Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 31 dicembre 2011

Fase due

IN ANTEPRIMA, LA VERSIONE ORIGINALE DEL DISCORSO DI NAPOLITANO AGLI ITALIANI

Autore: stefano galieni. fonte: controlacrisi
LA COMPAGNA B, AMICA DELLA COMPAGNA C, CI HA INVIATO LA BOZZA ORIGINALE DEL DISCORSO DI FINE ANNO AGLI ITALIANI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA... E NOI DIFFONDIAMO

Care italiane e italiani. Ho deciso per questa sera, e in via del tutto eccezionale di parlare fino alla mezzanotte, tanto sono consapevole che almeno un quarto di voi non farà il tradizionale cenone, un altro 50% si accontenterà di un piatto di pasta col tonno e due olive, mentre una parte piccola ma che mi sta molto a cuore del Paese se la spassa nelle mete esotiche e non ha tempo di ascoltare la mia omelia. Lo so… il momento è difficile. Anche io, sto pagando duramente la crisi e stasera avrò con me un cameriere in meno, ma tagliare le spese è necessario e voglio dare l’esempio. È stato un anno duro. Pensavo di poter continuare a dormire serenamente e invece mi è toccato firmare, firmare e firmare un sacco di fogli che mi portava in continuazione il precedente premier. Avevo fretta, dovevo riflettere sui 150 anni dell’Unità d’Italia e non potevo certo mettermi a sfogliare leggi e leggine. Per un mese intero, fra il novembre e il dicembre del 2010 ho avuto un forte crampo alla mano, a furia di firmare, tanto che le malelingue che sempre abbondano da queste parti, hanno sostenuto si trattasse di un pretesto per dare il tempo al Presidente Berlusconi di acquistare alcuni parlamentari e mantenere in vita il governo. Ma la Storia dimenticherà simili illazioni e si ricorderà di come, sprezzante del pericolo e del caldo estivo, io sia tornato a firmare, firmare e firmare, manovre e correzioni di bilancio, anche mentre molti compatrioti stavano beatamente a riposo. Cosa? Non in ferie ma disoccupati o in cassa integrazione? Beh, sempre di riposo si tratta. Poi mi è toccato anche l’infausto compito di traghettare il Paese, una fatica non da poco per uno della mia età, verso questo nuovo governo di banchieri che mi ha spiegato come garantendo alle banche di poter continuare a speculare si possa salvare l’Italia. Io ad essere sincero non ci avevo capito molto, stavo facendo la pennica pomeridiana, ma mi sono fidato di questo signore col loden e ho contribuito così al benessere del Paese. Non ho ancora ben capito con quale analcolico si faccia lo spread e perché schizzi sempre, ogni sera, prima di coricarmi, vado a rassicurare i mercati e in fondo mi sento ringiovanito. Così giovane che sto già pensando di restare in questa casetta di sole 1200 stanze per altri 7 anni. Si costa più di Buckingam Palace ma ne va dell’immagine del Paese che mi è tanto caro. Mi è tornata la stessa voglia di lavorare di quando ero iscritto al PCIA ( una sezione particolare del PCI) e facevo le scarpe a Berlinguer, ora sto cercando di unire il paese in un unico grande partito, che copra quasi l’intero arco parlamentare. Mi piacerebbe lasciare solo poche briciole a quelli col fazzoletto verde, che altrimenti non posso andare oltre Bologna e levarmi dalle scatole anche i guastafeste alla Di Pietro e compagnia, come sono riuscito a fare, grazie al fido Veltroni e alle loro nefaste abitudini, con i comunisti. Per il prossimo anno care e cari italiani vi preparerò una bella nuova legge elettorale, moderna e adatta a farci stare in Europa. Potranno votare tutti, anche i cittadini stranieri a patto che abbiano un reddito non inferiore a quello di Pato ( noto giocatore del Milan) e avranno diritto di cittadinanza anche i bambini immigrati nati e cresciuti in Italia come doveva già permettere una legge emanata nel 1998 da due ministri uno dei quali mio omonimo. L’estensione del diritto di voto ovviamente – dovendo fare sacrifici – comporterà la riduzione del numero dei partiti, che saranno 1. Intendo poi aiutare il governo nella riforma del diritto del lavoro. Ha ragione l’onorevole Bersani quando dice che l’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non va toccato. Si sta operando per abolire infatti l’intero Statuto e sostituirlo con una legge composta da un solo articolo che recita pressappoco così “Io sono il padrone e faccio quello che mi pare”. Ne guadagneremo in competitività. Raddoppieremo le missioni militari e i finanziamenti alle scuole private, come richiestomi da Sua Santità, in compenso, ci sarà un drastico taglio alle spese inutili come ospedali e scuole pubbliche, pensioni, salari e interventi in favore di precari e disoccupati. Spero solo che i sindacati non vogliano alimentare pretestuose motivazioni per alzare il conflitto sociale. Non ne vedo la ragione, Bonanni e Angeletti sono disponibili ad inginocchiarsi ad un tavolo, forse anche la Camuso, la vedo più dura con quel comunista di Landini. Spero solo che non mi tocchi scassarmi l’anno anche stavolta con referendum, movimenti, studenti sfaticati ecc… e che soprattutto non si facciano rivedere più in giro quelli con la falce e martello. Sono sessanta anni che tento di levarmeli dalle scatole e tornano ogni volta, si infiltrano dappertutto, pretendono addirittura la libertà di informazione e di tenere in vita i loro giornali con i soldi pubblici. Ma non è meglio spenderli per un bel cacciabombardiere ultimo modello che per Liberazione?
CI GIUNGE NOTIZIA CHE IL TESTO DOVREBBE ESSERE RIVISTO DA ESPERTI DI COMUNICAZIONE, BUON ANNO

le sberle dell'economia.

di Guido Viale. Fonte: lavecchiatalpa
Il vento che ci ha portato all'esito delle elezioni amministrative e dei referendum continuerà a soffiare; bisogna cominciare a fare i conti con i problemi che ci troveremo di fronte a breve. A cominciare dai problemi economici. C'è ancora qualcuno che crede che la Grecia possa ripagare il suo debito (in gran parte nelle mani di banche francesi, tedesche e inglesi e ora anche della Bce) o anche solo rinegoziarlo a tassi accettabili mentre le politiche che le impone l'Unione Europea annientano qualsiasi possibilità di ripresa?
O c'è ancora qualcuno che crede che alla lunga possano sottrarsi a una sorte analoga gli altri paesi europei che si trovano più o meno nella stessa posizione della Grecia, a meno di una revisione radicale del "patto di stabilità"? E c'è ancora qualcuno che pensa che in un contesto simile l'economia italiana possa tornare a crescere, realizzando un avanzo primario sufficiente a riportare il suo debito al 60 per cento del Pil? E poi, di che crescita stiamo parlando? Di una crescita del Pil, cioè contabile, per soddisfare le società di rating, interamente controllate dai big della finanza internazionale.

