di Geraldina Colotti controlacrisi
Il capo del Mbr-200, il movimento bolivariano con dentro giovani ufficiali nazionalisti, finì in carcere. Ma fu l'inizio di un percorso politico democratico e (finora) inarrestabile: il «socialismo del XX secolo»
In una piazza Caracas recentemente restaurata, uno schermo gigante rievoca i momenti principali dell'insorgenza militare che, il 4 febbraio del 1992, vide affacciarsi sulla scena politica il volto del tenente colonnello Hugo Chavez Frias. A capo di un movimento clandestino, politico e ideologico, denominato Mbr-200, il giovane ufficiale tentò di rovesciare il governo di Carlos Andres Perez con un'operazione denominata Ezequiel Zamora. Per parecchie ore, i suoi mantennero il controllo in diverse città del paese: Valencia, Maracaibo, Barquisimeto e Maracay.
Tutto comincia a Caracas. L'allora presidente, giunto il giorno prima nella capitale dopo un lungo viaggio in Svizzera, viene informato dal ministro della difesa circa l'esistenza di un possibile colpo di stato. Quando arriva a Miraflores, un tank irrompe nel palazzo presidenziale travolgendo la scorta. In pochi minuti, Perez è costretto a fuggire. Dagli studi del canale televisivo Venevision, il presidente informa i cittadini di quanto sta accadendo, mentre gli insorti dirigono le operazioni dal Museo storico militare di La Planicie e dalla base aerea Generalissimo Francisco de Miranda nella Carlota.
Dopo poche ore, il governo nazionale riprende il controllo del paese e il presidente Pérez ritorna a Miraflores. Un'ora dopo torna in tv per informare dell'esito il paese. Il tenente colonnello Chavez depone le armi e viene arrestato dai militari fedeli al governo insieme ai suoi ufficiali. Anche il tenente colonnello Arias Cardenas, attualmente deputato all'Assemblea nazionale per lo stato di Zulia, che guidava l'azione a Maracaibo, depone le armi. Prima di andare in carcere, Chavez appare in televisione e si assume la responsabilità dell'accaduto: «L'insurrezione è fallita, per ora». E con quel profetico «por ahora» entrerà nella storia politica venezuelana. «In un paese poco abituato all'assunzione di responsabilità da parte dei politici, quel comportamento rimase impresso - dice oggi al manifesto il professor Andres Bansart, intellettuale di lungo corso della politica venezuelana -. Dopo, mentre Chavez era in carcere, il movimento Mbr-200 ingrossò le sue fila. Ricordo che allora, durante il carnevale, le mamme vestivano i bambini con la divisa di Chavez». Da ieri, in tutto il Venezuela si festeggia quel 4 febbraio.
Nella biblioteca nazionale della capitale, una mostra (una parte della quale è dedicata ai bambini) ne ricorda le tappe e il secondo tentativo che prese forma il 27 novembre di quell'anno. Una rivolta contro l'agonizzante patto di Punto Fijo - il sistema di alternanza fra i due principali partiti, Accion Democratica (centrosinistra) e Copei (centrodestra) che escludeva dal potere il Partito comunista - siglato dopo la fine della dittatura militare di Perez Jimenez (1958). Già il 27 febbraio 1989, la rivolta popolare denominata il «Caracazo» aveva detto la sua contro le misure neoliberiste di Carlos Andrés Pérez, appena rieletto con grande maggioranza.
Durante i due mandati del socialdemocratico Pérez, i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo monetario internazionale avevano ridotto in miseria circa l'80% della popolazione. Da allora, intorno a Chavez si coagulò un vasto arco di forze in cerca di alternativa: comunisti, ex guerriglieri, movimenti di resistenza contadina e scuole occupate, e soprattutto ufficiali democratici che avevano condiviso con Chavez il «giuramento di Bolivar»: in memoria del Libertador e del suo sogno di indipendenza per l'America latina che intendevano riprendere. Chavez, liberato nel 1994, verrà eletto presidente del Venezuela nel 1998.
Ora, dal teatro Catia in Piazza Sucre, nella capitale, il presidente - con gli occhiali, ma con i capelli di nuovo folti dopo il cancro che lo ha colpito alla prostata l'estate scorsa - torna a parlare al paese: «Siamo un popolo formidabile», dice al mare di camicie rosse che gli pone domande sul prosieguo del «proceso bolivariano». Intanto, nei quartieri come la Candelaria, i deputati di opposizione volantinano per le loro primarie nelle feste religiose, fra incensi e santini del santo patrono. Il 7 ottobre ci saranno le presidenziali.
