L'Eurozona rischia di implodere, a causa di asimmetrie interne, carenze istituzionali e classi dirigenti inadeguate. Nel suo ultimo libro Bruno Amoroso propone come via d'uscita "un sistema monetario flessibile"
L’incertezza sul futuro dell’euro si accentua di giorno in giorno per l’assenza, o meglio per i pericolosi ritardi, che l’attuale dirigenza politica europea manifesta nel trovare soluzioni che diano respiro ai paesi più deboli dell’eurosistema a superare le difficoltà finanziarie in cui sono coinvolti.
È paradossale che un sistema monetario immaginato per consolidare la società europea in un progetto di Unione sovranazionale operi invece come moltiplicatore delle tensioni politiche interne quando viene investito da uno shock proveniente dall’esterno. La crisi finanziaria si è infatti diffusa a diversi livelli (produttivo, occupazionale, di finanza pubblica, del sistema bancario ecc.) evidenziando la sua natura “sistemica” che rende molto problematiche le politiche di stabilizzazione di molti paesi dell’eurozona. Se le istituzioni della moneta unica hanno dimostrato di poter contenere gli effetti della crisi sul sistema bancario, esse si sono invece dimostrate ampiamente inefficaci nel fronteggiare le difficoltà del settore pubblico e del suo debito. Anzi, la linea di austerità imposta dalle autorità di Bruxelles, volta a privilegiare il riequilibrio dei conti pubblici in un contesto di conclamata recessione, ha ovviamente reso ancor più complessa la situazione dei paesi più deboli.
L’inadeguatezza istituzionale dell’eurozona si manifesta nell’asimmetria dei suoi meccanismi. Essi hanno richiesto (e richiedono) ai paesi-membri di rinunciare a importanti strumenti di politica economica (monetaria e valutaria) per favorire lo sviluppo dell’Unione, ma, nel momento delle difficoltà, li lascia soli nel risolver da sé i propri problemi. Se tutti si sono sottoposti a una regola comune, logica vorrebbe che tutti dovrebbero sentirsi compartecipi nella gestione delle difficoltà che sono accentuate da questo squilibrio istituzionale dell’euro. Su questo nodo riflette il prof. Bruno Amoroso, docente di Economia internazionale a Roskilde, nel libro Euro in bilico (Castevecchi 2011, p. 125, € 12) ripercorrendo il lungo processo, economico e politico, che ha portato all’euro e alla sua successiva gestione per porre la questione cruciale di quale forma istituzionale dovrebbe assumere il sistema monetario europeo per permettere di affrontare positivamente la situazione critica in cui versano i paesi “mediterranei” dell’eurozona.
L’osservazione che “i sistemi monetari, sia nazionali che internazionali, hanno in genere una durata che non supera i venticinque anni” ha certamente un suo fondamento storico e il fatto che essi non superino la vita di una generazione non è visto come il frutto di una legge naturale, ma solo del fatto dell’irrigidirsi nel tempo delle strutture istituzionali anche per il rafforzarsi degli interessi che esse finiscono con il favorire. L’instabilità endogena della moneta europea, ampiamente sviluppata nella parte principale del testo nelle sue diverse determinanti (teoriche, storiche, politiche), induce l’Autore a ritenere che finché l’euro rimane “in bilico” si corre il rischio di pesanti (e inutili) costi sociali. L’assenza di flessibilità, iniziale e sopravvenuta, del sistema è tale che non sembra esservi altra alternativa che quelle di riformare il sistema monetario per divenire funzionale all’obiettivo originario “della cooperazione e del benessere dei suoi popoli” o di riformare le società dei paesi-membri (almeno di quelli che ce la possono fare) per essere funzionali alle sue regole rigide. È immediata la considerazione che modificarne l’assetto istituzionale “non è utopia, ma una necessità” (frase conclusiva del libro).
La necessità di ridefinire in termini più flessibili il sistema monetario europeo trova giustificazione in tre considerazioni altamente condivisibili: la rilevanza dei costi sociali e produttivi dell’instabilità dell’euro; il peso degli interessi (di breve periodo) della Germania a non modificare l’assetto attuale; l’ingovernabilità di un’unione monetaria che non sia un’unione politica.