Quella stessa finanza che - dopo aver mandato in rovina milioni di clienti irretiti da mutui fasulli, di risparmiatori ingannati da titoli di carta straccia, di imprese rimaste senza credito perché le banche continuano a investire sui derivati - sta ora scommettendo sul fallimento di quegli Stati che si sono svenati per salvarla, svenando a loro volta i propri cittadini.


E ancora, è forse possibile affrontare temi di ampio respiro - come il dibattito sul reddito di cittadinanza (su cui si appena svolto a Roma un incontro promosso dal Basic Income Network); o il finanziamento di scuola, università e ricerca; o un piano nazionale di lavori pubblici finalizzato alla manutenzione del territorio, degli edifici pubblici e di quelli dismessi (e non alle "grandi opere"), e molte altre cose ancora - ipotizzando un semplice spostamento da una posta di bilancio a un'altra di fondi in gran parte "virtuali", cioè inesistenti, e senza venir meno al patto di stabilità dell'Unione Europea (quello di cui si fa forte, e che rende forte, Tremonti)?

GRECIA: CHIUDE ELEFTHEROTYPIA, VOCE SCOMODA DI SINISTRA...

Fonte: controlacrisi
In Grecia come in Italia? Sembra proprio di si, ma quando i governi sono tecnici e bipartizan i primi a farne le spese sono i giornali di sinistra che non hanno padroni e amici tra i banchieri. Liberazione sospende la pubblicazione cartacea dal 1° gennaio per colpa del taglio all'editoria del Governo Monti, mentre oggi in Grecia è stata annunciata la chiusura dello storico quotidiano indipendente di sinistra Eleftherotypia (Stampa Libera)...

(di Furio Morroni - ANSA) - ATENE, 30 DIC - La grave crisi economica che ha colpito la Grecia ha fatto una vittima illustre anche nel campo dell'informazione ellenica. Oggi è stata annunciata la quasi certa chiusura dello storico quotidiano indipendente di sinistra Eleftherotypia (Stampa Libera), secondo per diffusione nel Paese - 30mila copie al giorno e 85mila la domenica - paragonabile all'italiano Repubblica. Un giornale considerato scomodo e incontrollabile, che ha sempre dato fastidio a molti. Mania Tegopoulou, editore del quotidiano e figlia del fondatore Kitsos Tegopoulos, ha presentato oggi ricorso al tribunale fallimentare di Atene, lasciando senza speranza i dipendenti, che da agosto non ricevono stipendiosi. Ora gli scenari sono due: o un piano di risanamento accettabile da parte dei creditori, e si fa avanti un improbabile imprenditore pronto a finanziare la ripresa delle pubblicazioni, oppure Eleftherotypia chiuderà definitivamente i battenti. A causa di problemi economici (un debito totale di 50 milioni, non impossibile da coprire), la società editrice ha smesso di pagare i dipendenti dalla metà dello scorso agosto. Un accordo preliminare per un prestito di otto milioni era stato concordato a settembre da Mania Tegopoulou con l'Alpha Bank del finanziere Ioannis Kostopoulos. A ottobre, però, l'istituto ha reso noto che il prestito non era più disponibile. Diniego dietro al quale, secondo Mania Tegopoulou, ci sarebbe stato «l'intervento personale» dell'ex premier e leader socialista Giorgio Papandreou. Ma Eleftherotypia non dava fastidio solo al Pasok, per le pesante critiche avanzate contro il partito nella gestione della crisi quando i socialisti erano al governo, ma anche al nuovo esecutivo di coalizione guidato da Lucas Papademos. Il giornale non è mai stato tenero nemmeno con i rappresentanti di Nea Dimocratia (centro-destra) e tantomeno con quelli di Laos (estrema destra), di cui ha denunciato sino a ieri le presunte simpatie filo-naziste, le prese di posizione antisemite e gli ex collaborazionisti della giunta militare tra le sue fila. Eleftherotypia è stato il primo nuovo quotidiano pubblicato in Grecia dopo la caduta del regime dei colonnelli nel 1975. «Eleftherotypia è vittima della crisi che sta colpendo tutti i mezzi d'informazione greci, ma è senz'altro la vittima più illustre e prestigiosa, che stava a cuore a tutti quanti perchè era un giornale libero, coraggioso ed una componente essenziale della società greca», ha commentato con l'ANSA Dimitri Deliolanes, corrispondente da Roma della radio-tv pubblica greca ERT e scrittore. «Eleftherotypia era l'eccezione fra tutti i giornali greci, perchè era l'unico che denunciava i collegamenti esistenti tra gli altri mezzi d'informazione e la corruzione governativa». La crisi farà altre vittime? «Sì - risponde Deliolanes -, è probabile, perchè sono molti i mezzi d'informazione greci attualmente a rischio chiusura». (ANSA). 
THAT WAS THE ANUS HORRIBILIS THAT WAS...
Best wishes anyway

