di Nicola Melloni su Liberazione. Fonte: esserecomunisti
In Europa ancor più che in America è l'ora della riscossa dei liberali d'accatto. I problemi legati ai debiti sovrani, alle speculazioni contro i titoli pubblici e ai deficit dei governi europei hanno rimesso al centro del dibattito il ruolo dello stato nell'economia. Ostellino, sul Corriere, imputa al troppo stato la nascita della crisi finanziaria nel 2008, non dimenticandosi poi di renderci edotti che le ricette keynesiane sono più adatte a dittature come era quella sovietica che non a democrazie liberali. Certo, che la crisi nasca nel sistema bancario e in quei paesi (Usa e Uk) che i nostri liberali, tra cui lo stesso Ostellino, indicavano come l'esempio da seguire è un particolare irrilevante. Che poi il deficit sia soltanto la conseguenza del salvataggio delle banche deve apparire come una inezia.
Quell'intervento era indispensabile ma ora basta con le spese inutili, e subito intuiamo il vero obiettivo dei liberali d'accatto: le pensioni, la sanità, la scuola. Anche perché ora pure la teoria economica spiega che l'austerity è la miglior medicina per la crisi. Alberto Alesina, economista liberale italiano di stanza ad Harvard, ha appena rivoltato come un calzino settant'anni di studi, illustrando con dovizia di particolari che i tagli alle spese dello stato, componente della domanda aggregata, in realtà aiutano la stessa domanda a crescere. Una tesi talmente assurda (e validata solo attraverso un utilizzo a dir poco disinvolto delle statistiche) che per contrastare la tesi di Alesina sono scesi in campo dei bastioni del socialismo internazionale come l'Economist ed il Fondo Monetario Internazionale. Poco male, alla destra basta avere una pur minima copertura teorica, anche la più ridicola, per imbracciare il cannone e cominciare a sparare politiche economiche dagli effetti devastanti. Successe con Reagan e la curva di Laffer (l'idea secondo cui più si diminuiscono le tasse più aumenta il gettito fiscale, una teoria talmente priva di appigli reali che fu presto ribattezzata economia voodoo) ed ora ci siamo di nuovo con la Ue che sposa un'altra bufala - l'austerity che stimola la crescita - per cercare di imporre a tutti i paesi membri l'obbligo del pareggio di bilancio per legge.
Insomma, par proprio di essere in mano a degli stregoni che non avendo idee si affidano a riti magici. Questi stregoni sono al comando in Francia, in Germania, nella Bce e tentano di imporre le loro politiche senza logica al resto d'Europa, trovando una ottima sponda nell'inetto governo italiano.
Lo abbiamo detto più volte, il problema italiano è soprattutto legato alla crescita, crescita che già prima della manovra era stimata attorno all'1%. Per ridurre il debito, e di conseguenza rassicurare i mercati (che sarebbe poi quello che i liberali così fortemente vorrebbero), è indispensabile accelerare la crescita dell'economia, in quanto solo con un tasso di crescita nominale del Pil superiore agli interessi pagati sul debito si può mettere ordine alla dinamica del debito stesso.
In parte, ovviamente, ci potrebbe aiutare la Bce con una politica monetaria più espansiva, aumentando l'inflazione e riducendo di conseguenza gli interessi reali sul debito. Una soluzione che farebbe comodo a tutti i paesi in difficoltà dell'area mediterranea e che non avrebbe effetti negativi sulle economie più solide del Nord Europa. Ma a Berlino e Francoforte si preferisce aderire ad un'altra fantasiosa teoria economica, e cioè che l'inflazione sopra il 2-3% sia un problema per l'economia, quando invece, in situazioni come queste, rappresenta una opportunità.
Non potendo contare sulla leva monetaria, il nostro paese ha bisogno ora più che mai di una manovra che rilanci la crescita e non di una finanziaria recessiva come è invece quella proposta dal governo Berlusconi. Certo le spese improduttive devono essere cancellate, mentre bisogna rilanciare gli investimenti. Per reperire risorse e per cominciare ad abbattere il debito è inevitabile che tale manovra parta da una tassa patrimoniale il cui effetto sui consumi, al contrario di un innalzamento dell'Iva, sarebbe assai limitato. Che un governo di classe come quello di Berlusconi non la voglia appare ovvio e scontato; lo è assai meno che pure il Pd continui, assurdamente, a rinunciare a proporre tale tassa che non solo è moralmente equa ma anche e soprattutto economicamente giusta.
L'unica maniera di uscire da questa crisi è evitare che le politiche fiscali, come già quelle monetarie, rimangano ostaggio di una elite di super ricchi che si fanno scudo con teorie economiche fantasiose e dagli effetti disastrosi per l'Europa e per il mondo.