Sul primo punto l’affermazione che “l'Euro è instabile e la ricerca della sua stabilità produce intollerabili costi sociali e produttivi” trova ampio riscontro nelle analisi di economia internazionale che negano all’eurozona la qualifica di area valutaria ottimale. Le asimmetrie produttive e sociali al suo interno sono così pronunciate che un qualsiasi shock intacca con intensità diversa la competitività delle differenti economie; ciascuna di esse, di fronte all’obiettivo di contrastare la caduta produttiva e occupazionale, è soggetta a una pressione diversa nel contenere il costo del lavoro e gli altri costi (in primis quelli del welfare) con le implicazioni di un’accentuazione delle divaricazioni sociali all’interno dell’area. È la contraddizione economica sulla quale si fondano le aspettative degli economisti anglosassoni circa l’insostenibilità dell’euro, ma che fa risaltare anche la contraddizione politica di una moneta unica che viene interpretata come metro di un’omogeneità economica difficilmente raggiungibile, invece di essere assunta quale strumento per governare le differenze economiche in modo che non mettano a repentaglio il più cogente obiettivo dell’unità politica.
Qui si collega il ruolo della Germania. Il punto di vista di Amoroso è che “i tedeschi sono molto soddisfatti della situazione attuale” in quanto possono godere di un euro sottovalutato (rispetto al livello che raggiungerebbe il marco in assenza dei paesi “deboli”) che sostiene le sue esportazioni sia all’interno che all’esterno dell’area. È una condizione favorevole per un paese che della crescita industriale ha fatto il centro della sua forza economica e che da questo vantaggio economico trae le risorse per “pagare” il consenso sociale. La convinzione dell’Autore è che i tedeschi siano “decisi a mantenere [la situazione] immutata anche a costo di uscire dall'attuale sistema dell'Euro” e quindi che sia insuperabile la loro resistenza non solo a redistribuire i vantaggi ottenuti accettando forme di redistribuzione di reddito all’interno dell’area, ma anche a non mettere in discussione l’atteggiamento “mercantilista” di contenimento della domanda (che anzi è esasperato dalla richiesta di maggiore “austerità”) che potrebbe allentare la pressione sui paesi in difficoltà. Stando così le cose, tutto indica una tendenza al peggioramento della situazione e una accentuazione delle divergenze all’interno dell’area con effetti dannosi per la coesione sociale e politica.
L’assenza di una visione politica capace di interpretare gli interessi “generali” di un’Europa unita si scontra con la decisione di attribuire all’economia il ruolo disciplinatore dei comportamenti “inadeguati” dei paesi in difficoltà. Ne deriva con sempre maggiore evidenza “l'impossibilità di conservare un'unione monetaria senza l'unione politica”, per cui Amoroso ritiene che si “rende necessario ricostruirle insieme con un rapporto di coerenza e a un livello territoriale che le renda possibili e desiderabili”. Non solo non c’è “unione nell’Unione” ma il meccanismo in atto opera in maniera perversa in quanto la finanza sta premiando i più forti (interessi-zero per la Germania) a scapito di quelli in difficoltà, i cui crescenti oneri sul debito pubblico aggravano le prospettive di medio-lungo periodo. Sempre più irrealistico appare peraltro uno scatto della classe dirigente europea per realizzare un maggiore coordinamento delle politiche economiche e fiscali nazionali e per costruire un sistema istituzionale che, su basi consensualmente equilibrate, sia di supporto a una crescita stabile e di difesa in situazione di improvvise difficoltà.
L’unica via di uscita da questa situazione pericolosa per l’unità europea consiste per Amoroso nell’“introdurre un sistema monetario flessibile tra i Paesi europei” che preveda una “moneta comune (Euro-med) per i Paesi dell'Europa del Sud maggiormente colpiti dalla crisi e con sistemi economici affini” distinta da un euro-marco per la Germania e per i paesi che intendono rimanere all’interno della sua sfera monetaria.