venerdì 30 dicembre 2011

Grecia. Le vittime collaterali: raddoppiano i suicidi

Un’epidemia fra i licenziati e gli imprenditori falliti 5,5 su 100 mila, è il tasso annuo di suicidi per numero di abitanti della Grecia. Tre anni fa era di soli 2,8 I disastri causati dalle crisi economiche non si misurano solo con i bilanci in rosso e con i soldi perduti dalle persone, dalle aziende e dagli Stati. Il computo dei morti e dei feriti comprende anche migliaia di casi di depressione psicologica, alcolismo, famiglie distrutte, disordini mentali, e anche suicidi, a seguito di perdita del posto di lavoro, fallimento d’impresa o un altro peggioramento traumatico delle prospettive di vita. Il suicidio, in prima battuta, sembra l’atto più individuale che ci sia; ma se in un anno di recessione economica in Grecia il tasso di suicidi è aumentato del 40% (il 40% in un solo anno!) è difficile negare che ci sia una relazione fra i due fenomeni, per quanto impossibile sia esaminare uno per uno i singoli casi e dire con certezza che sì, quella determinata persona si è tolta la vita per cause economiche e non per altro. Le vicende individuali si possono discutere all’infinito senza arrivare mai a conclusioni, ma i numeri aggregati, nella loro tragica freddezza, non ingannano. La Grecia storicamente è stata fra i Paesi più felici d’Europa. Come si fa a misurare la felicità? Ovviamente non si può, a voler essere rigorosi, però gli scienziati sociali quando c’è da misurare qualcosa che di per sé non è misurabile sono abituati ad avvicinarsi all’obiettivo conteggiando alcuni indicatori correlati; nel caso della felicità, uno di questi indicatori è il tasso dei suicidi, che (appunto) nell’Ellade è sempre stato molto basso. Tre anni fa era di 2,8 casi all’anno ogni centomila abitanti. Ed è basso persino oggi, nella media europea, ma purtroppo in tre anni è raddoppiato a circa 5,5. Sarà un puro caso, una mera fluttuazione statistica? Non ci crederebbe nessuno. Dice la psichiatra Eleni Beikari, responsabile in Grecia di un centralino di aiuto (Klimaka) che risponde 24 ore su 24: «Non è mai una causa singola a scatenare pensieri suicidi, ma quasi sempre le persone che ci telefonano e dicono che stanno pensando di togliersi la vita parlano di debiti o di lavoro che manca o che si teme di perdere». Klimaka prima della crisi riceveva in media 10 richieste telefoniche di aiuto al giorno, adesso il numero è decuplicato a cento. A uccidersi o a tentare di farlo sono tanto i lavoratori disoccupati quanto gli imprenditori che non riescono a pagare i debiti. Quasi ci fosse una dolorosa equità nella distribuzione dei sacrifici.

Noam Chomsky: Il declino degli Stati Uniti


Fonte: controlacrisi
Nel numero dell’estate 2011 della rivista dell’Accademia Statunitense di Scienza Politiche, leggiamo che è un “tema comune” che gli Stati Uniti, che “solo pochi anni fa erano salutati come quelli che, a passi da gigante, sopravanzavano il mondo da colossi, con un potere senza confronti e con un’attrattiva incontrastata, sono in declino, sotto il presagio della prospettiva di una rovina finale.” E’ davvero un tema comune, diffusamente condiviso, e non senza motivo. Ma una valutazione della politica estera e dell’influenza USA all’estero, nonché della forza della sua economia interna e delle istituzioni politiche in patria suggerisce che numerosi requisiti sono a posto. Per cominciare, il declino in effetti è iniziato ed è proseguito a partire dal momento più alto della potenza statunitense appena dopo la Seconda Guerra Mondiale e la notevole retorica di molti anni di trionfalismo degli anni ’90 è stata prevalentemente autoillusoria. Inoltre il corollario comunemente ricavato – che il potere passerà alla Cina e all’India – è fortemente dubbio. Si tratta di paesi poveri con gravi problemi interni. Il mondo si sta certamente facendo più differenziato, ma nonostante il declino degli Stati Uniti non c’è, nel prevedibile futuro, alcun concorrente all’egemonia della potenza globale.

Per rivedere rapidamente un po’ della storia relativa: durante la Seconda Guerra Mondiale i pianificatori statunitensi si resero conto che gli Stati Uniti sarebbero emersi dalla guerra in una posizione di schiacciante potere. E’ chiarissimo nella storia documentale che “il presidente Roosevelt mirava all’egemonia USA nel mondo postbellico”, per citare la valutazione dello storico della diplomazia Geoffrey Warner. Furono elaborati piani per controllare quella che era chiamata la Grande Area, una regione che comprendeva l’emisfero occidentale, l’Estremo Oriente, l’ex impero britannico – comprese le cruciali riserve di petrolio del Medio Oriente – e quanta più Eurasia possibile o, al minimo, le sue regioni industriali centrali nell’Europa occidentale e negli stati dell’Europa del sud. Questi ultimi erano considerati essenziali per garantire le risorse energetiche del Medio Oriente. All’interno di questi estesi domini gli Stati Uniti dovevano conservare un “potere indiscusso” attraverso la “supremazia militare ed economica”, assicurandosi nel contempo la “limitazione di ogni esercizio di sovranità”, da parte degli stati, che potesse interferire con i loro progetti globali. Tali dottrine prevalgono tuttora anche se la loro portata si è ridotta.

I piani del tempo di guerra, che dovevano presto essere attuati diligentemente, non erano irrealistici. Gli Stati Uniti erano stati da lungo tempo la nazione più ricca del mondo. La guerra aveva posto fine alla Grande Depressione e il potenziale industriale statunitense era quasi quadruplicato, mentre i rivali erano decimati. Alla fine della guerra gli Stati Uniti possedevano metà della ricchezza del mondo e una sicurezza impareggiabile. A ciascuna regione della Grande Area fu assegnata la propria “funzione” all’interno del sistema globale. La successiva ‘Guerra Fredda’ consistette in larga misura di tentativi da parte delle sue superpotenze di imporre l’ordine nei propri domini: per l’URSS l’Europa Orientale; per gli Stati Uniti la maggior parte del mondo. Nel 1949 la Grande Area si stava già gravemente erodendo con “la perdita della Cina”, come viene comunemente chiamata. L’espressione è interessante: si può perdere soltanto ciò che si possiede. Poco tempo dopo l’Asia sud-orientale finì fuori controllo, inducendo Washington alle orrende guerre in Indocina e agli enormi massacri in Indonesia del 1985, quando il dominio statunitense fu ripristinato. Nel frattempo sovversioni e grandi violente proseguivano altrove nello sforzo di mantenere quella che viene chiamata “stabilità”, intendendo con il temine ‘subordinazione alle pretese statunitensi’.
THE FAKED MOURNING OF THE NORTH COREAN WOMENS WHY they looked so well fed in a country of 24 millions of hunger sufferers?
BECAUSE they are special corps force-feeded by the the regime for special public events (funerals, ballets etc) They travels in sealed trains to avoid being eaten by the hungry 24 millions.
WHY where they crying so desperately for the hated oppressor Kim Jong?
BECAUSE they all wears torture devices under the gowns, regularly inspected by the "Special cilici corp" educated at the "Abu Ghraib Schools of America"

