La prossima sarà “una settimana selvaggia”, prevede l’edizione tedesca del Financial Times. Le Borse continueranno a scendere e gli spread italiani e spagnoli a salire. Ma quello che fa veramente paura è il cul-de-sac in cui si sono cacciati i governi e le istituzioni europee.
A tre settimane da un Consiglio europeo che tutti giudicano decisivo perché senza accordi concreti davvero non si potrà andare avanti; mentre, nonostante la buona volontà degli elettori irlandesi (pochi), si addensano le nubi sulle ratifiche del Fiscal compact in forse persino in Germania; quando Berlino respinge al mittente le proposte di condivisione europea del debito e cadono una dopo l’altra tutte le ipotesi di regolamentazione dei mercati così che la finanza speculativa continua a strapazzare gli stati in difficoltà, l’economia europea si trova nella condizione di un aereo che rischia lo stallo: se non va avanti, cade. È quel che prevede il re degli hedge funds George Soros: l’Europa – ha detto – ha ancora tre mesi di tempo. Se si continuerà a non far nulla, in autunno la crisi investirà anche la Germania, e allora sarà davvero la fine. La Commissione Ue pare, finalmente, voler riprendere l’iniziativa e ieri ha annunciato per mercoledì una direttiva che punterebbe a una maggiore integrazione del sistema bancario continentale. Il progetto indicherebbe il principio della condivisione, per cui tutti gli Stati sarebbero chiamati a farsi carico delle difficoltà del sistema in ogni singolo Paese. È dubbio però che i tedeschi recedano dal rifiuto della “solidarizzazione” dei problemi finanziari. Tanto per non perdere l’abitudine, ieri Angela Merkel ha ribadito che Berlino «non accetterà mai gli eurobond». Il progetto della Commissione prevedrebbe che ai salvataggi partecipino prima gli azionisti, poi i creditori e solo in ultima istanza il fondo salva-Stati.
Nelle ultime ore, messa (provvisoriamente) tra parentesi la Grecia, lo spauracchio è diventato la Spagna, con il suo sistema bancario massacrato dagli effetti della bolla immobiliare. Il premier Mariano Rajoy ha detto che il Paese «non si trova sull’orlo di alcun baratro», ma poco prima era arrivata la notizia che per salvare dal fallimento Bankia, uno dei gruppi più grossi che da settimane fa da cartina di tornasole del disastro in cui versa l’intero sistema del credito, non ci vorranno «solo» 19 miliardi, come si era detto, ma «almeno 23». E programmare una nuova manovra di tagli e aumenti fiscali recessivi nel Paese che detiene il record della disoccupazione europea per salvare una banca che gli spagnoli considerano figlia degenerata degli errori della destra, è improponibile persino per un governo che non ha dimostrato finora grande sensibilità sociale.
Ecco allora l’impazienza con cui lo stesso Rajoy e i suoi ministri insistono perché si faccia almeno qualche passo avanti sulla proposta che Draghi ha illustrato al Parlamento europeo e alla quale la proposta della Commissione fa, in qualche modo, da sponda: far sì che si possa utilizzare il fondo salva-Stati European Security Mechanism che dovrebbe entrare in vigore a luglio per sostenere direttamente gli istituti in difficoltà senza passare per gli Stati, gravare sul loro debito e quindi far scattare tutte le clausole capestro previste dal Fiscal compact. E però non è così semplice.
Intanto l’entrata in forza dell’Esm è legata alle ratifiche del Fiscal compact, che sono molto in ritardo anche a non considerare la ridiscussione di alcuni punti che a moltissimi pare, ormai, inevitabile. Molti economisti tedeschi, secondo lo Spiegel, condividono l’opinione del prof. Jan Hagen della prestigiosa Scuola europea di management e tecnologia, secondo cui il trattato sull’Ems dovrebbe essere modificato, almeno nel caso che in Spagna parta una corsa al ritiro dai depositi cui Madrid non possa far fronte aiutando le banche con soldi suoi: «L’Unione europea ha già violato diversi Trattati, li ha ripensati e adattati. Con un po’ di creatività si troverebbe il modo di aprire il fondo ad aiuti diretti alle banche».
E diversi giuristi si sono messi al lavoro per verificare se e come andrebbero modificati gli accordi. Secondo l’esperta di diritto Bettina Brück, già ora l’art. 19 del Trattato sull’Ems prevede che i governatori delle banche centrali possano decidere di modificare le clausole del patto.
E poi su tutto grava l’incognita Merkel. Fin dai tempi di Merkozy, la cancelliera è fieramente contraria all’ipotesi, sostenuta da Parigi, che i fondi salva-Stati funzionino come banche. Continua ad essere tetragona pure se la Commissione Ue, quasi tutti i governi europei, a cominciare da quelli francese e italiano, e a questo punto anche il Fmi, consiglino le immissioni dirette di liquidità, modificando, se necessario, anche gli statuti della Bce. L’attuale governo di Berlino non ci sta e ha in mano l’ottimo argomento d’essere di gran lunga il contributore più forte. Può darsi che in queste ore nella cancelleria sulla Sprea si stia meditando qualche ammorbidimento, anche per favorire il duro negoziato con la Spd e i Verdi dei cui voti il governo ha bisogno per far passare il Fiskalpakt. Ma per ora non ce n’è traccia: Frau Merkel e Wolfgang Schäuble sarebbero perplessi persino sulla creazione di un fondo di garanzia europeo per i depositi bancari ed è più che probabile che difenderebbero come mastini le prerogative della Bundesbank contro le timide proposte per la creazione di un ente di controllo comunitario, una Consob europea.