La considerazione che vi sono paesi che, pur facendo parte dell’Unione, hanno mantenuto la propria moneta nazionale dovrebbe, secondo Amoroso, sdrammatizzare i timori per una siffatta ristrutturazione del sistema monetario; la sua proposta non va quindi intesa come un invito ai singoli paesi di uscire dall’euro ma va considerata come un progetto per dare più flessibilità al funzionamento dell’area valutaria. Il ricorso a un sistema di cambio rivedibile nel tempo sulla base delle evoluzioni produttive e finanziarie delle diverse aree darebbe maggiore stabilità al sistema monetario anche in presenza, al suo interno, di aree (non di singoli paesi) dai caratteri strutturali irriducibili. Nel nuovo assetto istituzionale è naturale che la banca centrale vedrebbe ridefinito profondamente il suo ruolo, così come si renderebbe necessaria la costruzione di un sistema finanziario europeo di supporto alla gestione di una realtà più composita.
Il riconoscimento di un’area, il Mezzogiorno d’Europa, con proprie specificità e proprie esigenze di crescita e stabilità rappresenterebbe una sfida al modello eurocratico dell’Unione costituendo un’esperienza non inutile per gli altri Mezzogiorni d’Europa. Sebbene la proposta di Amoroso si presenti come un passo indietro in un ideale percorso federalista, essa è avanzata come l’unica soluzione possibile per riprendere con maggiori probabilità di successo il percorso verso l’unità politica. L’esistenza di istituzioni che non penalizzino strutturalmente alcuna area interna è la questione politica cruciale affinché l’incapacità di gestire le inevitabili asimmetrie economiche non vada a scapito di una compiuta cittadinanza europea.
Si tratta di una proposta che lo stesso Autore riconosce presentare alcuni “nodi di Gordio” che vanno sciolti; e non sono nodi piccoli. Egli sottolinea che un’iniziativa in tale senso richiede di ridimensionare il potere della finanza; di ricomporre il rapporto tra mercato e sistemi produttivi; di ridefinire il quadro della cooperazione europea, anche di quella monetaria. Risulta evidente la prospettiva strutturale e di medio–lungo periodo che la anima, così come è evidente che essa si scontra con gli interessi forti che non intendono rinunciare all’assetto attuale. Non è quindi solo necessario disporre di valide idee per vedere realizzato tale progetto, ma è necessaria la presenza di un Soggetto che – espressione di un processo deliberativo democratico – abbia la forza di condurre in porto l’alternativa proposta, tenendo anche conto che le “affinità” tra i sistemi economici dei paesi che dovrebbero partecipare all’area monetaria più ristretta possono non essere così consonanti da escludere che al loro interno si ripresentino contraddizioni non dissimili da quelle che sperimentano ora a livello dell’intera eurozona.
La qualità del soggetto politico che deve gestire il processo appare allora essere l’elemento cruciale sia per valutare l’opportunità di avviare il progetto, sia per realizzarlo positivamente. Ma se dovesse esistere (o almeno formarsi in tempi relativamente brevi) una tale capacità politica, non vi sarebbero le condizioni per puntare alla più ampia riforma dell’Unione piuttosto che fare un passo indietro? Se invece un tale soggetto politico si rivelasse troppo debole per conciliare esigenze tanto contrapposte, il percorso per ridefinire un’eurozona a più livelli non risulterebbe inutilmente intricato?
I margini per realizzare il progetto appaiono piuttosto ristretti. Tuttavia, pur in presenza di queste osservazioni, il contributo di Amoroso riveste ancora un particolare interesse se venisse visto come un possibile quadro di riferimento per affrontare l’eventuale tracollo dell’eurozona sotto la pressione di una finanza avvantaggiata dall’insipienza della classe dirigente europea. In una tale situazione non programmata dai potenziali risvolti drammatici, le riflessioni non-utopiche di Amoroso potrebbero essere di grande utilità per orientare le strategie da adottare al fine di contenere i costi sociali e istituzionali dell’inedita situazione. Nella prospettiva di questa eventualità (ma non solo), esse hanno anche l’effetto di sottolineare l’esigenza di esprimere e mantenere fin da ora una concreta solidarietà politica nei confronti di tutti i paesi dell’eurozona soggetti, come noi, alle pressioni per una ristrutturazione economica degli elevati costi sociali. Un atteggiamento doveroso non solo per garantirsi una difesa comune in una situazione di elevata instabilità, ma anche per mantenere comunque aperta la prospettiva di un’unione politica anche in presenza di una deludente gestione dell’attuale dirigenza europea.