giovedì 29 dicembre 2011

Euro, sette balle sui tedeschi

di Vladimiro Giacché. - Fonte: ilfattoquotidiano
1)L’euro ha privato la Germania del marco e la convivenza con valute più deboli è stata un handicap. Secondo Frank Mattern, capo di McKinsey in Germania, è vero il contrario: “La Germania con l’euro ha guadagnato moltissimo”. Negli ultimi dieci anni un terzo della crescita dell’economia tedesca è dovuto all’euro (165 miliardi di euro nel solo 2010). I motivi principali: fine dei costi di transazione e di assicurazione contro il rischio di cambio; crescita del commercio intraeuropeo; e crescita delle esportazioni tedesche proprio per il fatto che l’euro è una valuta più debole di quanto sarebbe stato il marco (il contrario vale per la lira). Inoltre l’euro ha abbassato molto i tassi d’interesse dei Paesi periferici portandoli al livello di quelli tedeschi, con conseguente incremento dei consumi in quei Paesi, a beneficio dell’export tedesco. Il saldo della bilancia dei pagamenti della Germania – in rosso al momento dell’introduzione dell’euro – è cresciuto nel decennio del 41 per cento, sino a 1. 021 miliardi di euro (dati Eurostat).

2) La maggiore competitività della Germania è dovuta al fatto che i tedeschi lavorano più degli altri. I tedeschi non lavorano più degli altri: in Italia ogni lavoratore lavora 1.711 ore, in Germania 1.419. Ma in Italia l’età media degli impianti industriali è di 26 anni, mentre gli investimenti in tecnologie hanno molto accresciuto la produttività dei lavoratori tedeschi. Poco però dei guadagni si è trasferito ai salari: dal 2000 in termini reali i salari tedeschi sono diminuiti del 4,5 % (caso unico nella zona euro). Ciò ha depresso la domanda interna, ma ha spinto le esportazioni. Soprattutto in Europa: l’80 per cento del surplus commerciale tedesco è interno all’Unione europea.

3) La Germania ha i conti in ordine. La Germania ha più volte sforato il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. Questo è avvenuto già prima della crisi, dal 2003 al 2005. All’epoca, però, la Commissione europea decise di non agire su pressione della stessa Germania (e anche della Francia, che aveva problemi simili). Dopo lo scoppio della crisi la Germania ha poi messo in campo il maggior piano di stimoli per l’economia realizzato in Europa, pari al 3 per cento del suo Pil. Inoltre, dal 2008 ad oggi, ha speso 93 miliardi di euro per salvare le sue banche. Anche lo scorso anno il deficit è stato del 3, 3 per cento, nonostante il peso molto inferiore degli interessi sul debito rispetto alla gran parte degli altri Paesi europei, mentre il rapporto debito/Pil è salito all’ 83 per cento (il tetto di Maastricht è il 60%).

G. VIALE: LA NOSTRA SPENDING REVIEW

Fonte: controlacrisi da IL MANIFESTO. Di Guido Viale
Il costo del debito pubblico italiano non è sostenibile: 85 miliardi all'anno di interessi su 1.900 miliardi di debito complessivo, che l'anno prossimo saranno probabilmente di più: 90-100; a cui dal 2015 si aggiungeranno (ma nessuno ne parla) altri 45-50 miliardi all'anno, previsti dal patto di stabilità europeo, per riportare progressivamente i debiti pubblici dell'eurozona al 60 per cento dei Pil. Ma questa è solo la parte nota del nostro debito pubblico; ce n'è un'altra "nascosta", che forse vale quasi altrettanto e che emergerà poco per volta, mano a mano che verranno a scadenza impegni che lo Stato o qualche Ente pubblico hanno assunto per conto di operatori privati sotto le mentite spoglie di una finanza di progetto. Il Tav (treno ad alta velocità) è l'esempio e il modello più clamoroso di questo sistema; comporta per la finanza pubblica - finora, ma non è finita qui, e Passera ci si è messo di impegno - un onere nascosto di circa 100 miliardi di euro. Ma secondo Ivan Cicconi dietro le circa 20 mila Spa messe in piedi dalle diverse amministrazioni locali si nasconde un numero indeterminato di "finanze di progetto", i cui oneri verranno alla luce poco per volta nei prossimi anni. Doppia insostenibilità. Colpa della Politica? Certamente. Ma soprattutto colpa delle privatizzazioni, che non sono un'alternativa agli sperperi della Politica, ma il loro potenziamento a beneficio della finanza privata e di profittatori di ogni risma. La vera alternativa alla cattiva politica è la trasparenza e il controllo dal basso della spesa e dei servizi pubblici: la loro riconquista come beni comuni..