In Europa ancor più che in America è l'ora della riscossa dei liberali d'accatto. I problemi legati ai debiti sovrani, alle speculazioni contro i titoli pubblici e ai deficit dei governi europei hanno rimesso al centro del dibattito il ruolo dello stato nell'economia. Ostellino, sul Corriere, imputa al troppo stato la nascita della crisi finanziaria nel 2008, non dimenticandosi poi di renderci edotti che le ricette keynesiane sono più adatte a dittature come era quella sovietica che non a democrazie liberali. Certo, che la crisi nasca nel sistema bancario e in quei paesi (Usa e Uk) che i nostri liberali, tra cui lo stesso Ostellino, indicavano come l'esempio da seguire è un particolare irrilevante. Che poi il deficit sia soltanto la conseguenza del salvataggio delle banche deve apparire come una inezia.
Quell'intervento era indispensabile ma ora basta con le spese inutili, e subito intuiamo il vero obiettivo dei liberali d'accatto: le pensioni, la sanità, la scuola. Anche perché ora pure la teoria economica spiega che l'austerity è la miglior medicina per la crisi. Alberto Alesina, economista liberale italiano di stanza ad Harvard, ha appena rivoltato come un calzino settant'anni di studi, illustrando con dovizia di particolari che i tagli alle spese dello stato, componente della domanda aggregata, in realtà aiutano la stessa domanda a crescere. Una tesi talmente assurda (e validata solo attraverso un utilizzo a dir poco disinvolto delle statistiche) che per contrastare la tesi di Alesina sono scesi in campo dei bastioni del socialismo internazionale come l'Economist ed il Fondo Monetario Internazionale. Poco male, alla destra basta avere una pur minima copertura teorica, anche la più ridicola, per imbracciare il cannone e cominciare a sparare politiche economiche dagli effetti devastanti. Successe con Reagan e la curva di Laffer (l'idea secondo cui più si diminuiscono le tasse più aumenta il gettito fiscale, una teoria talmente priva di appigli reali che fu presto ribattezzata economia voodoo) ed ora ci siamo di nuovo con la Ue che sposa un'altra bufala - l'austerity che stimola la crescita - per cercare di imporre a tutti i paesi membri l'obbligo del pareggio di bilancio per legge.
Insomma, par proprio di essere in mano a degli stregoni che non avendo idee si affidano a riti magici. Questi stregoni sono al comando in Francia, in Germania, nella Bce e tentano di imporre le loro politiche senza logica al resto d'Europa, trovando una ottima sponda nell'inetto governo italiano.
Lo abbiamo detto più volte, il problema italiano è soprattutto legato alla crescita, crescita che già prima della manovra era stimata attorno all'1%. Per ridurre il debito, e di conseguenza rassicurare i mercati (che sarebbe poi quello che i liberali così fortemente vorrebbero), è indispensabile accelerare la crescita dell'economia, in quanto solo con un tasso di crescita nominale del Pil superiore agli interessi pagati sul debito si può mettere ordine alla dinamica del debito stesso.
In parte, ovviamente, ci potrebbe aiutare la Bce con una politica monetaria più espansiva, aumentando l'inflazione e riducendo di conseguenza gli interessi reali sul debito. Una soluzione che farebbe comodo a tutti i paesi in difficoltà dell'area mediterranea e che non avrebbe effetti negativi sulle economie più solide del Nord Europa. Ma a Berlino e Francoforte si preferisce aderire ad un'altra fantasiosa teoria economica, e cioè che l'inflazione sopra il 2-3% sia un problema per l'economia, quando invece, in situazioni come queste, rappresenta una opportunità.
Non potendo contare sulla leva monetaria, il nostro paese ha bisogno ora più che mai di una manovra che rilanci la crescita e non di una finanziaria recessiva come è invece quella proposta dal governo Berlusconi. Certo le spese improduttive devono essere cancellate, mentre bisogna rilanciare gli investimenti. Per reperire risorse e per cominciare ad abbattere il debito è inevitabile che tale manovra parta da una tassa patrimoniale il cui effetto sui consumi, al contrario di un innalzamento dell'Iva, sarebbe assai limitato. Che un governo di classe come quello di Berlusconi non la voglia appare ovvio e scontato; lo è assai meno che pure il Pd continui, assurdamente, a rinunciare a proporre tale tassa che non solo è moralmente equa ma anche e soprattutto economicamente giusta.
L'unica maniera di uscire da questa crisi è evitare che le politiche fiscali, come già quelle monetarie, rimangano ostaggio di una elite di super ricchi che si fanno scudo con teorie economiche fantasiose e dagli effetti disastrosi per l'Europa e per il mondo.
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