Dibattito sul Manifesto - sinistrainrete -
Interventi di Pitagora, Cesaratto e Halevi
La fine di una moneta
di PitagoraIl disordine regna sovrano in Europa. Se il presidente della Bce Mario Draghi asserisce in un'intervista al quotidiano Le Monde che l'euro è irreversibile, il cancelliere tedesco Merkel si dichiara «ottimista» ma non sicura della sopravvivenza dell'euro. La scorsa settimana l'Eurosistema ha deciso di non accettare titoli di stato emessi o garantiti dalla Repubblica ellenica come collaterale per ottenere prestiti fino alla «conclusione dell'esame condotto dalla Commissione europea, in raccordo con la Bce e l'Fmi, sui progressi compiuti dalla Grecia»; il Fondo Monetario Internazionale, a sua volta, secondo quanto riportato da autorevoli fonti di stampa, starebbe valutando l'idea di bloccare gli aiuti alla Grecia. Il mese di luglio è ormai trascorso senza che siano state avviate misure concrete per rendere operativo il cosiddetto «scudo anti spread» che era stato approvato alla fine di giugno, con grande risalto mediatico, dai capi di stato e di governo dell'Unione europea.
La prolungata assenza di indicazioni precise, convergenti e realizzabili, oltre che di misure concrete, da parte di coloro che hanno il potere di prendere decisioni rilevanti per i mercati finanziari ha favorito l'attuale drammatica situazione.
Malgrado l'elevatissimo rendimento atteso, le decisioni di disinvestimento dai titoli degli stati periferici dell'area dell'euro sopravanzano sempre più largamente le decisioni di acquisto. Il divario tra il rendimento dei titoli decennali dello stato spagnolo e quelli analoghi tedeschi ha ampiamente superato i 600 punti base, quello sui titoli italiani ha nuovamente valicato la soglia dei 500 punti base; si tratta di livelli insostenibili per le finanze pubbliche e l'economia di entrambi gli stati che incorporano un'elevatissima probabilità di fallimento.
In questa situazione l'Europa e i governi degli stati nazionali non possono più tergiversare. L'economia reale e finanziaria dei paesi periferici dell'Eurozona è in via di smantellamento; in Grecia si intensificano i fenomeni di denutrizione di ampie fasce di popolazione, tra cui tanti bambini; dovunque la disoccupazione ha raggiunto livelli insostenibili, anche se i salari e le pensioni sono stati drasticamente diminuiti e le tutele sociali smantellate. Il fallimento delle politiche economiche neoliberiste, che in Italia sono sostanzialmente proseguite senza soluzione di continuità rispetto al passato, sollecita un immediato cambiamento negli indirizzi di governo, ma purtroppo è probabile che sia troppo tardi perché possa avere effetto. La situazione è precipitata a un punto tale che in assenza di acquisti di quantità elevatissime di titoli di stato da parte dell'Eurosistema, non si può che predisporre un'uscita ordinata dalla moneta unica.
Non è detto che sia un dramma; l'euro non può essere un tabù. Con l'attuale livello di sviluppo delle tecnologie informatiche e delle reti telematiche, la moneta unica costituisce essenzialmente un mero valore simbolico, perché i vantaggi negli scambi sono trascurabili; viceversa, in assenza di un piano di convergenza verso un'unione istituzionale ed economica, la moneta unica costituisce un insuperabile fattore di rigidità.
L'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che in situazioni di squilibrio negli scambi reali e finanziari tra nazioni, gli interventi sul costo del lavoro, anche drastici, tendono ad accentuare gli squilibri piuttosto che a superarli; ciò è stato tanto più vero quando non sono stati accompagnati da efficaci interventi redistributivi del reddito e della ricchezza. Ripristinare la leva del cambio consente non solo di agire sul livello dei prezzi relativi dei beni prodotti in paesi diversi ma anche sul valore delle attività e passività finanziarie senza influire sui rischi di rimborso del capitale. Anche sui mercati internazionali gli effetti sarebbero trascurabili perché l'euro è stato finora utilizzato in misura molto contenuta come moneta internazionale di riserva, funzione mantenuta in modo pressoché monopolistico dal dollaro.
Va poi considerato che l'uscita dalla moneta unica potrebbe accompagnarsi al potenziamento del sistema europeo di banche centrali del quale fanno parte gli stati che non hanno adottato l'euro (ad esempio Gran Bretagna, Danimarca, Svezia) per irrobustire il coordinamento delle politiche finanziarie tra i Paesi Ue. Di per sé, l'eventuale ritorno alle monete nazionali non è un ostacolo alla costruzione dell'Europa Unita e agli interventi di rafforzamento delle istituzioni comunitarie in una prospettiva democratica e meno tecnocratica.
Uscire dall'euro si può
di Sergio Cesaratto
Con l'inferno nei mercati e un’assordante assenza di leadership europea il destino anche per Italia e Spagna è segnato: un destino di inutili sacrifici prima, di uscita disordinata poi.
Bene dunque ha fatto ieri sul manifesto Pitagora [v. sopra] a invocare un'uscita ordinata del nostro paese. Questa non solo è possibile, ma realistica. Il realismo dipende dal fatto che un intervento della Bce oggi da tutti invocato sarebbe limitato dai tedeschi a riportare gli spread appena sotto i 500 punti, senza intaccare le cause della crisi.
Limitandosi a procrastinare l'agonia, la Bce farebbe semplicemente marcire la situazione. Se dichiarasse ora la sua garanzia illimitata sui debiti sovrani e l'obiettivo di ridurre gli spread ai livelli pre-crisi, i mercati ci crederebbero. In una situazione marcita assai meno. Poco male, qualche massiccio intervento di acquisto li convincerebbe, ma questo sarebbe ancor più difficile da digerire per i tedeschi i quali, comunque, non vogliono adottare le politiche espansive necessarie a riequilibrare l'Europa.
