Pubblicato da il Referendum di Stefano Capponi
Ci saremmo chiesti cento, mille volte, cosa capiterebbe se l’Italia diventasse come la Grecia, una strada che da tempo pare percorrere, anche se di certo a una distanza ragguardevole, per ora. Quello che ci siamo chiesti è davanti a nostri occhi, nella sua crudezza, nell’immediatezza delle immagini, nei rumori degli scontri di piazza, nel bagliore dei fuochi.
Atene brucia, in questo gelido febbraio innevato, e dalla Piazza Syntagma si sentono le grida e i botti di molotov, le bombe carte, le minacce dei black block. Marciano neri e arrabbiati, portano distruzione: “Siamo cinquantacinque mila” dicono. Piazza Syntagma non è una piazza qualsiasi: davanti c’è il Parlamento greco, impegnato in queste ore a discutere il piano di salvataggio fortemente voluto dall’Europa da 130 miliardi di Euro. La gente intorno ai black block guarda, applaude, e intona con loro il “maiali assassini” rivolto ai parlamentari e ai governanti. Ma anche ai rappresentanti dell’UE: rappresentanti pubblici, ma perfino privati: sono ridotte in cenere le sedi Eurobank e Starbucks.
Lucas Papademos, il premier tecnico, aveva ieri affermato, quando aveva visto diversi ministri dimettersi_ nello specifico i ministri del partito di estrema destra Laos (popolo)_ che “la manovra è necessaria per evitare il disastro”. In realtà, questa è l’ennesima manovra, seguita alle già dure manovre del PASOK di George Papandreou, Primo Ministro che ha sacrificato se stesso per il bene, o almeno quello che credeva essere il bene del Paese. Dei provvedimenti non solo lacrime e sangue, ma a livelli da noi impensabili (tagli netti di stipendi pubblici, licenziamenti immediati, aumenti delle tasse, tagli alle pensioni, tagli alle autonomie locali, eliminazione di salari minimi garantiti, liberalizzazioni e privatizzazioni a livelli estremi, svendita immobili di Stato).
Già si contano cinquanta feriti, ventidue sono gli arresti. Ma perché urlano questi Greci? Con quale fine scatenano manifestazioni sempre più simili a vere e proprie rivolte? Perché quello che ci dicono i Governanti europei e quello che pensano gli attuali governanti greci potrebbe non essere vero. Potrebbe non essere vero quello che dice il Ministro dell’Economia Venizelos “Noi dobbiamo capire e persuadere i cittadini greci che quando si viene chiamati a scegliere tra il male e il peggio, si deve scegliere il male per evitare il peggio”. Infatti, in molti, specialmente nei partiti comunisti e nei partiti di estrema destra, pensano che un default controllato e l’uscita della Grecia dall’Euro potrebbe portare il Paese a un periodo doloroso ma destinato a terminare. Per questa dottrina, l’insolvibilità si raggiungerà a prescindere dalle misure anticrisi: essendo dunque queste inutili e prolunganti l’agonia, meglio farla direttamente finita.
C’è chi pensa che questa sarebbe una terapia d’urto per ricominciare. C’è chi pensa che sarebbe il suicidio per sfuggire al dolore. Infatti, questa teoria porterebbe forse a conseguenze ancora peggiori, a sconquassi sociali e politici, a un periodo non solo oscuro ma soprattutto impossibile da prevedere per durata e durezza. Questa soluzione sarebbe certamente la più comoda, per i politici e per il popolo. Tuttavia, in seguito, potrebbe accadere come in Argentina, dove il Presidente fu costretto a scappare per non subire il linciaggio, e dove le conseguenze nefastissime si sentirono per anni e anni.
Mentre c’è chi pensa a che fare, da una parte o dall’altra, molti Greci sono disorientati, e fanno scelte ampiamente discutibili. Non incute particolarmente compassione, infatti, un popolo che ha avuto un Governo (di Nea Demokratia, centro-destra), che per anni ha falsato i bilanci, che ora è un popolo che al 30,5% delle sue intenzioni di voto rivoterebbe chi l’ha portato alla rovina (mentre all’12% c’è il PASOK, che ha dovuto sorbirsi le conseguenze).
La soluzione è complicata, ma soprattutto, forse inesistente. In un modo o nell’altro, il popolo si arrabbierà e urlerà il suo dolore, con fuoco, fiamme, tamburi. Se possiamo dire che l’economia greca non ha resistito, e la società greca non sta resistendo, possiamo anche pensare che forse la politica e la democrazia greca non resisteranno. Un fallimento è come una guerra, disse il giudice internazionale del CIRDI, sull’epoca dell’insolvenza argentina. Nulla di più vero.
Mentre Mario Monti indica come fantasie le voci sulla possibilità che l’Italia arrivi allo stesso livello, ci volgiamo indietro nel passato, quando Tremonti ci rassicurava sulle finanze a posto del nostro Paese.
E temiamo che, in fondo, questo sia solo l’inizio.