Finora gli interessi sul debito pubblico italiano sono stati pagati ogni anno, in tutto o in parte, con nuovo debito (che infatti è in larga parte il prodotto non di veri investimenti, mai fatti, ma di interessi accumulati nel corso del tempo). Ma con il pareggio di bilancio in Costituzione, quegli 85-100 e poi 130-150 miliardi all'anno, dovranno essere ricavati interamente da un taglio ulteriore della spesa pubblica o da maggiori entrate fiscali. Finché il sistema finanziario globale è stato stabile, il debito italiano (ora al 120 per cento del Pil) non creava problemi: era una cuccagna sia per coloro che incassavano gli interessi, sia, soprattutto, per l'evasione fiscale (120 miliardi di euro all'anno!) e la corruzione (altri 60 miliardi; altro che le pensioni troppo generose!). Quei costi e quegli ammanchi venivano infatti coperti dallo Stato, indebitandosi. Ma da quando il sistema finanziario è diventato turbolento (e nei prossimi anni lo sarà sempre di più) fare fronte a quel debito è sempre più difficile e costoso; e prima o dopo la corda si spezza. È un po' quello che è successo con i mutui subprime; per anni hanno reso bene a chi li concedeva, a chi li rivendeva impacchettati a milioni nei cosiddetti Cdo, e a chi li ricomprava, ripartendo il rischio - come sostiene la teoria economica - su tutto il pianeta: in particolare, per quello che riguarda l'Europa, tra le banche inglesi, francesi e tedesche, che ne sono ancora oggi piene. Ma un debito non può crescere e accumularsi all'infinito; prima o dopo arriva la resa dei conti. Con i mutui subprime la si è in parte attutita e in parte nascosta finanziando a man bassa, con migliaia di miliardi di denaro pubblico, le banche che li detengono perché non fallissero. Con i debiti pubblici dei paesi dell'Europa mediterranea la Bce di Draghi ha deciso di fare la stessa cosa: finanzia le banche a tassi scontati perché riacquistino i debiti pubblici in scadenza, a tassi cinque-sette volte maggiori. E le banche lucrano la differenza.

SARÀ RECESSIONE. E SARÀ GRAVE

di Sergio de Nardis. Fonte: lavoceinfo
Le regole europee impongono deflazione nei paesi squilibrati e i programmi di austerità la realizzano. L'applicazione di stime Fmi al consolidamento fiscale italiano mostra che l'assenza del cambio e la simultaneità dell'aggiustamento europeo rendono molto più gravoso l'impatto recessivo rispetto all'esperienza del 1992, quando si adottò una manovra simile. Solo un intervento della Bce, volto a sradicare le aspettative sfavorevoli dei mercati, orienterebbe in senso positivo un percorso altrimenti autodistruttivo.

L’interrogarsi sull’impatto più o meno depressivo della manovra di finanza pubblica ha qualcosa di curioso. Sembra sfuggire che la manovra deve essere recessiva. Se non lo fosse o se, grazie a una magia delle aspettative, avesse addirittura effetti espansivi sulla domanda per consumi e investimenti sarebbe un problema. Si dovrebbero mettere in campo nuove misure fiscali di restrizione. Non è un paradosso. È il meccanismo di riequilibrio vigente nell’euro che comanda recessione. L’aggiustamento degli squilibri intra-area è esclusivamente a carico dei paesi in deficit di competitività e indebitati. E si deve espletare attraverso la contrazione della loro domanda interna e l’abbassamento delle dinamiche di prezzi e salari sotto quelle dei paesi “virtuosi”. Null’altro viene prescritto, men che meno per le economie in surplus che sono state concausa degli sbilanci intra-area. (1) Perché si fatica a prenderne atto? L’applicazione della regola europea, ribadita al vertice del 9 dicembre col progetto di una Unione fiscale di stabilità, si incardina su politiche deflative.

L'AMPIEZZA DELLA RECESSIONE

Se recessione da austerità ha da essere, la determinazione di quanto sarà profonda è, tuttavia, soggetta a un alto grado di incertezza per la situazione senza precedenti in cui ci si trova. Francesco Daveri, (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002713.html), propone un interessante confronto con l’altra grande manovra adottata dall’Italia un ventennio fa, quella di Giuliano Amato del settembre 1992 che fu di portata comparabile, nei valori assoluti attualizzati, con quelle cumulatesi dalla scorsa estate. Ma a parte la consonanza di cifre, sussistono differenze rispetto ad allora. Due sono fondamentali: non abbiamo più a disposizione il cambio, che nel 1992-93 si svalutò fortemente sostenendo le esportazioni; non siamo gli unici a stringere in Europa, anzi ci si trova nella pericolosa condizione, imposta dalle regole europee, di una deflazione praticamente coordinata, senza alcuna compensazione di stimolo altrove nell’area.
Per cercare di avere ordini di grandezza dei possibili effetti, tenendo conto delle differenze rispetto al 1992, si può ricorrere alle stime dell'Fmi che ha studiato oltre 170 episodi di aggiustamento fiscale di 17 paesi avanzati nel periodo 1980-2009. (2)
La domanda a cui risponde il Fondo è: quanto è stato, in media nel panel esaminato, l’effetto sul Pil reale di una correzione di bilancio pari all’1 per cento di prodotto interno lordo? L'Fmi fornisce, quindi, delle elasticità di risposta che possono essere utilmente applicate al caso del consolidamento italiano. Procedendo in questo modo si suppone che il Pil dell’Italia reagirà nei prossimi anni all’azione di contenimento della finanza pubblica in modo simile a quanto si è osservato, in media, nelle 17 economie durante l’ultimo trentennio. (3)
La tabella 1 mostra nelle prime righe il valore delle manovre di riduzione dell’indebitamento netto della Pa decise tra luglio e dicembre (le due di Berlusconi e quella di Monti). L’aggiustamento, del 4,8 per cento a regime nel 2014, si modula in correzioni del 3 per cento il prossimo anno, dell’1,6 per cento nel 2013 e dello 0,3 per cento nel 2014. Applicando le elasticità stimate dall'Fmi nella simulazione base (caso A), l’effetto sul Pil italiano è di una perdita cumulata di 2,7 punti percentuali nel periodo 2012-14, concentrata nel 2012 e nel 2013 (quasi 1 punto all’anno) quando maggiore sarà lo sforzo di consolidamento. (4) Tali valutazioni sembrano compatibili con il limite minimo dell’impatto stimato in audizione dal Governatore di Banca d’Italia con riferimento alla sola manovra Monti (ammontante all’1,3 per cento del Pil): almeno lo 0,5 per cento di Pil in meno nell’arco del biennio 2012-13. (5)

Euro: l’anno che sta arrivando

di Vincenzo Comito. Fonte: sbilanciamoci
Per l’eurozona, il 2011 è stato un anno di scelte sbagliate e politiche miopi. Per evitare il crack nel 2012, servono misure nuove e coraggiose

L’andamento dell’economia reale

Molti, nel gennaio del 2011, pensavano che il nuovo anno sarebbe stato quello della ripresa dell’economia e invece oggi ci ritroviamo con dei problemi ancora più gravi. In particolare, si chiude un anno a dir poco critico sia per le sorti dell’euro che per l’andamento dell’economia reale dei paesi dell’eurozona. È opportuno intanto ricordare alcuni aspetti della situazione dell’economia reale, e di quale sia quindi uno degli sfondi più rilevanti su cui si collocano le vicende monetarie. Il quadro, grazie anche alle decisioni prese sotto l’illuminata guida della Merkel e di Sarkozy, può essere sottolineato con poche cifre: la Goldman Sachs prevede che nel 2012 l’economia dei paesi dell’eurozona si contrarrà dello 0,8%, con un +0,1% per la Germania, un -1,6% per l’Italia, un -0,4% per la Francia, un -1,5% per la Spagna. Qualcuno, come G. Magnus, consigliere economico senior della UBS, arriva a stimare una caduta complessiva del Pil nei prossimi trimestri ben più elevata, valutabile al livello del 2,0% annuo.