È paradossale che un sistema monetario immaginato per consolidare la società europea in un progetto di Unione sovranazionale operi invece come moltiplicatore delle tensioni politiche interne quando viene investito da uno shock proveniente dall’esterno. La crisi finanziaria si è infatti diffusa a diversi livelli (produttivo, occupazionale, di finanza pubblica, del sistema bancario ecc.) evidenziando la sua natura “sistemica” che rende molto problematiche le politiche di stabilizzazione di molti paesi dell’eurozona. Se le istituzioni della moneta unica hanno dimostrato di poter contenere gli effetti della crisi sul sistema bancario, esse si sono invece dimostrate ampiamente inefficaci nel fronteggiare le difficoltà del settore pubblico e del suo debito. Anzi, la linea di austerità imposta dalle autorità di Bruxelles, volta a privilegiare il riequilibrio dei conti pubblici in un contesto di conclamata recessione, ha ovviamente reso ancor più complessa la situazione dei paesi più deboli.
L’inadeguatezza istituzionale dell’eurozona si manifesta nell’asimmetria dei suoi meccanismi. Essi hanno richiesto (e richiedono) ai paesi-membri di rinunciare a importanti strumenti di politica economica (monetaria e valutaria) per favorire lo sviluppo dell’Unione, ma, nel momento delle difficoltà, li lascia soli nel risolver da sé i propri problemi. Se tutti si sono sottoposti a una regola comune, logica vorrebbe che tutti dovrebbero sentirsi compartecipi nella gestione delle difficoltà che sono accentuate da questo squilibrio istituzionale dell’euro. Su questo nodo riflette il prof. Bruno Amoroso, docente di Economia internazionale a Roskilde, nel libro Euro in bilico (Castevecchi 2011, p. 125, € 12) ripercorrendo il lungo processo, economico e politico, che ha portato all’euro e alla sua successiva gestione per porre la questione cruciale di quale forma istituzionale dovrebbe assumere il sistema monetario europeo per permettere di affrontare positivamente la situazione critica in cui versano i paesi “mediterranei” dell’eurozona.
L’osservazione che “i sistemi monetari, sia nazionali che internazionali, hanno in genere una durata che non supera i venticinque anni” ha certamente un suo fondamento storico e il fatto che essi non superino la vita di una generazione non è visto come il frutto di una legge naturale, ma solo del fatto dell’irrigidirsi nel tempo delle strutture istituzionali anche per il rafforzarsi degli interessi che esse finiscono con il favorire. L’instabilità endogena della moneta europea, ampiamente sviluppata nella parte principale del testo nelle sue diverse determinanti (teoriche, storiche, politiche), induce l’Autore a ritenere che finché l’euro rimane “in bilico” si corre il rischio di pesanti (e inutili) costi sociali. L’assenza di flessibilità, iniziale e sopravvenuta, del sistema è tale che non sembra esservi altra alternativa che quelle di riformare il sistema monetario per divenire funzionale all’obiettivo originario “della cooperazione e del benessere dei suoi popoli” o di riformare le società dei paesi-membri (almeno di quelli che ce la possono fare) per essere funzionali alle sue regole rigide. È immediata la considerazione che modificarne l’assetto istituzionale “non è utopia, ma una necessità” (frase conclusiva del libro).
La necessità di ridefinire in termini più flessibili il sistema monetario europeo trova giustificazione in tre considerazioni altamente condivisibili: la rilevanza dei costi sociali e produttivi dell’instabilità dell’euro; il peso degli interessi (di breve periodo) della Germania a non modificare l’assetto attuale; l’ingovernabilità di un’unione monetaria che non sia un’unione politica.
