Se la rotta deve cambiare, nei primi cento giorni di nuovo governo ci sono quattro cose da fare subito: meno armi più scuole, dai soldi sporchi lavori verdi, un fisco contro le disuguaglianze, il lavoro da tutelare. E una da fare prima: cittadinanza per chi nasce da noi
Il 2012 è stato un annus horribilis per l’Italia e per gran parte dell’Europa, e il 2013 si preannuncia non molto migliore. Le elezioni, ancora segnate da una grandissima incertezza, aprono la possibilità di un successo del centro-sinistra e Pierluigi Bersani potrebbe trovarsi a essere il prossimo presidente del consiglio. Sarà molto difficile governare un’Italia in rotta, con una pessima situazione economica, sociale, politica; sembra quasi che lo spazio politico per il centro-sinistra si apra solo quando i “poteri forti” del paese non sanno più come uscire dai gravi problemi accumulati nel tempo. Anche l’Europa e i mercati finanziari – Financial Times e Economist compresi – sembrano accettare la possibilità dell’arrivo al potere del centro-sinistra.
I primi cento giorni di un nuovo governo sono considerati una prova importante per l’indirizzo dell’insieme della legislatura; si tratta di affrontare l’emergenza economica e finanziaria e, allo stesso tempo, di introdurre elementi di cambiamento – concreti e visibili – che diano da subito il segnale che si cerca di uscire dalla recessione, di rovesciare le disuguaglianze, di riportare un po’ di giustizia economica e sociale, di rilanciare la democrazia: che si vuole aprire una nuova epoca, dare una nuova rotta all’Italia.
Si tratta di una sfida complessa, come insegna l’esperienza francese. Nelle primissime settimane dopo l’investitura di François Hollande alla presidenza, il nuovo governo ha preso decisioni sostanzialmente “di sinistra”, conformi al programma a suo tempo pubblicato. Ma poi la sua azione è sembrata impantanarsi o volgere verso linee più moderate; il fatto è che anche il paese nostro vicino si trova di fronte ad una situazione piena di problemi e di contraddizioni, dalla quale il “riformismo morbido” dei socialisti (non molto discosto da quello del Pd) trova molte difficoltà a districarsi.
È quindi importante, in caso di vittoria del centro-sinistra alle elezioni del 24-25 febbraio 2013 – che le prime settimane di governo siano segnate da alcune decisioni forti, capaci di segnalare il “cambio di rotta” di cui l’Italia ha bisogno, ma allo stesso tempo fattibili sul piano politico e capaci di offrire risultati concreti nell’immediato. Una sorta di antipasto necessario, rispetto a un programma complessivo di medio periodo, quale può essere quello tracciato nella nostra confrofinanziaria. Ecco quindi cinque proposte per le prime settimane di governo che potrebbero dare il segno dell’azione dell’esecutivo e infondere qualche entusiasmo in quella parte del paese che non attende altro che di vedere finalmente un cambiamento di rotta.
Pierluigi Bersani ha detto nel dicembre scorso che la prima decisione che prenderà, se sarà eletto, sarà quella di dare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati che sono nati nel nostro paese. Questo sarebbe certamente un ottimo inizio. Un programma semplicissimo, riassumibile in una frase: chi nasce in Italia è italiano. I dettagli tecnici della proposta sono pronti, messi nero su bianco (e portati in parlamento, nella vecchia legislatura) dalla campagna L'Italia sono anch'io. Qui ci interessa spiegare perché è importante che sia questa la prima cosa nuova che vede la luce. Sarebbe una scelta giusta, civile, di grande valore democratico e culturale, un'inversione radicale rispetto alle politiche escludenti e discriminatorie prevalse sino ad oggi, e darebbe un segnale di cambiamento molto forte verso quel principio di eguaglianza che negli ultimi anni è stato così duramente calpestato. L’art. 3 della Costituzione afferma che tutte le persone hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, impegnando lo stato a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Una nuova legge sulla cittadinanza ci incamminerebbe tutti verso la costruzione di una società più giusta, aperta, inclusiva e solidale piuttosto che ripiegata su stessa, competitiva, individualistica, rancorosa ed escludente. Si tratta tra l’altro di una riforma a costo zero, anzi potrebbe anche avere un saldo positivo, contribuendo a contenere la spesa per la pubblica amministrazione, grazie alla diminuzione del numero di pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno che ne conseguirebbe.
