Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 20 giugno 2012

Tsipras, la Merkel e il Furore dei popoli europei



 - micromega -

Se la Merkel temeva il famoso moral hazard incentivato da un “cedimento” alle richieste degli “estremisti di Syriza”, non c'era migliore condizione di una affermazione del centrodestra greco per dimostrare elasticità e pragmatismo. Ma la Cancelliera ha detto il suo ennesimo “no”. E l'Europa precipita nella crisi.
di Emilio Carnevali

Se il leader di Syriza, il giovane Alexis Tsipras, fosse un uomo terribilmente cinico, il più contento del risultato delle elezioni greche oggi sarebbe proprio lui. Nel giro di quattro anni, grazie al dramma che si è abbattuto sulla popolazione greca, il suo partito è passato dal 4% al 27%. E ora non è nemmeno costretto a “scoprire il bluff” – per usare una espressione mutuata dal poker, non inappropriata visto il contesto – della rinegoziazione del memorandum di intesa con la Trojka. O a trarre le conseguenze di un prevedibile Niet – il proverbiale “Vedo” temuto anche dal bluffatore più consumato – pronunciato da Berlino alle sue richieste.

Per quanto tutti i giornali abbiano titolato “La Grecia sceglie l'Euro”, infatti, la posizione ufficiale di Syriza non era affatto contraria alla moneta unica e all'Unione europea. Lo scorso 21 maggio, in un'intervista al quotidiano britannico The Guardian, Tsipras lo aveva ribadito per l'ennesima volta, rispondendo ad una precisa domanda della giornalista Helena Smith: «Lei è contrario all'euro?». «È ovvio che noi non siamo contrari all'Euro e all'idea di una unione politica e monetaria», era stata la presa di posizione nettissima del giovane leader greco. Ciò a cui era contrario, se mai, era la politica di sola austerity imposta al suo paese: le misure grazie alle quali, anche nel primo trimestre del 2012, il Pil greco è sceso del 6,5%, la disoccupazione giovanile è volata al 54% e la spirale di deterioramento dei conti pubblici (deficit e debito, è bene ricordarlo, sono sempre valutati in rapporto al Pil) non sembra arrestarsi. Per questo Tsipras proponeva un «diverso piano di aggiustamento fiscale» per la Grecia e auspicava che l'Europa, consapevole del carattere continentale della crisi, mettesse in campo un New Deal (la politica con il quale il presidente democratico Roosevelt affrontò la Grande Depressione degli anni Trenta) e conferisse alla Bce un vero mandato per lottare contro la speculazione finanziaria che colpisce i debiti sovrani dei paesi della “periferia”.

Perché allora tutti attribuivano a Tzipras la segreta volontà di uscire dall'Euro? Perché lo scenario realistico che si prospettava nel caso di una sua vittoria era questo (accenniamo in modo assai semplicistico e rudimentale all'ipotesi più accreditata): proposta di rinegoziazione del memorandum di accordi – No della Germania – Sospensione degli aiuti con conseguente default (impossibilità di restituire i debiti contratti). Giunto a questo punto un paese che non riceve più aiuti istituzionali e ovviamente non può più finanziarsi sui mercati dei capitali (chi può prestare soldi a un paese che è appena fallito?) deve vivere solo “del suo”. Ovvero di ciò che raccoglie con le tasse. Ma deve essere anche in pareggio di bilancio, perché se no le tasse non bastano a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, le bollette degli ospedali, ecc. E la Grecia non è in pareggio di bilancio, anche al netto degli interessi attualmente pagati sui debiti. A quel punto potrebbe convenire riappropriarsi della sovranità monetaria, ricominciare a stampare dracma e approfittare anche degli eventuali vantaggi che la svalutazione della moneta potrebbe dare all'economia ellenica; per quanto, escluso il turismo, non è chiaro quali settori sarebbero attualmente in grado di giovarsi di tale opportunità, visto che il sistema produttivo ellenico è ridotto praticamente in macerie.

Si può certamente discutere dei margini di manovra che Tzipras realmente pensava di avere nella rinegoziazione del memorandum; e nessuno potrà mai dire l'ultima parola, dal momento che non si dispone della controprova empirica di una sua vittoria. Ma la frase che Angela Merkel ha pronunciato ieri è, quella sì, l'ennesima controprova dell'inadeguatezza e della cecità dell'attuale leadership europea. «La cosa importante è che il nuovo governo rispetti gli impegni presi. Non ci sarà un allentamento negli obiettivi di riforma». “Obiettivi di riforma” che, per citare un primo esempio concreto, sono rappresentati dagli 11,7 miliardi di tagli previsti entro giugno.

Se la Merkel temeva il famoso moral hazard (azzardo morale) che si sarebbe incentivato nel caso di un “cedimento” europeo a seguito della vittoria degli “estremisti di Syriza”, non c'era migliore condizione di una affermazione del centrodestra di Nuova Democrazia per dimostrare elasticità e pragmatismo: «Cari greci», avrebbe potuto dire, «visto che avete dimostrato “responsabilità” adesso un po' di buona volontà ce la mettiamo pure noi e cerchiamo di non farvi morire di fame» (anche Nd si è pronunciata per una parziale revisione degli accordi con la Trojka).

E invece nulla, si continua su una strada di totale rigidità ed inerzia. Non solo rispetto alla Grecia, ma anche riguardo a tutti gli altri temi caldi legati ad vera risposta europea all'altezza della gravità della crisi (dagli eurobond alla garanzia europea sui depositi, dal ruolo della Banca centrale al fondo che possa intervenire per ricapitalizzare le banche in difficoltà senza far pesare i salvataggi sui debiti statali, e via via lungo tutti i nodi attualmente oggetto di serrate trattative).
Il rischio, a questo punto, va molto oltre una nuova impennata degli spread. Può investire la stessa tenuta sociale delle democrazie occidentali, come ci ricordano le parole di John Steinbeck nel romanzo “Furore” (1939), il grande capolavoro della letteratura americana ambientato durante la depressione degli anni Trenta: «Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello».

(19 giugno 2012)

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