Ci saremmo chiesti cento, mille volte, cosa capiterebbe se l’Italia diventasse come la Grecia, una strada che da tempo pare percorrere, anche se di certo a una distanza ragguardevole, per ora. Quello che ci siamo chiesti è davanti a nostri occhi, nella sua crudezza, nell’immediatezza delle immagini, nei rumori degli scontri di piazza, nel bagliore dei fuochi.
Atene brucia, in questo gelido febbraio innevato, e dalla Piazza Syntagma si sentono le grida e i botti di molotov, le bombe carte, le minacce dei black block. Marciano neri e arrabbiati, portano distruzione: “Siamo cinquantacinque mila” dicono. Piazza Syntagma non è una piazza qualsiasi: davanti c’è il Parlamento greco, impegnato in queste ore a discutere il piano di salvataggio fortemente voluto dall’Europa da 130 miliardi di Euro. La gente intorno ai black block guarda, applaude, e intona con loro il “maiali assassini” rivolto ai parlamentari e ai governanti. Ma anche ai rappresentanti dell’UE: rappresentanti pubblici, ma perfino privati: sono ridotte in cenere le sedi Eurobank e Starbucks.
Lucas Papademos, il premier tecnico, aveva ieri affermato, quando aveva visto diversi ministri dimettersi_ nello specifico i ministri del partito di estrema destra Laos (popolo)_ che “la manovra è necessaria per evitare il disastro”. In realtà, questa è l’ennesima manovra, seguita alle già dure manovre del PASOK di George Papandreou, Primo Ministro che ha sacrificato se stesso per il bene, o almeno quello che credeva essere il bene del Paese. Dei provvedimenti non solo lacrime e sangue, ma a livelli da noi impensabili (tagli netti di stipendi pubblici, licenziamenti immediati, aumenti delle tasse, tagli alle pensioni, tagli alle autonomie locali, eliminazione di salari minimi garantiti, liberalizzazioni e privatizzazioni a livelli estremi, svendita immobili di Stato).
Già si contano cinquanta feriti, ventidue sono gli arresti. Ma perché urlano questi Greci? Con quale fine scatenano manifestazioni sempre più simili a vere e proprie rivolte? Perché quello che ci dicono i Governanti europei e quello che pensano gli attuali governanti greci potrebbe non essere vero. Potrebbe non essere vero quello che dice il Ministro dell’Economia Venizelos “Noi dobbiamo capire e persuadere i cittadini greci che quando si viene chiamati a scegliere tra il male e il peggio, si deve scegliere il male per evitare il peggio”. Infatti, in molti, specialmente nei partiti comunisti e nei partiti di estrema destra, pensano che un default controllato e l’uscita della Grecia dall’Euro potrebbe portare il Paese a un periodo doloroso ma destinato a terminare. Per questa dottrina, l’insolvibilità si raggiungerà a prescindere dalle misure anticrisi: essendo dunque queste inutili e prolunganti l’agonia, meglio farla direttamente finita.
C’è chi pensa che questa sarebbe una terapia d’urto per ricominciare. C’è chi pensa che sarebbe il suicidio per sfuggire al dolore. Infatti, questa teoria porterebbe forse a conseguenze ancora peggiori, a sconquassi sociali e politici, a un periodo non solo oscuro ma soprattutto impossibile da prevedere per durata e durezza. Questa soluzione sarebbe certamente la più comoda, per i politici e per il popolo. Tuttavia, in seguito, potrebbe accadere come in Argentina, dove il Presidente fu costretto a scappare per non subire il linciaggio, e dove le conseguenze nefastissime si sentirono per anni e anni.
Mentre c’è chi pensa a che fare, da una parte o dall’altra, molti Greci sono disorientati, e fanno scelte ampiamente discutibili. Non incute particolarmente compassione, infatti, un popolo che ha avuto un Governo (di Nea Demokratia, centro-destra), che per anni ha falsato i bilanci, che ora è un popolo che al 30,5% delle sue intenzioni di voto rivoterebbe chi l’ha portato alla rovina (mentre all’12% c’è il PASOK, che ha dovuto sorbirsi le conseguenze).
La soluzione è complicata, ma soprattutto, forse inesistente. In un modo o nell’altro, il popolo si arrabbierà e urlerà il suo dolore, con fuoco, fiamme, tamburi. Se possiamo dire che l’economia greca non ha resistito, e la società greca non sta resistendo, possiamo anche pensare che forse la politica e la democrazia greca non resisteranno. Un fallimento è come una guerra, disse il giudice internazionale del CIRDI, sull’epoca dell’insolvenza argentina. Nulla di più vero.
Mentre Mario Monti indica come fantasie le voci sulla possibilità che l’Italia arrivi allo stesso livello, ci volgiamo indietro nel passato, quando Tremonti ci rassicurava sulle finanze a posto del nostro Paese.
E temiamo che, in fondo, questo sia solo l’inizio.
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