Sul primo punto l’affermazione che “l'Euro è instabile e la ricerca della sua stabilità produce intollerabili costi sociali e produttivi” trova ampio riscontro nelle analisi di economia internazionale che negano all’eurozona la qualifica di area valutaria ottimale. Le asimmetrie produttive e sociali al suo interno sono così pronunciate che un qualsiasi shock intacca con intensità diversa la competitività delle differenti economie; ciascuna di esse, di fronte all’obiettivo di contrastare la caduta produttiva e occupazionale, è soggetta a una pressione diversa nel contenere il costo del lavoro e gli altri costi (in primis quelli del welfare) con le implicazioni di un’accentuazione delle divaricazioni sociali all’interno dell’area. È la contraddizione economica sulla quale si fondano le aspettative degli economisti anglosassoni circa l’insostenibilità dell’euro, ma che fa risaltare anche la contraddizione politica di una moneta unica che viene interpretata come metro di un’omogeneità economica difficilmente raggiungibile, invece di essere assunta quale strumento per governare le differenze economiche in modo che non mettano a repentaglio il più cogente obiettivo dell’unità politica.
Qui si collega il ruolo della Germania. Il punto di vista di Amoroso è che “i tedeschi sono molto soddisfatti della situazione attuale” in quanto possono godere di un euro sottovalutato (rispetto al livello che raggiungerebbe il marco in assenza dei paesi “deboli”) che sostiene le sue esportazioni sia all’interno che all’esterno dell’area. È una condizione favorevole per un paese che della crescita industriale ha fatto il centro della sua forza economica e che da questo vantaggio economico trae le risorse per “pagare” il consenso sociale. La convinzione dell’Autore è che i tedeschi siano “decisi a mantenere [la situazione] immutata anche a costo di uscire dall'attuale sistema dell'Euro” e quindi che sia insuperabile la loro resistenza non solo a redistribuire i vantaggi ottenuti accettando forme di redistribuzione di reddito all’interno dell’area, ma anche a non mettere in discussione l’atteggiamento “mercantilista” di contenimento della domanda (che anzi è esasperato dalla richiesta di maggiore “austerità”) che potrebbe allentare la pressione sui paesi in difficoltà. Stando così le cose, tutto indica una tendenza al peggioramento della situazione e una accentuazione delle divergenze all’interno dell’area con effetti dannosi per la coesione sociale e politica.
L’assenza di una visione politica capace di interpretare gli interessi “generali” di un’Europa unita si scontra con la decisione di attribuire all’economia il ruolo disciplinatore dei comportamenti “inadeguati” dei paesi in difficoltà. Ne deriva con sempre maggiore evidenza “l'impossibilità di conservare un'unione monetaria senza l'unione politica”, per cui Amoroso ritiene che si “rende necessario ricostruirle insieme con un rapporto di coerenza e a un livello territoriale che le renda possibili e desiderabili”. Non solo non c’è “unione nell’Unione” ma il meccanismo in atto opera in maniera perversa in quanto la finanza sta premiando i più forti (interessi-zero per la Germania) a scapito di quelli in difficoltà, i cui crescenti oneri sul debito pubblico aggravano le prospettive di medio-lungo periodo. Sempre più irrealistico appare peraltro uno scatto della classe dirigente europea per realizzare un maggiore coordinamento delle politiche economiche e fiscali nazionali e per costruire un sistema istituzionale che, su basi consensualmente equilibrate, sia di supporto a una crescita stabile e di difesa in situazione di improvvise difficoltà.
L’unica via di uscita da questa situazione pericolosa per l’unità europea consiste per Amoroso nell’“introdurre un sistema monetario flessibile tra i Paesi europei” che preveda una “moneta comune (Euro-med) per i Paesi dell'Europa del Sud maggiormente colpiti dalla crisi e con sistemi economici affini” distinta da un euro-marco per la Germania e per i paesi che intendono rimanere all’interno della sua sfera monetaria.