Dallo stallo, per ora, non si esce. E il rischio di precipitare si fa d’ora in ora più grosso.
A tre settimane da un Consiglio europeo che tutti giudicano decisivo perché senza accordi concreti davvero non si potrà andare avanti; mentre, nonostante la buona volontà degli elettori irlandesi (pochi), si addensano le nubi sulle ratifiche del Fiscal compact in forse persino in Germania; quando Berlino respinge al mittente le proposte di condivisione europea del debito e cadono una dopo l’altra tutte le ipotesi di regolamentazione dei mercati così che la finanza speculativa continua a strapazzare gli stati in difficoltà, l’economia europea si trova nella condizione di un aereo che rischia lo stallo: se non va avanti, cade. È quel che prevede il re degli hedge funds George Soros: l’Europa – ha detto – ha ancora tre mesi di tempo. Se si continuerà a non far nulla, in autunno la crisi investirà anche la Germania, e allora sarà davvero la fine. La Commissione Ue pare, finalmente, voler riprendere l’iniziativa e ieri ha annunciato per mercoledì una direttiva che punterebbe a una maggiore integrazione del sistema bancario continentale. Il progetto indicherebbe il principio della condivisione, per cui tutti gli Stati sarebbero chiamati a farsi carico delle difficoltà del sistema in ogni singolo Paese. È dubbio però che i tedeschi recedano dal rifiuto della “solidarizzazione” dei problemi finanziari. Tanto per non perdere l’abitudine, ieri Angela Merkel ha ribadito che Berlino «non accetterà mai gli eurobond». Il progetto della Commissione prevedrebbe che ai salvataggi partecipino prima gli azionisti, poi i creditori e solo in ultima istanza il fondo salva-Stati.
Nelle ultime ore, messa (provvisoriamente) tra parentesi la Grecia, lo spauracchio è diventato la Spagna, con il suo sistema bancario massacrato dagli effetti della bolla immobiliare. Il premier Mariano Rajoy ha detto che il Paese «non si trova sull’orlo di alcun baratro», ma poco prima era arrivata la notizia che per salvare dal fallimento Bankia, uno dei gruppi più grossi che da settimane fa da cartina di tornasole del disastro in cui versa l’intero sistema del credito, non ci vorranno «solo» 19 miliardi, come si era detto, ma «almeno 23». E programmare una nuova manovra di tagli e aumenti fiscali recessivi nel Paese che detiene il record della disoccupazione europea per salvare una banca che gli spagnoli considerano figlia degenerata degli errori della destra, è improponibile persino per un governo che non ha dimostrato finora grande sensibilità sociale.
Ecco allora l’impazienza con cui lo stesso Rajoy e i suoi ministri insistono perché si faccia almeno qualche passo avanti sulla proposta che Draghi ha illustrato al Parlamento europeo e alla quale la proposta della Commissione fa, in qualche modo, da sponda: far sì che si possa utilizzare il fondo salva-Stati European Security Mechanism che dovrebbe entrare in vigore a luglio per sostenere direttamente gli istituti in difficoltà senza passare per gli Stati, gravare sul loro debito e quindi far scattare tutte le clausole capestro previste dal Fiscal compact. E però non è così semplice.
Intanto l’entrata in forza dell’Esm è legata alle ratifiche del Fiscal compact, che sono molto in ritardo anche a non considerare la ridiscussione di alcuni punti che a moltissimi pare, ormai, inevitabile. Molti economisti tedeschi, secondo lo Spiegel, condividono l’opinione del prof. Jan Hagen della prestigiosa Scuola europea di management e tecnologia, secondo cui il trattato sull’Ems dovrebbe essere modificato, almeno nel caso che in Spagna parta una corsa al ritiro dai depositi cui Madrid non possa far fronte aiutando le banche con soldi suoi: «L’Unione europea ha già violato diversi Trattati, li ha ripensati e adattati. Con un po’ di creatività si troverebbe il modo di aprire il fondo ad aiuti diretti alle banche».
E diversi giuristi si sono messi al lavoro per verificare se e come andrebbero modificati gli accordi. Secondo l’esperta di diritto Bettina Brück, già ora l’art. 19 del Trattato sull’Ems prevede che i governatori delle banche centrali possano decidere di modificare le clausole del patto.
E poi su tutto grava l’incognita Merkel. Fin dai tempi di Merkozy, la cancelliera è fieramente contraria all’ipotesi, sostenuta da Parigi, che i fondi salva-Stati funzionino come banche. Continua ad essere tetragona pure se la Commissione Ue, quasi tutti i governi europei, a cominciare da quelli francese e italiano, e a questo punto anche il Fmi, consiglino le immissioni dirette di liquidità, modificando, se necessario, anche gli statuti della Bce. L’attuale governo di Berlino non ci sta e ha in mano l’ottimo argomento d’essere di gran lunga il contributore più forte. Può darsi che in queste ore nella cancelleria sulla Sprea si stia meditando qualche ammorbidimento, anche per favorire il duro negoziato con la Spd e i Verdi dei cui voti il governo ha bisogno per far passare il Fiskalpakt. Ma per ora non ce n’è traccia: Frau Merkel e Wolfgang Schäuble sarebbero perplessi persino sulla creazione di un fondo di garanzia europeo per i depositi bancari ed è più che probabile che difenderebbero come mastini le prerogative della Bundesbank contro le timide proposte per la creazione di un ente di controllo comunitario, una Consob europea.
Dallo stallo, per ora, non si esce. E il rischio di precipitare si fa d’ora in ora più grosso.
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