Augusto Illuminati
Oddio, ancora gli invocati barbari di Verlaine e Kavafis, di nuovo un elogio benjaminiano della barbarie? Non preoccupatevi, è solo un riflesso involontario, l’impulso a vomitare quando vi ficcate un dito in gola. Il dito o l’intera mano in questione è l’imperversare del termine civico o civile, variamente associato a “lista”, “scelta”, “società” o “rivoluzione”, che ammorba il dibattito pre-elettorale italiano. Non diamone, per carità, la colpa a Hegel o Koselleck. Lo sappiamo che bürgerliche Gesellschaft contiene quell’ambiguità per cui bürgerliche significa allo stesso tempo “civile” e “borghese”, ci rendiamo conto che l’opposizione impolitica liberale all’assolutismo, passando per salotti, giornali, massoneria e opinione pubblica, si è installata al vertice della società politica e a sua volta ha chiuso la porta ad altri strati emergenti.
Mica stiamo a pettinare i concetti o a inseguire sui tetti il tacchino della civiltà. Però quel civico-civile, versione urbanizzata dell’antipolitica urlata a 5 stelle, ci sa di fregatura, mischia giustizialismo ed elitarismo, si colloca oltre destra e sinistra, antepone la criminalità dei mafiosi e degli evasori fiscali al normale e legale sfruttamento di classe, mette in mano l’Italia a un ceto di tecnici o di magistrati, la cui personale correttezza (ma ci sono anche Casini e Fini con parenti al seguito, tanto per non far nomi) non garantisce l’imparzialità sociale, ci accontentiamo di poco.
Nessun elogio dell’incivile-barbarico, allora, della pancia o delle curve, ma cosa sta alla radice del fastidio per le litanie sulla società civile? Innanzi tutto il disgusto per l’ipocrisia dell’operazione. Invece di cambiare il ceto politico o di mettere in questione la stessa categoria di rappresentanza, di regola l’appello al civico-civile è un modo di parare le critiche della cosiddetta antipolitica, affiancando una lista di eminenti esponenti (cattolici e bancari) della suddetta società civile ai più malfamati arnesi della politica politicante (la Scelta civica di Monti, correntemente soprannominata Scelta cinica, affiancata a Udc e Fli), oppure addizionando ai rappresentanti di un altro e forse miglior settore i più o meno presentabili segretari di piccoli partiti al momento extra-parlamentari o in via di diventarlo, come nel caso di Rivoluzione (che parola grossa) civile, versione benintenzionata e sfigata dell’impettito Centro tecno-senatoriale. Ah, veder sfilare les grands Barbares blancs…
Poi la bizzarria di affidare l’immaginaria complessità compositiva della società civile – plurale, differente, variegata, wow! – a un Capo, un Nome, un Calato dall’Alto (Quirinale o Guatemala che sia, sebbene in notorio contrasto), prendendo sul serio l’indicazione (costituzionalmente nulla) del leader sulle schede. M5S, per non farsi mancare niente, ha addirittura una coppia: l’imam comico sul proscenio, Grillo, e l’imam nascosto dai lunghi capelli, Casaleggio, segreto ma non troppo. C’è quasi da congratularsi con la sobrietà dell’inventore della personalizzazione, Berlusconi, che finge di allontanare dalle labbra il calice amaro della premiership, e di Bersani che si limita a buttar lì un po’ di società civile assortita (filosofe e filosofi, commercianti, economisti liberali ecc.) senza troppo mettersi in mostra, secondo la regola del vantaggio.
Anche perché aveva già dato (e preso) nella brillante sceneggiata delle primarie. Il paradosso è duplice: 1) più la rappresentanza è in crisi e il ceto politico sputtanato, più si concentra in una persona, 2) più a comandare sono i mercati finanziari e anonimi organismi sovranazionali, più si enfatizza un inesistente decisionismo individuale, il Capo che però deve obbedire all’Europa o alla Bce o ad altri capi sovraordinati, si chiamino Obama o Merkel. Ahimé, è scesa la notte e i barbari non sono arrivati, peccato erano una qualche soluzione, giatí enúktose k’oi bárbaroi den elthan… oi ánthropoi autoí esan mia kapia lusis.
Andiamo allora alla radice, la società civile. Non perdiamo tempo con le versioni circensi a destra (Samorè, Briatore, Minetti…) ma pure a sinistra (appena uscito l’on. Calearo, arriva niente meno che l’assessore siciliano Zichichi), e contempliamone la componente più seriosa: benefattori, finanzieri, imprenditori, magistrati ecc. Si tratta dell’ultima e degradata versione del popolo sovrano di un tempo, cui viene restituita una pretesa di rappresentanza, proprio nel momento in cui il vero potere sta abbandonando la logica della rappresentanza a favore di un esercizio tecno-elitario. Una copertura simbolica con cui i veri padroni (Marchionne, Passera, perfino l’umbratile Montezemolo) non si sporcano le mani, dove invece si affollano faccendieri di ogni tipo, brave persone che “lavorano nel sociale”, intellettuali assortiti, tanti volenterosi cattolici e operatori intermedi della governance.
Pastori in rappresentanza del gregge, anzi addobbati in pelli di pecora per la gestione molecolare e mediatica della democrazia del pubblico – per usare una definizione che comprende varie sfumature di populismo e de-autorizzazione o espropriazione dei soggetti politici. In conclusione, repulsione e diffidenza per il termine hanno buone ragioni e suggeriscono una presa di distanza, l’avvio di una ricerca costruttiva su quanto si colloca al di là del civico-civile e del popolare, su una democrazia del comune ben differente dalla democrazia del pubblico.
