di Paolo Ferrero. Fonte: controlacrisi
La Libia è lo specchio del degrado delle classi dirigenti a livello mondiale. L’ONU qualche mese fa ha benedetto la guerra dando il via libera ai bombardamenti contro Gheddafi. Lo ha fatto violando la sua carta costitutiva, che la obbligava ad aprire una trattativa tra le parti. Contravvenendo ai suoi scopi e ai suoi principi l’ONU ha accettato il fatto compiuto della guerra ovviamente in nome di scopi umanitari: fermare i massacri. Adesso che la guerra è stata vinta dalla parte appoggiata dai bombardieri, cosa fa l’ONU? Nulla. In Libia sono in corso vendette e man mano che il conflitto procede cambia il suo scopo. Adesso veniamo a sapere che il problema è uccidere Gheddafi e che per ottenere questo obiettivo il conflitto può proseguire e con esso la distruzione e gli ammazzamenti. Cosa ha da dire su questo l’ONU? Nulla. E le nazioni occidentali che hanno bombardato, cosa fanno? I più furbi e scaltri, come la Francia, hanno organizzato una Conferenza che dietro le belle dichiarazioni di principio è finalizzata unicamente alla spartizione del bottino di guerra. Al padrone di casa andrà la fetta più grande delle forniture petrolifere: gli altri sono in fila per prendere o difendere. E’ il caso del governo italiano che, confermando il detto “Francia o Spagna purché se magna”, dopo l’ennesima giravolta stanno cercando di mantenere con i nuovi padroni i contratti che avevano con i vecchi. Ovviamente chi è interessato a fare buoni accordi per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi o di gas naturali non può certo mettersi a fare le pulci se viene compiuta qualche strage di troppo o se la guerra assume un profilo diverso da quella con cui era cominciata.
C’è un che di disgustoso in questa distanza tra le roboanti dichiarazioni umanitarie che hanno giustificato l’intervento militare e il totale disinteresse concreto per la vita delle persone che viene dimostrato oggi. Vite umane in cambio di petrolio, questo è il mercanteggiamento in corso oggi a Parigi.
Per quanto riguarda l’Italia le responsabilità di questa situazione non riguardano solo il governo. Coinvolgono l’opposizione parlamentare – PD in primis – e coinvolgono il Presidente della Repubblica. Che cosa ha da dire oggi Giorgio Napolitano di fronte ai massacri in corso in Libia e alla palese assenza di una soluzione politica che la nostra carta Costituzionale fissa come il punto fondante dei rapporti internazionali? Nulla. Il silenzio bipartisan sulla questione umanitaria si sostanzia della condiscendenza bipartisan dei mass media: i morti non fanno più scandalo, non fanno più inorridire il civilissimo occidente, sono derubricati a dato sociologico, insito nella fisiologia del conflitto. Come il neoliberismo anche i morti diventano un fenomeno naturale, che “non merita due parole su un giornale”.
Questa situazione è destinata ad aggravarsi decisamente: il CNT ha fatto un ultimatum e sabato comincerà a bombardare la città di Sirte. La città è piena di civili e questo vuol dire che ci sarà un altro massacro. Il CNT inoltre ha affermato che non vuole osservatori internazionali nemmeno disarmati perché in Libia non sarebbe in corso una guerra civile ma semplicemente un processo di liberazione dal tiranno.
L’azione del CNT in Libia è destinata quindi a produrre un massacro di dimensioni ben maggiori di quello che ha originato il conflitto. Nessuno potrà dire che non sapeva. Ne l’ONU, ne il governo, ne il Presidente della Repubblica, ne il PD. Siamo ancora in tempo a fermare questo massacro ma per questo servono gesti chiari e decisi.
Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, senza il dittatore Gheddafi e dalle sue camarille e senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Per questo chiediamo una cosa sola: la cessazione immediata dei bombardamenti, e l’apertura di una trattativa per porre immediatamente fine al conflitto e chiediamo al governo italiano e al Presidente della Repubblica di porre fine unilateralmente alle azioni militari e di imporre una trattativa.