Ma qui ci occupiamo soprattutto di temi economici e su questo fronte ci sono quattro mosse che potrebbero dare l’avvio alla partita del nuovo governo. Viste le difficoltà finanziarie del paese, le misure che proponiamo hanno il pregio di essere “a costo zero” e non dovrebbero aumentare di un euro né il livello del debito pubblico, né quello del deficit di bilancio del nostro paese.
Primo: meno armi, più scuole
La prima decisione dovrebbe riguardare un taglio relativamente importante delle spese militari, diciamo quattro-cinque miliardi di euro all’anno; la somma così risparmiata dovrebbe essere destinata quasi interamente a un aumento delle spese dedicate alla scuola, ovviamente soltanto a quella pubblica e, per una parte ridotta, all’incremento della dotazione della cooperazione per lo sviluppo, dotazione quasi azzerata dal governo Berlusconi, mentre il governo Monti ha operato nella logica della privatizzazione degli aiuti al Sud del mondo. Si tratterebbe di un taglio limitato – molto inferiore a quello che preferiremmo – che, se realizzato con il necessario discernimento, non avrà effetti negativi sul sistema di difesa del paese. Le maggiori risorse per la scuola permetterebbero di migliorare i servizi dopo decenni di tagli continui, di ridurre la precarietà dei docenti, di aumentare l’occupazione e i salari, di dare un segnale che il paese investe nel proprio futuro. Uno spostamento di risorse e di occupazione analogo è stato realizzato in Francia da François Hollande; tagli di progetti militari sono stati introdotti in Germania, Regno Unito e Canada.
Dai soldi sporchi, lavori verdi
Gli italiani più ricchi hanno portato clandestinamente in Svizzera intorno ai 150 miliardi di euro, sottratti all’imposizione fiscale in Italia. Diversi altri paesi europei, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno trattato e concluso accordi con la Svizzera per ottenere il pagamento di una tassa una tantum (con aliquote da definire, tra il 20 e il 40%) su questi capitali, e per la tassazione dei redditi annuali che essi ottengono. Una forma di accordo dell’Italia con la Svizzera sull'accertamento e la tassazione forfettaria di questi capitali potrebbe portare al pagamento di molti miliardi di euro al nostro paese come risarcimento per l’imposizione fiscale mancata, e – se ben negoziato, evitando che porti con sé un condono tombale – potrebbe anche porre le premesse per evitare nuova evasione in futuro. Per dare maggiore forza nella contrattazione con la Svizzera si potrebbe affiancare tale accordo con una patrimoniale straordinaria sui capitali scudati, al di sopra di una certa soglia.
La nostra seconda proposta è che queste risorse potrebbero finanziare un piccolo “piano del lavoro verde” con una forte regia dei poteri pubblici. Anche qui, si tratta di riprendere esperienze già avviate in Europa. In Gran Bretagna si sta creando una grande banca pubblica per gli investimenti nell’economia verde, con il governo conservatore che ha stanziato a tale proposito 4 miliardi di euro. La Francia sta lanciando una Banca pubblica per lo sviluppo con risorse rilevanti. In Germania la BFK, gigante finanziario, ha il programma di investire 100 miliardi di euro da qui al 2022 per interventi per il risparmio energetico nelle abitazioni e energie rinnovabili. L’Italia potrebbe seguire questi esempi, e destinare 4-5 miliardi di euro a una struttura simile, creando forse 50 mila posti di lavoro “verdi” con effetti moltiplicativi sul resto dell’economia, di risparmio delle importazioni di energia del paese e di avvio di una traiettoria di sviluppo più sostenibile. Il resto delle risorse che potranno venire dall’accordo con la Svizzera potrebbero coprire, almeno in parte, la necessità urgente di offrire protezione pensionistica ai lavoratori “esodati”.