Per quanto riguarda i livelli di disoccupazione, nell’eurozona mancano a tutt’oggi 3 milioni di posti di lavoro per ritornare alle cifre del 2008 e 4,2 milioni per quanto riguarda l’Europa a 27. Ma nella realtà dei fatti il deficit è molto più importante, se solo si ricorda che dal 1995 al 2007 si registrava una crescita annua dei posti di lavoro pari in media a 2 milioni di unità (Duval, 2011). Dal 2008 ad oggi l’Irlanda ha perduto un posto di lavoro su sette, la Spagna uno su dieci, la Grecia uno su dodici.

Quanto si è fatto sino ad oggi

Nei paesi dell’eurozona per molti versi si vanno combattendo una serie di battaglie sbagliate. La Merkel lotta con accanimento contro il debito, quando i problemi sono soprattutto la crescita e gli squilibri di competitività tra i vari paesi della zona euro; la Bce, sotto l’impavida guida di Draghi, continua con convinzione a combattere l’inflazione e l’istituto rischia così, come ricorda qualcuno, di passare alla storia come la banca centrale magnificamente ortodossa di un’unione monetaria fallita; il governo italiano, sotto la guida di un altro splendido liberista, avanza somministrando al paziente una cura che, piuttosto che guarirlo, potrebbe contribuire ad ucciderlo in poco tempo. Anche l’ultimo summit della zona euro avrebbe dovuto essere risolutivo, ma si è rivelato per alcuni versi ancora peggiore di quelli precedenti: è stato deciso infatti di avviare l’approvazione di un nuovo trattato, che richiederà mesi di spasmodiche contrattazioni e che dovrà essere ratificato da parlamenti nazionali, alcuni dei quali piuttosto riottosi, creando una grande incertezza politica. Inoltre, le promesse di una maggiore austerità che i governi avanzano ad ogni vertice - ora anche con l’inserimento di una clausola di pareggio di bilancio nelle costituzioni dei singoli stati -, finiscono per spaventare piuttosto che rassicurare, e daranno luogo a economie più deboli e vulnerabili. Nell’accordo non c’è nessun riferimento alla crescita, ne c’è alcun paragrafo che tocchi la questione dei differenti livelli di competitività tra i paesi dell’eurozona. Niente sugli eurobond, niente di serio per quanto riguarda i due fondi salva stati, niente sul processo di unificazione politica del continente. In sostanza, la Germania e la Francia hanno deciso che non ci sarà proprio quello che serviva: un’unione “fiscale”, finanziaria e politica (Wolf, 2011, a). È possibile dunque prevedere una caduta prolungata dell’attività economica, una riduzione dei salari e delle pensioni in termini reali, un ulteriore aumento dei livelli di disoccupazione.
F 35
€ 90 million each
"There it goes the hospital we don't have the money to build"

mercoledì 28 dicembre 2011

LA WALMARTIZZAZIONE DELL’AMERICA

COME LA DERIVA SENZA TREGUA PER LA ROBA DA POCO PREZZO MINA LA NOSTRA ECONOMIA, ROVINA LA NOSTRA ANIMA E DEVASTA IL PIANETA

Di JOHN ATCHESON - Common Dreams. Fonte: comedonchisciotte
Se vuoi sapere perché la classe media è scomparsa e dove sia andata, basta guardare al Walmart vicino casa. La gente entra per i prezzi bassi e ne esce con una pila di roba da poco ma, in senso figurativo, perde gli stipendi , il lavoro e la dignità per gli scarti venduti alla Casa dell’Economico.

Benvenuti alla logica fine del percorso della Reaganomics. Benvenuti nella visione da incubo della moralità di Ayan Rand, dove conosciamo il prezzo di tutto ma il valore di niente; dove il comportamento predatorio è celebrato e la nozione di comunità è blasfema.

Nel suo eccellente documentario, Walmart: The High Cost of Low Price, Robert Greenwald documenta con dovizia come i grandi magazzini Walmart abbassino le paghe in tutto il settore delle vendite e come impongano alti costi sociali ed economici agli stati e alle comunità in cui operano, distruggendo le imprese locali.

Ma i prezzi bassi – che comportano costi altissimi – sono irresistibili per il consumatore americano. Walmart ha praticamente messo nell’angolo la vendita al dettaglio e ha ammassato una ricchezza sconvolgente in tutto questo processo.

Ma non si tratto del solo Walmart. Gli enormi centri commerciali ora dettano legge nell’economia retail in tutti i settori, dall’elettronica ai prodotti per animali. E non si tratta solo delle vendite a dettaglio. L’intera economia statunitense è ora organizzata in base al concetto che avere roba da poco– tanto più, tanto meglio– è la conditio sine qua non della politica economica.

C’era un periodo in cui le grandi aziende sapevano che pagare i propri dipendenti con uno stipendio decente aveva benefici economici e sociali. Tutti sanno che Henry Ford disse di volere che i suoi dipendenti potessero permettersi l’acquisto delle auto che producevano e lanciò così sei decenni di prosperità.

Il movimento del lavoro ha contribuito a creare una struttura sociale ed economica in cui i lavoratori condividevano la ricchezza che avevano generato. Quando i lavoratori hanno i soldi sufficienti per consumare, stimolano la crescita economica. Quando la produzione era importante quanto il consumo, l’economia fioriva, il lavoratore comune aveva una dignità e i mezzi di produzioni avevano un valore.

