Lettera-denuncia su un titolo allucinante
Egregio direttore,
ho iniziato a leggere il quotidiano da lei diretto sin dalla sua fondazione, nel lontano 1976, non avevo ancora 16 anni. Ho continuato a farlo, a volte con assiduità altre meno. Per formazione politica raramente mi son ritrovato a condividerne la linea editoriale ma, in alcuni momenti è riuscito a dare strumenti di informazione e forse anche di formazione per chi ritiene questo un dovere civico. Ho continuato ad acquistarlo anche quando ho iniziato a collaborare per altre testate, periodici di vario tipo e quotidiani come Liberazione per cui da anni mi occupo soprattutto di tematiche connesse all’immigrazione. Mi era utile come contraltare, come punto di vista diverso ma con cui mantenere un ponte di riflessione. Utilizzo il passato e c’è una ragione. Oggi 4 ottobre sono andato in edicola con addosso l’amarezza immensa per la strage che si era verificata il giorno prima nelle acque prospicienti Lampedusa. Nella giornata di ieri per me, rivedere in televisione, e nelle immagini della vostra edizione on line, quei luoghi terribilmente noti non mi permetteva alcun tipo di distacco emotivo. Mi sentivo come tanti e tante impotente, pur essendo da ormai due decenni impegnato su alcune battaglie, con gli articoli scritti, con le tante mobilitazioni, con le iniziative volte a modificare le ragioni che hanno determinato questa ed altre catastrofi. Ieri ho riavvertito un fallimento politico e culturale di questo Paese di cui tutti, a diverso titolo siamo responsabili. Ma a diverso titolo. Ed è per un titolo che da oggi Repubblica per me attiene al passato. Ci vuole coraggio, cinismo o ignoranza, a contraddire un titolo adeguato come “La strage della vergogna” con un occhiello in cui si scrive “La più grande tragedia nel mare dei clandestini”. Clandestini? Ma non è stato spiegato a chi ha scritto quell’occhiello e a lei che ha dato il “visto si stampi” che chi cerca di arrivare in questo disgraziato paese non è un clandestino? Non comprendete quanto questo termine, che la stampa apertamente di destra ma anche apparentemente progressista, abbia modificato la percezione collettiva delle persone, sia divenuta marchio di infamia che rende le vittime meno importanti? Con quanta faciloneria e violando anche i principi sanciti dalla Carta di Roma vi permettete di deformare la realtà. Si lo so poco conta, nel giornale tanti articoli che fanno piangere, poco spazio per riflettere ovviamente, poca voglia di evocare proposte che si scontrano con la pancia dei lettori come avviene con quella degli elettori in altri momenti. Io non so e poco mi interessa sapere se quella frase sia sfuggita nella fretta di andare in stampa o meno. So che fa parte di un pensiero dominante in cui il confine con la beceraggine leghista è solo apparente, di forma ma non di sostanza. So che viene normale scriverlo così come di fronte ad un reato particolarmente efferato è normale considerare notizia la nazionalità del colpevole. E chi legge, come chi scrive con un minimo di presunta consapevolezza è anche disposto a comprendere, cercare di modificare anche simili stereo tipizzazioni. Ma poi si raggiunge un limite di non ritorno. Questa volta siete riusciti a superarlo.
Buon Lavoro, mi auguro migliore.
P.S. Dimenticavo, chi scrive ha anche il limite culturale di dichiararsi comunista. Una parola desueta che da voi ha poco spazio.
Stefano Galieni
ho iniziato a leggere il quotidiano da lei diretto sin dalla sua fondazione, nel lontano 1976, non avevo ancora 16 anni. Ho continuato a farlo, a volte con assiduità altre meno. Per formazione politica raramente mi son ritrovato a condividerne la linea editoriale ma, in alcuni momenti è riuscito a dare strumenti di informazione e forse anche di formazione per chi ritiene questo un dovere civico. Ho continuato ad acquistarlo anche quando ho iniziato a collaborare per altre testate, periodici di vario tipo e quotidiani come Liberazione per cui da anni mi occupo soprattutto di tematiche connesse all’immigrazione. Mi era utile come contraltare, come punto di vista diverso ma con cui mantenere un ponte di riflessione. Utilizzo il passato e c’è una ragione. Oggi 4 ottobre sono andato in edicola con addosso l’amarezza immensa per la strage che si era verificata il giorno prima nelle acque prospicienti Lampedusa. Nella giornata di ieri per me, rivedere in televisione, e nelle immagini della vostra edizione on line, quei luoghi terribilmente noti non mi permetteva alcun tipo di distacco emotivo. Mi sentivo come tanti e tante impotente, pur essendo da ormai due decenni impegnato su alcune battaglie, con gli articoli scritti, con le tante mobilitazioni, con le iniziative volte a modificare le ragioni che hanno determinato questa ed altre catastrofi. Ieri ho riavvertito un fallimento politico e culturale di questo Paese di cui tutti, a diverso titolo siamo responsabili. Ma a diverso titolo. Ed è per un titolo che da oggi Repubblica per me attiene al passato. Ci vuole coraggio, cinismo o ignoranza, a contraddire un titolo adeguato come “La strage della vergogna” con un occhiello in cui si scrive “La più grande tragedia nel mare dei clandestini”. Clandestini? Ma non è stato spiegato a chi ha scritto quell’occhiello e a lei che ha dato il “visto si stampi” che chi cerca di arrivare in questo disgraziato paese non è un clandestino? Non comprendete quanto questo termine, che la stampa apertamente di destra ma anche apparentemente progressista, abbia modificato la percezione collettiva delle persone, sia divenuta marchio di infamia che rende le vittime meno importanti? Con quanta faciloneria e violando anche i principi sanciti dalla Carta di Roma vi permettete di deformare la realtà. Si lo so poco conta, nel giornale tanti articoli che fanno piangere, poco spazio per riflettere ovviamente, poca voglia di evocare proposte che si scontrano con la pancia dei lettori come avviene con quella degli elettori in altri momenti. Io non so e poco mi interessa sapere se quella frase sia sfuggita nella fretta di andare in stampa o meno. So che fa parte di un pensiero dominante in cui il confine con la beceraggine leghista è solo apparente, di forma ma non di sostanza. So che viene normale scriverlo così come di fronte ad un reato particolarmente efferato è normale considerare notizia la nazionalità del colpevole. E chi legge, come chi scrive con un minimo di presunta consapevolezza è anche disposto a comprendere, cercare di modificare anche simili stereo tipizzazioni. Ma poi si raggiunge un limite di non ritorno. Questa volta siete riusciti a superarlo.
Buon Lavoro, mi auguro migliore.
P.S. Dimenticavo, chi scrive ha anche il limite culturale di dichiararsi comunista. Una parola desueta che da voi ha poco spazio.
Stefano Galieni
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