La Libia è lo specchio del degrado delle classi dirigenti a livello mondiale. L’ONU qualche mese fa ha benedetto la guerra dando il via libera ai bombardamenti contro Gheddafi. Lo ha fatto violando la sua carta costitutiva, che la obbligava ad aprire una trattativa tra le parti. Contravvenendo ai suoi scopi e ai suoi principi l’ONU ha accettato il fatto compiuto della guerra ovviamente in nome di scopi umanitari: fermare i massacri. Adesso che la guerra è stata vinta dalla parte appoggiata dai bombardieri, cosa fa l’ONU? Nulla. In Libia sono in corso vendette e man mano che il conflitto procede cambia il suo scopo. Adesso veniamo a sapere che il problema è uccidere Gheddafi e che per ottenere questo obiettivo il conflitto può proseguire e con esso la distruzione e gli ammazzamenti. Cosa ha da dire su questo l’ONU? Nulla. E le nazioni occidentali che hanno bombardato, cosa fanno? I più furbi e scaltri, come la Francia, hanno organizzato una Conferenza che dietro le belle dichiarazioni di principio è finalizzata unicamente alla spartizione del bottino di guerra. Al padrone di casa andrà la fetta più grande delle forniture petrolifere: gli altri sono in fila per prendere o difendere. E’ il caso del governo italiano che, confermando il detto “Francia o Spagna purché se magna”, dopo l’ennesima giravolta stanno cercando di mantenere con i nuovi padroni i contratti che avevano con i vecchi. Ovviamente chi è interessato a fare buoni accordi per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi o di gas naturali non può certo mettersi a fare le pulci se viene compiuta qualche strage di troppo o se la guerra assume un profilo diverso da quella con cui era cominciata.
C’è un che di disgustoso in questa distanza tra le roboanti dichiarazioni umanitarie che hanno giustificato l’intervento militare e il totale disinteresse concreto per la vita delle persone che viene dimostrato oggi. Vite umane in cambio di petrolio, questo è il mercanteggiamento in corso oggi a Parigi.
Per quanto riguarda l’Italia le responsabilità di questa situazione non riguardano solo il governo. Coinvolgono l’opposizione parlamentare – PD in primis – e coinvolgono il Presidente della Repubblica. Che cosa ha da dire oggi Giorgio Napolitano di fronte ai massacri in corso in Libia e alla palese assenza di una soluzione politica che la nostra carta Costituzionale fissa come il punto fondante dei rapporti internazionali? Nulla. Il silenzio bipartisan sulla questione umanitaria si sostanzia della condiscendenza bipartisan dei mass media: i morti non fanno più scandalo, non fanno più inorridire il civilissimo occidente, sono derubricati a dato sociologico, insito nella fisiologia del conflitto. Come il neoliberismo anche i morti diventano un fenomeno naturale, che “non merita due parole su un giornale”.
Questa situazione è destinata ad aggravarsi decisamente: il CNT ha fatto un ultimatum e sabato comincerà a bombardare la città di Sirte. La città è piena di civili e questo vuol dire che ci sarà un altro massacro. Il CNT inoltre ha affermato che non vuole osservatori internazionali nemmeno disarmati perché in Libia non sarebbe in corso una guerra civile ma semplicemente un processo di liberazione dal tiranno.
L’azione del CNT in Libia è destinata quindi a produrre un massacro di dimensioni ben maggiori di quello che ha originato il conflitto. Nessuno potrà dire che non sapeva. Ne l’ONU, ne il governo, ne il Presidente della Repubblica, ne il PD. Siamo ancora in tempo a fermare questo massacro ma per questo servono gesti chiari e decisi.
Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, senza il dittatore Gheddafi e dalle sue camarille e senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Per questo chiediamo una cosa sola: la cessazione immediata dei bombardamenti, e l’apertura di una trattativa per porre immediatamente fine al conflitto e chiediamo al governo italiano e al Presidente della Repubblica di porre fine unilateralmente alle azioni militari e di imporre una trattativa.
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