Anatomia del debito

di GUIDO VIALE Dal manifesto del 28 dicembre 2011. Fonte
Il costo del debito pubblico italiano non è sostenibile: 85 miliardi all’anno di interessi su 1.900 miliardi di debito complessivo, che l’anno prossimo saranno probabilmente di più: 90-100; a cui dal 2015 si aggiungeranno (ma nessuno ne parla) altri 45-50 miliardi all’anno, previsti dal patto di stabilità europeo, per riportare progressivamente i debiti pubblici dell’eurozona al 60 per cento dei Pil.

Ma questa è solo la parte nota del nostro debito pubblico; ce n’è un’altra “nascosta”, che forse vale quasi altrettanto e che emergerà poco per volta, mano a mano che verranno a scadenza impegni che lo Stato o qualche Ente pubblico hanno assunto per conto di operatori privati sotto le mentite spoglie di una finanza di progetto. Il Tav (treno ad alta velocità) è l’esempio e il modello più clamoroso di questo sistema; comporta per la finanza pubblica – finora, ma non è finita qui, e Passera ci si è messo di impegno – un onere nascosto di circa 100 miliardi di euro. Ma secondo Ivan Cicconi dietro le circa 20 mila Spa messe in piedi dalle diverse amministrazioni locali si nasconde un numero indeterminato di “finanze di progetto”, i cui oneri verranno alla luce poco per volta nei prossimi anni. Doppia insostenibilità.

Colpa della Politica? Certamente. Ma soprattutto colpa delle privatizzazioni, che non sono un’alternativa agli sperperi della Politica, ma il loro potenziamento a beneficio della finanza privata e di profittatori di ogni risma. La vera alternativa alla cattiva politica è la trasparenza e il controllo dal basso della spesa e dei servizi pubblici: la loro riconquista come beni comuni.

Finora gli interessi sul debito pubblico italiano sono stati pagati ogni anno, in tutto o in parte, con nuovo debito (che infatti è in larga parte il prodotto non di veri investimenti, mai fatti, ma di interessi accumulati nel corso del tempo). Ma con il pareggio di bilancio in Costituzione, quegli 85-100 e poi 130-150 miliardi all’anno, dovranno essere ricavati interamente da un taglio ulteriore della spesa pubblica o da maggiori entrate fiscali.
Finché il sistema finanziario globale è stato stabile, il debito italiano (ora al 120 per cento del Pil) non creava problemi: era una cuccagna sia per coloro che incassavano gli interessi, sia, soprattutto, per l’evasione fiscale (120 miliardi di euro all’anno!) e la corruzione (altri 60 miliardi; altro che le pensioni troppo generose!). Quei costi e quegli ammanchi venivano infatti coperti dallo Stato, indebitandosi. Ma da quando il sistema finanziario è diventato turbolento (e nei prossimi anni lo sarà sempre di più) fare fronte a quel debito è sempre più difficile e costoso; e prima o dopo la corda si spezza.

Quell'1% della Bce contro il 4 al Portogallo

Goffredo Adinolfi* Fonte: ilmanifesto
Uno per cento, 1%. Cosa fa di questa percentuale, apparentemente tanto insignificante, una cifra moralmente ed eticamente inaccettabile? Semplice, il suo omologo portoghese: 4%.
Ricapitoliamo: la Bce, tanto restia a prestare soldi al pubblico, cioè agli stati, presta ai privati, le banche, a tassi prossimi allo 0. Anzi, di più, per statuto non può nemmeno comprare obbligazioni statali sul mercato primario. Ci sono poi altri due numeri che restituiscono la dimensione di uno squilibrio tutto ideologico: uno piccolo, 78 miliardi di euro, e l'altro grande, 489 miliardi. Questa volta le parti sono invertite, quello piccolo, frutto di uno sforzo «epico» da parte di Unione europea e Fondo monetario, è la cifra prestata a carissimo prezzo al Portogallo per salvarsi dal default, la seconda è la cifra prestata alle banche, sostanzialmente senza condizioni, per salvarsi anch'esse dal default.
35 sono i miliardi che secondo dati del ministero delle finanze, e divulgati dal Jornal de Negocios, i portoghesi dovranno pagare di interessi sul prestito della Troika (3500 euro a persona per l'esattezza). Così, per restituire una somma tanto ingente, soprattutto per un paese fallito, il governo di José Passos Coelho sta cancellando tutte le tutele conquistate in anni di lotta.
Se il tasso applicato da un organismo pubblico, la Bce, a uno stato, fosse stato uguale a quello applicato a organismi privati, le banche, il costo che i portoghesi avrebbero dovuto sostenere in cambio del prestito si sarebbe ridotto di quattro volte, per le tranches ricevute dalla Bce, e di cinque per quelle ricevute dall'Fmi, cioè da 35 miliardi a 7 circa. Invece da quattro anni tutto è considerato lecito pur di salvare le morenti banche europee, anche il ridurre sul lastrico interi strati di popolazione. Sacrifici considerati come un male necessario affinché si possa sperare in un futuro, non si sa esattamente se prossimo o remoto, di nuove prosperità. In Portogallo, ricordiamolo, il debito che ha determinato il default non era quello pubblico, tutto sommato abbastanza contenuto, ma quello delle banche, verso cui buona parte dei 78 miliardi ricevuti dalla Troika sono stati indirizzati.
La più grande truffa mai operata ai danni dei cittadini si sta svolgendo nella colpevole complicità di parte degli stessi cittadini europei che, istigati dal vento populista di giornali come il tedesco Die Bild, spronano i propri governanti a tenere la mano dura contro i fannulloni del sud Europa. È il paradosso di questa crisi: gli spagnoli e i portoghesi che, non sentendosi rappresentati dalle sinistre, decidono di non andare a votare, regalando, in modo più o meno consapevole, la maggioranza assoluta a quei partiti conservatori che sono oggi i veri pasdaran del non intervento dello stato nell'economia. Una opinione pubblica come quella italiana che, invece di canalizzare la propria rabbia verso qualche cosa di costruttivo e utile per il proprio benessere, la sfoga contro rom e senegalesi che altra colpa non hanno se non quella di essere appena in un gradino più basso nella scala sociale rispetto ai loro aggressori.

