniera permanente. Il 15 maggio, dopo che il governo Zapatero ha siglato con i sindacati un’intesa che, tra le altre cose, ha innalzato l’età pensionabile a 67 anni, si è svolta una nuova imponente manifestazione che, dopo l’intervento repressivo brutale delle forze dell’ordine, si è trasformata in un presidio permanente in piazza di Puerta del Sol.
Da quel giorno si è avviato un processo di accumulazione di forze che ha reso sempre più visibile e forte il movimento di Madrid, così come ha reso possibile l’espansione in tutte le più grandi città della Spagna del modello di occupazione permanente degli spazi più visibili e dei luoghi simbolo delle diverse città.
Ogni accampamento è organizzato attraverso commissioni di lavoro e un’assemblea generale, alla quale partecipano ogni giorno dalle 2000 alle 3000 persone. Le decisioni vengono assunte all’interno dell’assemblea generale, dopo che la commissione politica (organismo centrale nella mobilitazione) ha avanzato una traccia di discussione e le proposte di massima.
Il programma generale della mobilitazione è molto avanzato. I punti essenziali sono quattro: critica ai privilegi e alla corruzione diffusa della classe politica e critica al modello bipolare; contrasto della disoccupazione, della precarietà del lavoro e lotta per il diritto al lavoro e una piena cittadinanza; controllo pubblico degli istituti bancari e dell’economia, nuova fiscalità progressiva; nuova legge elettorale e nuovo modello di democrazia partecipativa e dal basso. Dunque, anche le critiche radicali al sistema politico non sono distruttive del bisogno di politica, ma sono rivolte alle classi dirigenti che hanno guidato la Spagna post-franchista e al modello di sviluppo neoliberista che esse hanno complessivamente imposto (e Zapatero in queste elezioni amministrative ha pagato esattamente la sua internità a questa logica e a questo sistema).
A partire da questi fatti ci siamo confrontati con i compagni del Partito comunista spagnolo e con l’Unione delle Gioventù Comuniste di Spagna. Come stanno intervenendo in questo movimento?
Innanzitutto hanno proposto e ottenuto che la mobilitazione dalla piazza attraversasse i quartieri e si radicasse nella città attraverso l’istituzione di veri e propri comitati di quartiere (commissions de barrios). Il movimento – dicono i compagni – ha futuro soltanto se riesce ad ottenere il consenso popolare e dei lavoratori e dunque se riesce a radicarsi in tutto il territorio, passando da una fase di grande esposizione mediatica ma scarso radicamento territoriale ad una fase di normale esposizione mediatica ma grande radicamento territoriale.
Il secondo nodo riguarda il tema dell’egemonia. I giovani comunisti spagnoli rifiutano con nettezza l’idea di lavorare con l’obiettivo di cooptare settori del movimento all’interno del partito o di dirigerlo burocraticamente. Allo stesso tempo diffondono la propria piattaforma programmatica allo scopo di contribuire a definire gli orientamenti, immediati e strategici, del movimento ed evitare così che esso subisca una torsione anarchica-antipolitica-ribellistica così come una torsione socialdemocratica e riformista. Questo vale nelle città come Cadice, Murcia e Saragozza, dove il ruolo dei giovani comunisti spagnoli è molto significativo e, ancora di più, nella ben più eterogenea realtà di Madrid.
Tutto questo ci riguarda?
Penso tre cose. La prima è che le condizioni materiali dei lavoratori spagnoli e dei giovani spagnoli sono molto simili a quelle del nostro Paese e che anche sul piano soggettivo il livello di indignazione e di rabbia che abbiamo raggiunto in questi mesi non è dissimile da quello che in Spagna sta producendo questa grande mobilitazione. E che, anche oltre le condizioni materiali, sia ormai in questione – in Spagna come in Italia – il senso complessivo della vita e dell’esistenza: non è casuale che tra le commissioni create dal movimento a Madrid vi sia più di una commissione dedicate alle arti, ad indicare che il movimento pone in discussione l’ideologia, l’apparato simbolico, l’immaginario del capitalismo perché essi sono, tutti insieme, parte integrante del problema e del dominio.
