Fonte. Megachip. - fabionews -
Un possibile percorso interpretativo
della crisi, normalmente trascurato dalla principale corrente dei media,
potrebbe passare anche attraverso una lettura delle dinamiche che intercorrono
tra blocchi geopolitici.
Osservando una sorta di foto panoramica
coglieremo meglio quegli elementi che nelle immagini troppo di dettaglio della
crisi tendono a sfuggire.
Seguiamo questa ipotesi:
- Con il peggiorare della situazione spagnola e francese (ma è di oggi l’attacco al Belgio, all’Olanda e all’Austria) è ormai chiaro che la crisi di sfiducia dei mercati è sistemica: è nei confronti dell’Euro – Europa e non nei confronti di uno o due paesi.
- Chi sono i “mercati”? Di essi si possono dare due descrizioni. La prima è quella tecnica, ovvero la sommatoria di singole azioni di investimento prese in base alle informazioni disponibili. I mercati sono storicamente affetti da sindrome gregaria, per cui se una massa critica (quantità) o qualificata (qualità) si muove in una direzione, tutto il mercato la segue. Ciò adombra una seconda descrizione possibile ovvero quella dell’interesse strategico che una parte dotata di impatto quantitativo e qualitativo potrebbe avere, trascinando con sé il resto del mercato. I mercati, di per loro, non hanno interesse strategico: si muovono nel breve termine. Alcuni operatori di mercato però (banche e fondi anglosassoni) potrebbero avere interessi strategici e soprattutto essere in grado di perseguirli sistematicamente (rating, vendite alla scoperto, calo degli indici, rialzo dello spread, punizioni selettive, operazioni sui CDS, manovrare non solo i mercati ma - data l’importanza che questi hanno - l’intera vicenda sociale e politica di una o più nazioni. Tali comportamenti non solo perseguono un vantaggio a lungo periodo di tipo geostrategico ma garantiscono anche di far molti soldi nel mentre lo si persegue, una prospettiva decisamente invitante ).
- Quale potrebbe essere l’interesse strategico che muove alcuni operatori di mercato ? Decisamente lo smembramento e il depotenziamento europeo. Colpire l’Europa significa: 1) eliminare il concorrente forse più temibile per la diarchia USA – UK, tenuto conto che con la Cina c’è poco da fare; 2) riaprirsi la via del dominio incondizionato del territorio europeo secondo l’intramontabile principio del “divide et impera”; 3) eliminare una terza forza (USA – ( EU ) – Cina) riducendo la multipolarità a bipolarità, una riduzione di complessità. Male che vada si sono comunque fatti un mucchio di soldi e il dettato pragmatista è salvo.
- Su cosa contano i mercati ? Sulla oggettiva precarietà della costruzione europea al bivio tra il disfacimento e un improbabile rilancio strategico verso progetti federali. Sulla distanza tra opinioni pubbliche e poteri politici che rende appunto “improbabile” un rilancio dell’iniziativa strategica europeista proprio nel momento di maggior crisi, dove si innalzano non solo gli spread ma anche la paura, l’ottica a breve, la difesa del difendibile ad ogni costo, la rinascenza dell’egoismo nazionale. Sulla oggettiva asimmetria tra Germania e resto d’Europa, una asimmetria strutturale che fa divergere gli interessi, ma più che altro la scelta del come far fronte ad un attacco del genere. È pensabile che tutta Europa pur di mettere a sedere in breve tempo la c.d. “speculazione” , concorderebbe facilmente e velocemente sulla possibilità di far stampare euro in BCE per riacquistare debito, magari a tassi politici (un 2% ad esempio ) ma per la Germania questo è semplicemente inaccettabile. Infine sia la Germania, sia la Francia, sia a breve la Spagna e un po’ dopo la Grecia avranno appuntamenti elettorali (nonché ovviamente l’Italia ) e questi condizioneranno in chiave “breve termine” e “nazionale” le ottiche politiche. Ciò potrebbe spiegare anche il: perché adesso ?
A ben vedere e se volessimo
seguire l’ipotesi “complotto anglosassone” si presenta anche un obiettivo
intermedio: poter premere per disaggregare l’Europa in due, tutti da
una parte e l’area tedesca dall’altra (area tedesca = da un minimo della sola
Germania, ad un massimo di Olanda, Austria, Slovacchia ? Finlandia ? Estonia ?
con particolare attrazione nei confronti dell’ex Europa dell’Est).
L’euro rimarrebbe
all’interno di una zona che avrebbe la Francia e l’Italia come poli principali,
si svaluterebbe, perderebbe il suo potenziale di moneta internazionale
concorrente del dollaro (diventerebbe, per quanto rilevante, una moneta
“regionale”).
Il deprezzamento dell’euro, secondo
alcuni analisti, era forse l’obiettivo primario di questa ipotizzata strategia.
Il fine minimo sarebbe quello di riequilibrare la pericolante bilancia dei
pagamenti statunitense, oltre agli obiettivi di geo monetarismo.
Altresì il “nuovo marco” si
apprezzerebbe, chiudendo un certo angolo di mercato dell’esportazione tedesca
cosa che faciliterebbe l’espansione dell’export americano che gli è, per molti
versi, simmetrico.
Ciò che gli USA perderebbero per
l’apprezzamento dollaro – nuovo euro (perderebbero in export ma guadagnerebbero
in import, le bilance dei pagamento USA e UK sono le più negative nei G7) lo
recupererebbero nel deprezzamento dollaro – marco, ma a ciò si aggiungerebbero
tutti gli ulteriori benefici del dissolvimento del progetto di Grande Europa.