Terzo: un fisco capace di togliere ai ricchi per dare ai poveri
È importante che l’intervento dello stato attraverso il fisco diventi uno strumento chiave per ridurre le disuguaglianze che in Italia sono aumentate in modo estremamente grave. Si tratta qui di introdurre un’imposta sui patrimoni finanziari oltre che immobiliari e di ridisegnare le aliquote delle imposte sul reddito. Oltre ai piccoli passi realizzati dal governo Monti su questo fronte – Imu e misure sulla finanza – è necessaria rendere organica e coerente la tassazione dei patrimoni; si potrebbero ottenere in questo modo forse 10 miliardi di euro l’anno. La tassazione sui patrimoni dovrebbe essere progressiva e con una franchigia per i patrimoni degli individui, invece proporzionale e senza franchigia per le società con una base imponibile. La tassazione con i patrimoni delle società consentirebbe di ridurre i prelievi introdotti da Monti anche sui piccoli conti correnti e ridurre la pressione sull’Imu delle prime case. Queste risorse potrebbero consentire sgravi fiscali di qualche rilievo per le fasce sociali più deboli e per i redditi da lavoro, diciamo che i 5 milioni di italiani con redditi più bassi potrebbero pagare così duemila euro di tasse in meno l’anno sui loro redditi da lavoro. In parallelo, si tratterebbe di ridisegnare in senso più progressivo le aliquote delle imposte sul reddito, consentendo ulteriori aggiustamenti per ridurre le disuguaglianze. Sarebbe un piccolo segnale di giustizia economica e di consolidamento di un blocco sociale nuovo intorno al governo di centro-sinistra.
Quarto: lavorare con dignità
Infine, è indispensabile dare il segnale che si cambia rotta sulla tutela del lavoro. Il nuovo governo potrebbe cancellare immediatamente l’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 varata dal governo Berlusconi, ripristinando i diritti sindacali fondamentali dei lavoratori e i meccanismi di rappresentanza, fermando le discriminazioni introdotte da quelle misure. Questa misura ridarebbe dignità ai lavoratori e ricreerebbe le condizioni per un dialogo sociale, fermando la grave deriva nelle relazioni sindacali di questi anni e scoraggiando le imprese dal perseguire comportamenti anti-sindacali e discriminatori.
Non nascondiamo che vorremmo anche il ripristino del vecchio testo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla tutela dal licenziamento, ma le resistenze in proposito di una parte del Pd rendono questa misura difficilmente realizzabile all’inizio del percorso del nuovo governo
Quattro piccole grandi cose che non costano nulla. Ma che mostrerebbero in poche settimane agli italiani che una politica diversa – fatta per i giovani, per chi lavora e chi non ha lavoro, per le famiglie più povere, per chi paga le tasse regolarmente – è possibile. Anche nel mezzo della crisi e dei gravi problemi strutturali che abbiamo. Anche in paese come l’Italia.
I primi cento giorni di un nuovo governo sono considerati una prova importante per l’indirizzo dell’insieme della legislatura; si tratta di affrontare l’emergenza economica e finanziaria e, allo stesso tempo, di introdurre elementi di cambiamento – concreti e visibili – che diano da subito il segnale che si cerca di uscire dalla recessione, di rovesciare le disuguaglianze, di riportare un po’ di giustizia economica e sociale, di rilanciare la democrazia: che si vuole aprire una nuova epoca, dare una nuova rotta all’Italia.
Si tratta di una sfida complessa, come insegna l’esperienza francese. Nelle primissime settimane dopo l’investitura di François Hollande alla presidenza, il nuovo governo ha preso decisioni sostanzialmente “di sinistra”, conformi al programma a suo tempo pubblicato. Ma poi la sua azione è sembrata impantanarsi o volgere verso linee più moderate; il fatto è che anche il paese nostro vicino si trova di fronte ad una situazione piena di problemi e di contraddizioni, dalla quale il “riformismo morbido” dei socialisti (non molto discosto da quello del Pd) trova molte difficoltà a districarsi.
È quindi importante, in caso di vittoria del centro-sinistra alle elezioni del 24-25 febbraio 2013 – che le prime settimane di governo siano segnate da alcune decisioni forti, capaci di segnalare il “cambio di rotta” di cui l’Italia ha bisogno, ma allo stesso tempo fattibili sul piano politico e capaci di offrire risultati concreti nell’immediato. Una sorta di antipasto necessario, rispetto a un programma complessivo di medio periodo, quale può essere quello tracciato nella nostra confrofinanziaria. Ecco quindi cinque proposte per le prime settimane di governo che potrebbero dare il segno dell’azione dell’esecutivo e infondere qualche entusiasmo in quella parte del paese che non attende altro che di vedere finalmente un cambiamento di rotta.