In secondo luogo dagli indignados emerge questa idea: che le forme concrete della lotta (l’autogestione e l’autogoverno, in questo caso di settori crescenti di giovani studenti e lavoratori) hanno molto a che fare con il modello di società e di democrazia che le forze politiche più avanzate nello stesso identico tempo avanzano e propongono credibilmente al movimento e al Paese tutto. Da questo punto di vista è significativo che il partito comunista spagnolo stia per lanciare una campagna per un referendum popolare che mira a convocare una nuova Assemblea Costituente che ricostruisca dalle fondamenta la democrazia spagnola.
In terzo luogo, penso che nel movimento si stia esattamente con questo atteggiamento: totale e incondizionata internità, nessuna presunzione di autosufficienza e di avanguardia e al contempo massima determinazione nell’affermare progressivamente, proprio nell’interesse dello sviluppo del movimento stesso, una linea e una proposta politica che punti a radicare e rendere permanente ciò che rischia di rimanere transitorio.
Ma la fotografia più nitida che è mi è rimasta impressa è un’altra: è l’istantanea di una Spagna che non è sola, ma che sta aiutando a fare emergere nel cuore della nostra Europa (e non solo nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente) una primavera di lotte e mobilitazioni che è tanto forte in quanto è gravida di futuro, perché parla di una nuova generazione che contesta la vecchia politica, il vecchio sistema economico e le sue ingiustizie, e propone un’alternativa. Guardando avanti, con una voglia e una capacità crescente di parlare la lingua universale dei diritti, della democrazia e dell’eguaglianza. Per questo a Madrid non siamo stati ospiti. Puerta del Sol da oggi è anche casa nostra.
Abbiamo scelto di andare a Madrid tra gli indignados di Puerta del Sol perché da qui, nelle cronache girate in rete, abbiamo intravisto qualcosa di grande e che ci riguarda da vicino. Che interroga le nostre lotte, il nostro stesso modo di concepire la politica.
Cosa è successo a Madrid e in tutta la Spagna in questi ultimi mesi? Dopo lo sciopero generale del settembre scorso e le manifestazioni in tutte le città di dicembre, scandite dalla richiesta di lavoro, salario e diritti sociali, il 7 aprile si è svolta un’altra grande giornata di mobilitazione in cui in particolar modo i giovani (raccolti nella piattaforma di Juventud Sin Futuro) hanno manifestato l’esigenza di strutturarsi in soggetto politico e coordinarsi in maniera permanente. Il 15 maggio, dopo che il governo Zapatero ha siglato con i sindacati un’intesa che, tra le altre cose, ha innalzato l’età pensionabile a 67 anni, si è svolta una nuova imponente manifestazione che, dopo l’intervento repressivo brutale delle forze dell’ordine, si è trasformata in un presidio permanente in piazza di Puerta del Sol.
Da quel giorno si è avviato un processo di accumulazione di forze che ha reso sempre più visibile e forte il movimento di Madrid, così come ha reso possibile l’espansione in tutte le più grandi città della Spagna del modello di occupazione permanente degli spazi più visibili e dei luoghi simbolo delle diverse città.
Ogni accampamento è organizzato attraverso commissioni di lavoro e un’assemblea generale, alla quale partecipano ogni giorno dalle 2000 alle 3000 persone. Le decisioni vengono assunte all’interno dell’assemblea generale, dopo che la commissione politica (organismo centrale nella mobilitazione) ha avanzato una traccia di discussione e le proposte di massima.
Il programma generale della mobilitazione è molto avanzato. I punti essenziali sono quattro: critica ai privilegi e alla corruzione diffusa della classe politica e critica al modello bipolare; contrasto della disoccupazione, della precarietà del lavoro e lotta per il diritto al lavoro e una piena cittadinanza; controllo pubblico degli istituti bancari e dell’economia, nuova fiscalità progressiva; nuova legge elettorale e nuovo modello di democrazia partecipativa e dal basso. Dunque, anche le critiche radicali al sistema politico non sono distruttive del bisogno di politica, ma sono rivolte alle classi dirigenti che hanno guidato la Spagna post-franchista e al modello di sviluppo neoliberista che esse hanno complessivamente imposto (e Zapatero in queste elezioni amministrative ha pagato esattamente la sua internità a questa logica e a questo sistema).