Il capo del Mbr-200, il movimento bolivariano con dentro giovani ufficiali nazionalisti, finì in carcere. Ma fu l'inizio di un percorso politico democratico e (finora) inarrestabile: il «socialismo del XX secolo»
In una piazza Caracas recentemente restaurata, uno schermo gigante rievoca i momenti principali dell'insorgenza militare che, il 4 febbraio del 1992, vide affacciarsi sulla scena politica il volto del tenente colonnello Hugo Chavez Frias. A capo di un movimento clandestino, politico e ideologico, denominato Mbr-200, il giovane ufficiale tentò di rovesciare il governo di Carlos Andres Perez con un'operazione denominata Ezequiel Zamora. Per parecchie ore, i suoi mantennero il controllo in diverse città del paese: Valencia, Maracaibo, Barquisimeto e Maracay.
Tutto comincia a Caracas. L'allora presidente, giunto il giorno prima nella capitale dopo un lungo viaggio in Svizzera, viene informato dal ministro della difesa circa l'esistenza di un possibile colpo di stato. Quando arriva a Miraflores, un tank irrompe nel palazzo presidenziale travolgendo la scorta. In pochi minuti, Perez è costretto a fuggire. Dagli studi del canale televisivo Venevision, il presidente informa i cittadini di quanto sta accadendo, mentre gli insorti dirigono le operazioni dal Museo storico militare di La Planicie e dalla base aerea Generalissimo Francisco de Miranda nella Carlota.
Dopo poche ore, il governo nazionale riprende il controllo del paese e il presidente Pérez ritorna a Miraflores. Un'ora dopo torna in tv per informare dell'esito il paese. Il tenente colonnello Chavez depone le armi e viene arrestato dai militari fedeli al governo insieme ai suoi ufficiali. Anche il tenente colonnello Arias Cardenas, attualmente deputato all'Assemblea nazionale per lo stato di Zulia, che guidava l'azione a Maracaibo, depone le armi. Prima di andare in carcere, Chavez appare in televisione e si assume la responsabilità dell'accaduto: «L'insurrezione è fallita, per ora». E con quel profetico «por ahora» entrerà nella storia politica venezuelana. «In un paese poco abituato all'assunzione di responsabilità da parte dei politici, quel comportamento rimase impresso - dice oggi al manifesto il professor Andres Bansart, intellettuale di lungo corso della politica venezuelana -. Dopo, mentre Chavez era in carcere, il movimento Mbr-200 ingrossò le sue fila. Ricordo che allora, durante il carnevale, le mamme vestivano i bambini con la divisa di Chavez». Da ieri, in tutto il Venezuela si festeggia quel 4 febbraio.
Nella biblioteca nazionale della capitale, una mostra (una parte della quale è dedicata ai bambini) ne ricorda le tappe e il secondo tentativo che prese forma il 27 novembre di quell'anno. Una rivolta contro l'agonizzante patto di Punto Fijo - il sistema di alternanza fra i due principali partiti, Accion Democratica (centrosinistra) e Copei (centrodestra) che escludeva dal potere il Partito comunista - siglato dopo la fine della dittatura militare di Perez Jimenez (1958). Già il 27 febbraio 1989, la rivolta popolare denominata il «Caracazo» aveva detto la sua contro le misure neoliberiste di Carlos Andrés Pérez, appena rieletto con grande maggioranza.
Durante i due mandati del socialdemocratico Pérez, i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo monetario internazionale avevano ridotto in miseria circa l'80% della popolazione. Da allora, intorno a Chavez si coagulò un vasto arco di forze in cerca di alternativa: comunisti, ex guerriglieri, movimenti di resistenza contadina e scuole occupate, e soprattutto ufficiali democratici che avevano condiviso con Chavez il «giuramento di Bolivar»: in memoria del Libertador e del suo sogno di indipendenza per l'America latina che intendevano riprendere. Chavez, liberato nel 1994, verrà eletto presidente del Venezuela nel 1998.
Ora, dal teatro Catia in Piazza Sucre, nella capitale, il presidente - con gli occhiali, ma con i capelli di nuovo folti dopo il cancro che lo ha colpito alla prostata l'estate scorsa - torna a parlare al paese: «Siamo un popolo formidabile», dice al mare di camicie rosse che gli pone domande sul prosieguo del «proceso bolivariano». Intanto, nei quartieri come la Candelaria, i deputati di opposizione volantinano per le loro primarie nelle feste religiose, fra incensi e santini del santo patrono. Il 7 ottobre ci saranno le presidenziali.
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