Pierluigi Bersani ha detto nel dicembre scorso che la prima decisione che prenderà, se sarà eletto, sarà quella di dare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati che sono nati nel nostro paese. Questo sarebbe certamente un ottimo inizio. Un programma semplicissimo, riassumibile in una frase: chi nasce in Italia è italiano. I dettagli tecnici della proposta sono pronti, messi nero su bianco (e portati in parlamento, nella vecchia legislatura) dalla campagna L'Italia sono anch'io. Qui ci interessa spiegare perché è importante che sia questa la prima cosa nuova che vede la luce. Sarebbe una scelta giusta, civile, di grande valore democratico e culturale, un'inversione radicale rispetto alle politiche escludenti e discriminatorie prevalse sino ad oggi, e darebbe un segnale di cambiamento molto forte verso quel principio di eguaglianza che negli ultimi anni è stato così duramente calpestato. L’art. 3 della Costituzione afferma che tutte le persone hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, impegnando lo stato a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Una nuova legge sulla cittadinanza ci incamminerebbe tutti verso la costruzione di una società più giusta, aperta, inclusiva e solidale piuttosto che ripiegata su stessa, competitiva, individualistica, rancorosa ed escludente. Si tratta tra l’altro di una riforma a costo zero, anzi potrebbe anche avere un saldo positivo, contribuendo a contenere la spesa per la pubblica amministrazione, grazie alla diminuzione del numero di pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno che ne conseguirebbe.
Ma qui ci occupiamo soprattutto di temi economici e su questo fronte ci sono quattro mosse che potrebbero dare l’avvio alla partita del nuovo governo. Viste le difficoltà finanziarie del paese, le misure che proponiamo hanno il pregio di essere “a costo zero” e non dovrebbero aumentare di un euro né il livello del debito pubblico, né quello del deficit di bilancio del nostro paese.
Primo: meno armi, più scuole
La prima decisione dovrebbe riguardare un taglio relativamente importante delle spese militari, diciamo quattro-cinque miliardi di euro all’anno; la somma così risparmiata dovrebbe essere destinata quasi interamente a un aumento delle spese dedicate alla scuola, ovviamente soltanto a quella pubblica e, per una parte ridotta, all’incremento della dotazione della cooperazione per lo sviluppo, dotazione quasi azzerata dal governo Berlusconi, mentre il governo Monti ha operato nella logica della privatizzazione degli aiuti al Sud del mondo. Si tratterebbe di un taglio limitato – molto inferiore a quello che preferiremmo – che, se realizzato con il necessario discernimento, non avrà effetti negativi sul sistema di difesa del paese. Le maggiori risorse per la scuola permetterebbero di migliorare i servizi dopo decenni di tagli continui, di ridurre la precarietà dei docenti, di aumentare l’occupazione e i salari, di dare un segnale che il paese investe nel proprio futuro. Uno spostamento di risorse e di occupazione analogo è stato realizzato in Francia da François Hollande; tagli di progetti militari sono stati introdotti in Germania, Regno Unito e Canada.
Dai soldi sporchi, lavori verdi
Gli italiani più ricchi hanno portato clandestinamente in Svizzera intorno ai 150 miliardi di euro, sottratti all’imposizione fiscale in Italia. Diversi altri paesi europei, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno trattato e concluso accordi con la Svizzera per ottenere il pagamento di una tassa una tantum (con aliquote da definire, tra il 20 e il 40%) su questi capitali, e per la tassazione dei redditi annuali che essi ottengono. Una forma di accordo dell’Italia con la Svizzera sull'accertamento e la tassazione forfettaria di questi capitali potrebbe portare al pagamento di molti miliardi di euro al nostro paese come risarcimento per l’imposizione fiscale mancata, e – se ben negoziato, evitando che porti con sé un condono tombale – potrebbe anche porre le premesse per evitare nuova evasione in futuro. Per dare maggiore forza nella contrattazione con la Svizzera si potrebbe affiancare tale accordo con una patrimoniale straordinaria sui capitali scudati, al di sopra di una certa soglia.
