Il provincialismo cosmopolita, o il cosmopolitismo provinciale è uno dei tratti più salienti, e più misteriosi, della nostra civiltà globale. E la cerimonia inaugurale delle XXX Olimpiadi dell’era moderna l’hanno dimostrato oltre ogni dubbio, proprio perché le Olimpiadi sono il cosmopolitismo fatto sport (vi partecipano 204 paesi), perché la mondovisione è la globalizzazione stessa su schermo e perché mai cerimonia inaugurale fu più provinciale.
Infatti, almeno una tradizione squisitamente britannica, quest’evento l’ha rispettata. Ed è quella che un tempo aveva reso famose le signore inglesi che, quando volevano acconciarsi e abbigliarsi in modo orribile, ci riuscivano alla perfezione.Ma la notte londinese di venerdì sera ha battuto tutti i record, al di là di ogni aspettativa. Come ha chiosato la reporter del New York Times, «anche il cattivo gusto fa parte delle tradizioni britanniche».
Sembra che gli organizzatori inglesi abbiano considerato due miliardi e passa di spettatori bambini deficienti a cui appioppare un corso accelerato (e semplificato per menti subnormali) di storia inglese. Una sit-com storica dai pascoli alle ciminiere della rivoluzione industriale, alla prima guerra mondiale fino alle meraviglie della cultura pop, con calibrato dosaggio di un occhietto alla destra e un ammiccamento alla sinistra come l’omaggio al Servizio sanitario nazionale che ha fatto gridare allo scandalo alcuni conservatori inglesi indignati per «la minestra sinistrorsa e multiculturalista».
Con la sfrontatezza cui i gran signori danno libera stura quando si trovano soli con la propria servitù, ci sono stati ammanniti tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili dall’autrice di Harry Potter che legge Peter Pan, a dozzine di Mary Poppins che scendevano già dal soffitto. Nulla ci è stato risparmiato, dalla sosia della regina Elisabetta II che si butta in paracadute insieme a James Bond, a David Beckam che guida un tedoforo su un motoscafo, fino a Paul McCartney che conclude la serata rifilandoci uno dei successi storici dei Beatles, «Hey Jude». Rispetto alla precisione matematica e quindi all’astratto carattere meccanico di «orologio umano» che aveva avuto l’inaugurazione di Pechino del 2008, questa londinese sembra, per riprendere ancora il New York Times, «la versione bollywoodiana di una recita di quinta elementare». L’aspetto Bollywood non è casuale visto che la regia dell’evento era affidata al regista inglese Danny Boyle che ha diretto Slumdog Millionaire.
L’insularità che trapelava dall’evento era tale da richiamare irresistibilmente un celebre titolo di un tabloid londinese, un giorno che la tempesta sulla Manica aveva interrotto i traghetti: «Isolato il continente». E infatti sempre il NYT conclude: «L’immaginario mescolava la gloria di un giubileo reale con la sgradevolezza di un giro di pub di Manchester. La Gran Bretagna ci ha offerto un’esibizione di humour e umiltà che può sgorgare solo da un profondo senso di superiorità».
Infatti, almeno una tradizione squisitamente britannica, quest’evento l’ha rispettata. Ed è quella che un tempo aveva reso famose le signore inglesi che, quando volevano acconciarsi e abbigliarsi in modo orribile, ci riuscivano alla perfezione.Ma la notte londinese di venerdì sera ha battuto tutti i record, al di là di ogni aspettativa. Come ha chiosato la reporter del New York Times, «anche il cattivo gusto fa parte delle tradizioni britanniche».
Sembra che gli organizzatori inglesi abbiano considerato due miliardi e passa di spettatori bambini deficienti a cui appioppare un corso accelerato (e semplificato per menti subnormali) di storia inglese. Una sit-com storica dai pascoli alle ciminiere della rivoluzione industriale, alla prima guerra mondiale fino alle meraviglie della cultura pop, con calibrato dosaggio di un occhietto alla destra e un ammiccamento alla sinistra come l’omaggio al Servizio sanitario nazionale che ha fatto gridare allo scandalo alcuni conservatori inglesi indignati per «la minestra sinistrorsa e multiculturalista».
Con la sfrontatezza cui i gran signori danno libera stura quando si trovano soli con la propria servitù, ci sono stati ammanniti tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili dall’autrice di Harry Potter che legge Peter Pan, a dozzine di Mary Poppins che scendevano già dal soffitto. Nulla ci è stato risparmiato, dalla sosia della regina Elisabetta II che si butta in paracadute insieme a James Bond, a David Beckam che guida un tedoforo su un motoscafo, fino a Paul McCartney che conclude la serata rifilandoci uno dei successi storici dei Beatles, «Hey Jude». Rispetto alla precisione matematica e quindi all’astratto carattere meccanico di «orologio umano» che aveva avuto l’inaugurazione di Pechino del 2008, questa londinese sembra, per riprendere ancora il New York Times, «la versione bollywoodiana di una recita di quinta elementare». L’aspetto Bollywood non è casuale visto che la regia dell’evento era affidata al regista inglese Danny Boyle che ha diretto Slumdog Millionaire.
L’insularità che trapelava dall’evento era tale da richiamare irresistibilmente un celebre titolo di un tabloid londinese, un giorno che la tempesta sulla Manica aveva interrotto i traghetti: «Isolato il continente». E infatti sempre il NYT conclude: «L’immaginario mescolava la gloria di un giubileo reale con la sgradevolezza di un giro di pub di Manchester. La Gran Bretagna ci ha offerto un’esibizione di humour e umiltà che può sgorgare solo da un profondo senso di superiorità».
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