La considerazione che vi sono paesi che, pur facendo parte dell’Unione, hanno mantenuto la propria moneta nazionale dovrebbe, secondo Amoroso, sdrammatizzare i timori per una siffatta ristrutturazione del sistema monetario; la sua proposta non va quindi intesa come un invito ai singoli paesi di uscire dall’euro ma va considerata come un progetto per dare più flessibilità al funzionamento dell’area valutaria. Il ricorso a un sistema di cambio rivedibile nel tempo sulla base delle evoluzioni produttive e finanziarie delle diverse aree darebbe maggiore stabilità al sistema monetario anche in presenza, al suo interno, di aree (non di singoli paesi) dai caratteri strutturali irriducibili. Nel nuovo assetto istituzionale è naturale che la banca centrale vedrebbe ridefinito profondamente il suo ruolo, così come si renderebbe necessaria la costruzione di un sistema finanziario europeo di supporto alla gestione di una realtà più composita.
Il riconoscimento di un’area, il Mezzogiorno d’Europa, con proprie specificità e proprie esigenze di crescita e stabilità rappresenterebbe una sfida al modello eurocratico dell’Unione costituendo un’esperienza non inutile per gli altri Mezzogiorni d’Europa. Sebbene la proposta di Amoroso si presenti come un passo indietro in un ideale percorso federalista, essa è avanzata come l’unica soluzione possibile per riprendere con maggiori probabilità di successo il percorso verso l’unità politica. L’esistenza di istituzioni che non penalizzino strutturalmente alcuna area interna è la questione politica cruciale affinché l’incapacità di gestire le inevitabili asimmetrie economiche non vada a scapito di una compiuta cittadinanza europea.
Si tratta di una proposta che lo stesso Autore riconosce presentare alcuni “nodi di Gordio” che vanno sciolti; e non sono nodi piccoli. Egli sottolinea che un’iniziativa in tale senso richiede di ridimensionare il potere della finanza; di ricomporre il rapporto tra mercato e sistemi produttivi; di ridefinire il quadro della cooperazione europea, anche di quella monetaria. Risulta evidente la prospettiva strutturale e di medio–lungo periodo che la anima, così come è evidente che essa si scontra con gli interessi forti che non intendono rinunciare all’assetto attuale. Non è quindi solo necessario disporre di valide idee per vedere realizzato tale progetto, ma è necessaria la presenza di un Soggetto che – espressione di un processo deliberativo democratico – abbia la forza di condurre in porto l’alternativa proposta, tenendo anche conto che le “affinità” tra i sistemi economici dei paesi che dovrebbero partecipare all’area monetaria più ristretta possono non essere così consonanti da escludere che al loro interno si ripresentino contraddizioni non dissimili da quelle che sperimentano ora a livello dell’intera eurozona.
La qualità del soggetto politico che deve gestire il processo appare allora essere l’elemento cruciale sia per valutare l’opportunità di avviare il progetto, sia per realizzarlo positivamente. Ma se dovesse esistere (o almeno formarsi in tempi relativamente brevi) una tale capacità politica, non vi sarebbero le condizioni per puntare alla più ampia riforma dell’Unione piuttosto che fare un passo indietro? Se invece un tale soggetto politico si rivelasse troppo debole per conciliare esigenze tanto contrapposte, il percorso per ridefinire un’eurozona a più livelli non risulterebbe inutilmente intricato?
I margini per realizzare il progetto appaiono piuttosto ristretti. Tuttavia, pur in presenza di queste osservazioni, il contributo di Amoroso riveste ancora un particolare interesse se venisse visto come un possibile quadro di riferimento per affrontare l’eventuale tracollo dell’eurozona sotto la pressione di una finanza avvantaggiata dall’insipienza della classe dirigente europea. In una tale situazione non programmata dai potenziali risvolti drammatici, le riflessioni non-utopiche di Amoroso potrebbero essere di grande utilità per orientare le strategie da adottare al fine di contenere i costi sociali e istituzionali dell’inedita situazione. Nella prospettiva di questa eventualità (ma non solo), esse hanno anche l’effetto di sottolineare l’esigenza di esprimere e mantenere fin da ora una concreta solidarietà politica nei confronti di tutti i paesi dell’eurozona soggetti, come noi, alle pressioni per una ristrutturazione economica degli elevati costi sociali. Un atteggiamento doveroso non solo per garantirsi una difesa comune in una situazione di elevata instabilità, ma anche per mantenere comunque aperta la prospettiva di un’unione politica anche in presenza di una deludente gestione dell’attuale dirigenza europea.
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