La nostra seconda proposta è che queste risorse potrebbero finanziare un piccolo “piano del lavoro verde” con una forte regia dei poteri pubblici. Anche qui, si tratta di riprendere esperienze già avviate in Europa. In Gran Bretagna si sta creando una grande banca pubblica per gli investimenti nell’economia verde, con il governo conservatore che ha stanziato a tale proposito 4 miliardi di euro. La Francia sta lanciando una Banca pubblica per lo sviluppo con risorse rilevanti. In Germania la BFK, gigante finanziario, ha il programma di investire 100 miliardi di euro da qui al 2022 per interventi per il risparmio energetico nelle abitazioni e energie rinnovabili. L’Italia potrebbe seguire questi esempi, e destinare 4-5 miliardi di euro a una struttura simile, creando forse 50 mila posti di lavoro “verdi” con effetti moltiplicativi sul resto dell’economia, di risparmio delle importazioni di energia del paese e di avvio di una traiettoria di sviluppo più sostenibile. Il resto delle risorse che potranno venire dall’accordo con la Svizzera potrebbero coprire, almeno in parte, la necessità urgente di offrire protezione pensionistica ai lavoratori “esodati”.
Terzo: un fisco capace di togliere ai ricchi per dare ai poveri
È importante che l’intervento dello stato attraverso il fisco diventi uno strumento chiave per ridurre le disuguaglianze che in Italia sono aumentate in modo estremamente grave. Si tratta qui di introdurre un’imposta sui patrimoni finanziari oltre che immobiliari e di ridisegnare le aliquote delle imposte sul reddito. Oltre ai piccoli passi realizzati dal governo Monti su questo fronte – Imu e misure sulla finanza – è necessaria rendere organica e coerente la tassazione dei patrimoni; si potrebbero ottenere in questo modo forse 10 miliardi di euro l’anno. La tassazione sui patrimoni dovrebbe essere progressiva e con una franchigia per i patrimoni degli individui, invece proporzionale e senza franchigia per le società con una base imponibile. La tassazione con i patrimoni delle società consentirebbe di ridurre i prelievi introdotti da Monti anche sui piccoli conti correnti e ridurre la pressione sull’Imu delle prime case. Queste risorse potrebbero consentire sgravi fiscali di qualche rilievo per le fasce sociali più deboli e per i redditi da lavoro, diciamo che i 5 milioni di italiani con redditi più bassi potrebbero pagare così duemila euro di tasse in meno l’anno sui loro redditi da lavoro. In parallelo, si tratterebbe di ridisegnare in senso più progressivo le aliquote delle imposte sul reddito, consentendo ulteriori aggiustamenti per ridurre le disuguaglianze. Sarebbe un piccolo segnale di giustizia economica e di consolidamento di un blocco sociale nuovo intorno al governo di centro-sinistra.
Quarto: lavorare con dignità
Infine, è indispensabile dare il segnale che si cambia rotta sulla tutela del lavoro. Il nuovo governo potrebbe cancellare immediatamente l’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 varata dal governo Berlusconi, ripristinando i diritti sindacali fondamentali dei lavoratori e i meccanismi di rappresentanza, fermando le discriminazioni introdotte da quelle misure. Questa misura ridarebbe dignità ai lavoratori e ricreerebbe le condizioni per un dialogo sociale, fermando la grave deriva nelle relazioni sindacali di questi anni e scoraggiando le imprese dal perseguire comportamenti anti-sindacali e discriminatori.
Non nascondiamo che vorremmo anche il ripristino del vecchio testo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla tutela dal licenziamento, ma le resistenze in proposito di una parte del Pd rendono questa misura difficilmente realizzabile all’inizio del percorso del nuovo governo
Quattro piccole grandi cose che non costano nulla. Ma che mostrerebbero in poche settimane agli italiani che una politica diversa – fatta per i giovani, per chi lavora e chi non ha lavoro, per le famiglie più povere, per chi paga le tasse regolarmente – è possibile. Anche nel mezzo della crisi e dei gravi problemi strutturali che abbiamo. Anche in paese come l’Italia.
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