Il progetto Grande Europa guardava oltre
che ad est anche al Nord Africa, al Medio Oriente ed alla Turchia, al suo
dissolvimento questi, tornerebbero mercati contendibili.
Da non sottovalutare il significato
“esemplare” di questo case history per quanti (Sud America, Sud Est
Asiatico) stanno pensando di fare le loro unioni monetarie.
Una volta sancito il divorzio euro –
tedesco, l’Europa quanto a sistema unico, svanirebbe in un precario ed instabile
sistema binario ed avrebbe il suo bel da fare almeno per i prossimi 15 - 20
anni.
Una strategia geo politica oggi, non può
sperare in un orizzonte temporale più ampio. Forse questa ipotesi ha il pregio
di funzionare sulla carta ma molto meno nella realtà.
Il giorno che s’annunciasse questo
cambio di prospettiva (anticipato da un lungo, lento e spossante succedersi di
scosse telluriche) spostare la BCE a Bruxelles e riformulare tutti i trattati
sarebbe una impresa a dir poco disperata. Con i governi in campagna elettorale
poi sarebbe un massacro. Ma non è altresì detto che ciò che ci sembra
improbabile in tempi normali, sia invece possibile o necessario in tempi
rivoluzionari.
Il silenzio compunto degli
americani sulla crisi dell’eurozona potrebbe testimoniare del loro attivo
interesse in questa operazione. Se ci astraiamo dalla realtà e
guardiamo il tutto con l’occhio terzo di un marziano, non un atto, non un
incontro, non un pronunciamento se non quelli di prammatica (digitate Geithner
su Google e troverete una pagina che riporta una sola frase:” l’euro deve
sopravvivere 1]”
dichiarato il 9.11.2011, un gran bel pronunciamento) , accompagnano la crisi del
primo alleato strategico degli USA. La crisi è degli europei e gli europei
debbono risolverla, questo il refrain che accompagna gli eventi. Quale
terzietà ! Quale bon ton non interventista ! Quale inedito rispetto delle altrui
prerogative sovrane !
Al silenzio americano, fa da
contraltare il chiacchiericcio britannico dove Cameron non passa giorno
(e con lui il FT, l’Economist e molti economisti a stipendio delle
università britanniche ed americane ) senza sottolineare come l’impresa
dell’euro non aveva speranze e ciò a cui assistiamo non è che la logica
conseguenza di questo sogno infantile. Sulla tragica situazione dell’economia
britannica avete mai sentito pronunciar verbo ?
Qualche giorno fa c’è stata una frase
del tutto ignorata anche perché pronunciata dal Ministro degli Esteri francese
Alain Juppé (le connessioni neuronali dei giornalisti sono sempre a corto raggio
e soprattutto mancano sistematicamente di coraggio). Cos’ha detto Juppé?
Relativamente alle notizie sull’Iran, ha pronunciato un pesante giudizio: “gli
Stati Uniti sono una forza oggettivamente destabilizzante”.
Da ricordare il disprezzo americano che
ha accompagnato l’ipotesi “Tobin tax” sostenuta virilmente da Sarkozy all’ultimo
G20 e le impotenti lagnanze dell’Europa per lo strapotere non del tutto
trasparente dei giudizi di rating, nonché le lamentale off record di Angela
Merkel sull’indisponibilità anglosassone a dar seguito ai buoni propositi
regolatori della banco finanza internazionale che si sprecarono all’indomani del
botto Lehman e che sono poi diventati remote tracce nelle rassegne stampa.
Il punto è quindi tutto in
Germania. O la Germania sceglierà il destino che le è stato confezionato da
questa presunta strategia o avrà (un improbabile) scatto di resistenza.
Da una parte, il consiglio dei
saggi dell’economia tedesca (la consulta economica del governo tedesco
è una istituzione che è eletta direttamente dal Presidente della Repubblica) che
ha nei giorni scorsi emesso il suo verdetto: tutti i debiti sovrani
dell’eurozona che eccedono il 60% di rapporto debito/Pil vanno ammucchiati in un
fondo indifferenziato e sostenuti dall’emissione di eurobond garantiti in solido
dai singoli stati ognuno in ragione ovviamente della sua percentuale di debito
in eccedenza.
Gli eurobond sicuri e garantiti
spalmerebbero l’eccesso di debito in 25 – 30 anni, (quello della dilazione
temporale è poi ciò che sta facendo la Fed che compra bond del Tesoro Usa a
breve per farne riemettere a lungo).
Dall’altra parte la cancelliera tedesca
agita lo spettro di una quanto mai improbabile rinegoziazione del Trattato di
Maastricht in senso ulteriormente restrittivo e con diritto di invasione di
campo nelle economie politiche nazionali da parte degli eurocrati di
Francoforte. La Germania però non sembra potersi porre all’altezza dei
suoi compiti strategici e probabilmente lascerà fare agli eventi.
Laddove una volontà forte, intenzionata
ed organizzata incontra una volontà debole, dubbiosa e con competizione delle
sue parti decisionali, l’esito è scontato. Vedremo come finirà.
1]
“sopravvivere” è il termine esatto che fa capire quale sarebbe il desiderio
americano, un tramortimento, un depo tenziamento che non faccia tracollare la
già più che certa recessione che ci aspetta nel prossimo decennio. Comunque al
di là delle parole, nei fatti, l’empatia americana per la crisi europea è tutta
in questa magra frase.
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