A partire da questi fatti ci siamo confrontati con i compagni del Partito comunista spagnolo e con l’Unione delle Gioventù Comuniste di Spagna. Come stanno intervenendo in questo movimento?
Innanzitutto hanno proposto e ottenuto che la mobilitazione dalla piazza attraversasse i quartieri e si radicasse nella città attraverso l’istituzione di veri e propri comitati di quartiere (commissions de barrios). Il movimento – dicono i compagni – ha futuro soltanto se riesce ad ottenere il consenso popolare e dei lavoratori e dunque se riesce a radicarsi in tutto il territorio, passando da una fase di grande esposizione mediatica ma scarso radicamento territoriale ad una fase di normale esposizione mediatica ma grande radicamento territoriale.
Il secondo nodo riguarda il tema dell’egemonia. I giovani comunisti spagnoli rifiutano con nettezza l’idea di lavorare con l’obiettivo di cooptare settori del movimento all’interno del partito o di dirigerlo burocraticamente. Allo stesso tempo diffondono la propria piattaforma programmatica allo scopo di contribuire a definire gli orientamenti, immediati e strategici, del movimento ed evitare così che esso subisca una torsione anarchica-antipolitica-ribellistica così come una torsione socialdemocratica e riformista. Questo vale nelle città come Cadice, Murcia e Saragozza, dove il ruolo dei giovani comunisti spagnoli è molto significativo e, ancora di più, nella ben più eterogenea realtà di Madrid.
Tutto questo ci riguarda?
Penso tre cose. La prima è che le condizioni materiali dei lavoratori spagnoli e dei giovani spagnoli sono molto simili a quelle del nostro Paese e che anche sul piano soggettivo il livello di indignazione e di rabbia che abbiamo raggiunto in questi mesi non è dissimile da quello che in Spagna sta producendo questa grande mobilitazione. E che, anche oltre le condizioni materiali, sia ormai in questione – in Spagna come in Italia – il senso complessivo della vita e dell’esistenza: non è casuale che tra le commissioni create dal movimento a Madrid vi sia più di una commissione dedicate alle arti, ad indicare che il movimento pone in discussione l’ideologia, l’apparato simbolico, l’immaginario del capitalismo perché essi sono, tutti insieme, parte integrante del problema e del dominio.
In secondo luogo dagli indignados emerge questa idea: che le forme concrete della lotta (l’autogestione e l’autogoverno, in questo caso di settori crescenti di giovani studenti e lavoratori) hanno molto a che fare con il modello di società e di democrazia che le forze politiche più avanzate nello stesso identico tempo avanzano e propongono credibilmente al movimento e al Paese tutto. Da questo punto di vista è significativo che il partito comunista spagnolo stia per lanciare una campagna per un referendum popolare che mira a convocare una nuova Assemblea Costituente che ricostruisca dalle fondamenta la democrazia spagnola.
In terzo luogo, penso che nel movimento si stia esattamente con questo atteggiamento: totale e incondizionata internità, nessuna presunzione di autosufficienza e di avanguardia e al contempo massima determinazione nell’affermare progressivamente, proprio nell’interesse dello sviluppo del movimento stesso, una linea e una proposta politica che punti a radicare e rendere permanente ciò che rischia di rimanere transitorio.
Ma la fotografia più nitida che è mi è rimasta impressa è un’altra: è l’istantanea di una Spagna che non è sola, ma che sta aiutando a fare emergere nel cuore della nostra Europa (e non solo nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente) una primavera di lotte e mobilitazioni che è tanto forte in quanto è gravida di futuro, perché parla di una nuova generazione che contesta la vecchia politica, il vecchio sistema economico e le sue ingiustizie, e propone un’alternativa. Guardando avanti, con una voglia e una capacità crescente di parlare la lingua universale dei diritti, della democrazia e dell’eguaglianza. Per questo a Madrid non siamo stati ospiti. Puerta del Sol da oggi è anche casa nostra.
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