Le scelte della Bce degli ultimi giorni remano, peraltro, nella direzione opposta a quella auspicata. Non solo la Bce ha cominciato a rifiutare come collaterale per i prestiti alle banche elleniche titoli di stato o garantiti dallo stato greco, come riferito da Pitagora, ma ciò ha riguardato tutti i paesi (devo ad A. G. questa informazione suffragata da blog specialistici).
Qual è il giochetto che la Bce ha interrotto (e che forse ha scatenato la crisi terminale)?
I capitali da mesi scappano dai debiti pubblici e dalle banche di Spagna e Italia. Le banche possono ricorrere a ri-finanziamenti dalla propria banca centrale, ma devono versare titoli a garanzia (collaterale). Le banche non avevano più collaterali di qualità come «pezze d'appoggio», quindi stavano per saltare, una ulteriore pressione sugli stati che le devono soccorrere. La Bce però consentiva loro di emettere obbligazioni garantite dagli stati, titoli accettati come collaterale per ottenere liquidità; con la liquidità ottenuta le banche compravano titoli pubblici, a loro volta offerti alla Bce per ottenere ulteriore liquidità e così via. Banche e stati riuscivano così a rifinanziarsi, mentre le banche lucravano la differenza fra il basso costo di rifinanziamento presso la Bce e gli alti tassi che gli stati pagano. Quindi un pessimo surrogato dell'intervento diretto della Bce nel sostegno agli stati perché alla lunga il giochetto rende gli stati insolventi.
L'Eurosistema (Bce più banche centrali nazionali) è finito comunque per vantare enormi crediti verso la periferia, ed equivalenti debiti verso coloro che hanno portato capitali in Germania.
Se l'euro salta, quei debiti si ritroverebbero sul groppone della Bundesbank. Ma se si blocca il giochetto l'euro salta (damned if you do, damned if you don't). Ecco che si spiega perché Moody's ha assegnato ieri un outlook negativo alla Germania e i Cds sui Bund (una sorta di assicurazione sul fallimento) stanno salendo.
Ma se l'Italia uscisse sarebbe impossibilitata a rifinanziare il proprio debito pubblico e lo stato fallirebbe, come sosteneva Federico Fubini lunedì sera su Rai News? Nessuno stato sovrano che emetta la propria moneta può fallire, dunque questo verrebbe anche a garanzia dei crediti tedeschi, che certo varrebbero di meno se ripagati nella nuova-lira, ma solo, ipotizziamo, di un 20% in meno.
Questa disinformazione, condita dei più crassi luoghi comuni come nel caso del comizio di Fubini da Mineo (che riesce per lo più a invitare «esperti» di questo tipo), ci rammenta l'importanza che i cittadini vengano informati sulla verità della situazione, come sottolineato nell'opportuno appello di ieri su questo giornale. Infine, che fuori dall'euro l'Italia dovrebbe finalmente diventare un paese maturo, in ogni sua componente. Di questo prima o poi si dovrà anche parlare.
La rottura monetaria
di Joseph HaleviLe politiche di austerità condotte in Grecia, Italia e Spagna stanno aggravando la crisi e la stessa situazione debitoria dei paesi summenzionati. Questo stato di cose comporta la rottura del meccanismo di trasmissione monetaria nell'eurozona. Al grande pubblico non se ne parla ma negli organi più specializzati la rottura monetaria dell'eurozona viene sottolineata ai massimi livelli.
La settimana scorsa il governatore della Banque de France Christian Noyer ha concesso un'intervista al quotidiano finanziario tedesco Handesblatt, riportata per intero in francese sul sito della Banque de France. Dopo aver espresso la sua fedeltà all'euro, Noyer afferma che «la modificazione dei nostri tassi d'interesse centrali (della Bce) non si sta ripercuotendo sull'economia. Per i mercati il tasso applicato alle varie banche dipende dal costo del finanziamento dello Stato e non dai tassi fissati dalla banca centrale». E qui appare la giustissima osservazione che avrebbe dovuto ottenere titoli di prima pagina: «Ciò significa che la trasmissione della politica monetaria non è operante». Vale a dire, la Bce non riesce più a dirigere la politica monetaria dell'eurozona. Noyer sottolinea che tale fenomeno «è inaccettabile per una banca centrale in un'unione monetaria». Il sistema monetario europeo non è dunque più tale. L'unica misura che ottiene la fiducia dei mercati è l'elargizione di soldi direttamente alle banche. Tuttavia, sostiene Noyer, «in futuro non possiamo appoggiarci indefinitivamente su un sistema ove la banca centrale finanza massicciamente il sistema bancario e riceve massicciamente liquidità dall'altro lato del suo bilancio». L'euro è pertanto diventato una mucillagine.
Possiamo ora raffrontare le ineccepibili constatazioni di Noyer con l'affermazione con cui Mario Draghi chiude l'intervista a le monde di ieri 24 luglio. L'euro non è in pericolo, afferma Draghi senza addurre alcuna spiegazione economica. Tira invece in ballo l'insindacabilità della classe politica. Citiamolo integralmente: «Si vedono degli analisti immaginare scenari di esplosione della zona dell'euro. Ciò equivale a misconoscere il capitale politico che i nostri dirigenti hanno investito nell'unione e l'appoggio dei cittadini europei. L'euro è irreversibile». Certamente, fino alla sua putrefazione totale, visto che il sistema monetario di cui è espressione non funziona proprio più nelle sue arterie e centri nevralgici principali.
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