Oddio, ancora gli invocati barbari di Verlaine e Kavafis, di nuovo un elogio benjaminiano della barbarie? Non preoccupatevi, è solo un riflesso involontario, l’impulso a vomitare quando vi ficcate un dito in gola. Il dito o l’intera mano in questione è l’imperversare del termine civico o civile, variamente associato a “lista”, “scelta”, “società” o “rivoluzione”, che ammorba il dibattito pre-elettorale italiano. Non diamone, per carità, la colpa a Hegel o Koselleck. Lo sappiamo che bürgerliche Gesellschaft contiene quell’ambiguità per cui bürgerliche significa allo stesso tempo “civile” e “borghese”, ci rendiamo conto che l’opposizione impolitica liberale all’assolutismo, passando per salotti, giornali, massoneria e opinione pubblica, si è installata al vertice della società politica e a sua volta ha chiuso la porta ad altri strati emergenti.
Mica stiamo a pettinare i concetti o a inseguire sui tetti il tacchino della civiltà. Però quel civico-civile, versione urbanizzata dell’antipolitica urlata a 5 stelle, ci sa di fregatura, mischia giustizialismo ed elitarismo, si colloca oltre destra e sinistra, antepone la criminalità dei mafiosi e degli evasori fiscali al normale e legale sfruttamento di classe, mette in mano l’Italia a un ceto di tecnici o di magistrati, la cui personale correttezza (ma ci sono anche Casini e Fini con parenti al seguito, tanto per non far nomi) non garantisce l’imparzialità sociale, ci accontentiamo di poco.
Nessun elogio dell’incivile-barbarico, allora, della pancia o delle curve, ma cosa sta alla radice del fastidio per le litanie sulla società civile? Innanzi tutto il disgusto per l’ipocrisia dell’operazione. Invece di cambiare il ceto politico o di mettere in questione la stessa categoria di rappresentanza, di regola l’appello al civico-civile è un modo di parare le critiche della cosiddetta antipolitica, affiancando una lista di eminenti esponenti (cattolici e bancari) della suddetta società civile ai più malfamati arnesi della politica politicante (la Scelta civica di Monti, correntemente soprannominata Scelta cinica, affiancata a Udc e Fli), oppure addizionando ai rappresentanti di un altro e forse miglior settore i più o meno presentabili segretari di piccoli partiti al momento extra-parlamentari o in via di diventarlo, come nel caso di Rivoluzione (che parola grossa) civile, versione benintenzionata e sfigata dell’impettito Centro tecno-senatoriale. Ah, veder sfilare les grands Barbares blancs…
Poi la bizzarria di affidare l’immaginaria complessità compositiva della società civile – plurale, differente, variegata, wow! – a un Capo, un Nome, un Calato dall’Alto (Quirinale o Guatemala che sia, sebbene in notorio contrasto), prendendo sul serio l’indicazione (costituzionalmente nulla) del leader sulle schede. M5S, per non farsi mancare niente, ha addirittura una coppia: l’imam comico sul proscenio, Grillo, e l’imam nascosto dai lunghi capelli, Casaleggio, segreto ma non troppo. C’è quasi da congratularsi con la sobrietà dell’inventore della personalizzazione, Berlusconi, che finge di allontanare dalle labbra il calice amaro della premiership, e di Bersani che si limita a buttar lì un po’ di società civile assortita (filosofe e filosofi, commercianti, economisti liberali ecc.) senza troppo mettersi in mostra, secondo la regola del vantaggio.
Anche perché aveva già dato (e preso) nella brillante sceneggiata delle primarie. Il paradosso è duplice: 1) più la rappresentanza è in crisi e il ceto politico sputtanato, più si concentra in una persona, 2) più a comandare sono i mercati finanziari e anonimi organismi sovranazionali, più si enfatizza un inesistente decisionismo individuale, il Capo che però deve obbedire all’Europa o alla Bce o ad altri capi sovraordinati, si chiamino Obama o Merkel. Ahimé, è scesa la notte e i barbari non sono arrivati, peccato erano una qualche soluzione, giatí enúktose k’oi bárbaroi den elthan… oi ánthropoi autoí esan mia kapia lusis.
Andiamo allora alla radice, la società civile. Non perdiamo tempo con le versioni circensi a destra (Samorè, Briatore, Minetti…) ma pure a sinistra (appena uscito l’on. Calearo, arriva niente meno che l’assessore siciliano Zichichi), e contempliamone la componente più seriosa: benefattori, finanzieri, imprenditori, magistrati ecc. Si tratta dell’ultima e degradata versione del popolo sovrano di un tempo, cui viene restituita una pretesa di rappresentanza, proprio nel momento in cui il vero potere sta abbandonando la logica della rappresentanza a favore di un esercizio tecno-elitario. Una copertura simbolica con cui i veri padroni (Marchionne, Passera, perfino l’umbratile Montezemolo) non si sporcano le mani, dove invece si affollano faccendieri di ogni tipo, brave persone che “lavorano nel sociale”, intellettuali assortiti, tanti volenterosi cattolici e operatori intermedi della governance.
Pastori in rappresentanza del gregge, anzi addobbati in pelli di pecora per la gestione molecolare e mediatica della democrazia del pubblico – per usare una definizione che comprende varie sfumature di populismo e de-autorizzazione o espropriazione dei soggetti politici. In conclusione, repulsione e diffidenza per il termine hanno buone ragioni e suggeriscono una presa di distanza, l’avvio di una ricerca costruttiva su quanto si colloca al di là del civico-civile e del popolare, su una democrazia del comune ben differente dalla democrazia del pubblico.
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