Valanga di rifiuti: finanziari

di ALFONSO GIANNI Fonte: democraziakmzero
Comprendo bene che non si tratta di una notizia natalizia, ma purtroppo è vera. Ce la comunica l’ultimo rapporto trimestrale del 2011 della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea (Bri), l’istituto fondato nel 1930, che annovera tra i propri soci 56 banche centrali, fra cui la Banca d’Italia. Secondo l’autorevole ricerca, per la prima volta dall’inizio della crisi economica mondiale il valore nozionale degli strumenti derivati negoziati fuori borsa (over-the-counter, OTC) è tornato a salire dopo il calo del terribile 2009.

L’incremento verificatosi nella prima metà del 2011 è stato pari al 18%, raggiungendo la cifra di 708 trilioni di dollari (o se più piace 708.000 miliardi), superando quindi il livello di 673 trilioni raggiunto alla metà del 2008, quando la crisi, partita dagli Usa, esplose in tutto il mondo. Anche i credit default swap (CDS) hanno aumentato i loro valori in essere, invertendo la tendenza calante che aveva contrassegnato il loro andamento negli ultimi tre anni. La maggior parte di questi contratti è stata fatta con scadenze sempre più brevi, il che è ancora più inquietante. Ad esempio quelli con scadenza entro un anno sono aumentati proporzionalmente assai di più, circa il 30%.

In altre parole siamo nuovamente seduti sopra una bolla finanziaria che è pari a circa 12 volte il Pil mondiale, ossia la ricchezza effettivamente prodotta. Il rischio che la bolla torni ad esplodere da un momento all’altro, provocando un nuovo salto verso il basso della crisi – gli anglosassoni lo chiamano il double dip - si fa quindi più concreto.

Ma c’è chi si frega le mani. Si tratta della grande finanza, annidata prevalentemente nelle roccaforti della City di Londra e di Wall Street a New York. Non a caso contrarie anche a una misura non certo sconvolgente come la Tobin tax. I dati ci indicano un incremento dei profitti del 78% solo per le banche americane.

Ovvero, mentre il mondo occidentale entra in recessione, i profitti finanziari si moltiplicano, ma su una base ancora più fragile che nel passato. La ragione non è difficile da cogliere, visto che nulla di concreto è stato fatto per porre un freno almeno agli aspetti più smodati della finanza internazionale, la quale ha ripreso a macinare il suo cattivo grano più e peggio di prima. Il cambiamento – se di questo si può parlare – sta solo nell’accelerazione dei processi di concentrazione degli istituti finanziari. Le 4 maggiori banche degli Usa, la JP Morgan Chase, la City Group, la Bank of America e la Goldman Sachs detengono attualmente il 94% del totale di tutti i derivati emessi nel grande paese americano.
BUDGET: PHASE 2

martedì 27 dicembre 2011

Quando Al Qaeda è nostra alleata



di Giulietto Chiesa - da ilfattoquotidiano.it
Se scoppiava una bomba terrorista in una capitale occidentale era sicuramente Al Qaeda. Se la rivendicava Al Qaeda ci credevamo subito. Se non la rivendicava nessuno, allora era sicuramente Al Qaeda, perché non poteva essere altrimenti. Era come in “1984” di Orwell: qualunque cosa di gramo accadesse era colpa del nemico. E, poiché il nemico era Al Qaeda, non potevano esserci dubbi. E cominciava la geremiade di turno: come sono cattivi gli islamici, come sono feroci, come sono fanatici. Eccetera.

Poi succede – sempre più spesso dopo la guerra di Libia - che Al Qaeda si mette contro i dittatori che devono essere abbattuti in nome della democrazia e dei diritti umani violati. Infatti, qualcuno se lo è dimenticato, ma Al Qaeda è nata appunto per difendere gli afghani contro gli invasori sovietici. Dunque prosegue , dopo la nera parentesi dell’11 settembre 2001, il ruolo umanitario di Al Qaeda.

Così Al Qaeda è dentro il Governo provvisorio di Libia, in attesa di guidare la nuova Libia democratica. E dunque i suoi rappresentanti girano in Europa a stringere mani e a firmare contratti petroliferi, con i quali s’impegnano a risarcire i paesi occidentali che svolgono e svolgeranno opera di aiuto umanitario ai nuovi poveri libici.

Infine scoppiano bombe terroristiche a Damasco di Siria e fanno decine di morti. “Sono i kamikaze di Al Qaeda”, gridano le fonti ufficiali di Assad. Ma Assad è un dittatore che deve essere abbattuto. Dunque i nostri bravi inviati speciali a Gerusalemme si trasformano per un attimo in complottisti di complemento. E sollevano dei dubbi (sì, anche i nostri bravi inviati speciali qualche volta si fanno venire dei dubbi, per quanto strano possa apparire). In questo caso – dicono – non è probabile che sia Al Qaeda. Più probabile si tratti di un complotto ordito da Assad.

Ovvio il perché: per fare la vittima, facendo credere che c’è la mano di Al Qaeda. Non bisogna dunque credergli.

Insomma: una grande confusione regna sotto il cielo. Al Qaeda, come nemico, non vale più un granché. E’ giunto il momento di costruirne un altro. Suggerisco l’Iran, anche se il mio suggerimento arriva tardi. Già ci hanno pensato.

La BCE e il Giro di BOT

di Beppe Grillo
La BCE ha prestato 500 miliardi di euro alle banche europee a un interesse dell'uno per cento per tre anni. Praticamente gratis. Lo ha fatto per far ripartire l'Europa. Per permettere alle banche di riaprire i rubinetti e finanziare l'economia reale, per le imprese che stanno chiudendo alla velocità della luce. Come direbbe Ciro, il mio figlio più piccolo, è un vero barbatrucco. I soldi della BCE non nascono sotto i cavoli, ma sono garantiti dagli Stati della UE, in definitiva sono nostri. Le banche vanno salvate, sono in crisi di liquidità e non si prestano neppure più i soldi tra loro. Inoltre hanno in pancia miliardi di crediti inesigibili e di schifezze finanziarie varie che devono, prima o poi, svalutare. 500 miliardi sono un'ancora di salvezza e, infatti, c'è stata la coda dei banchieri per ottenere il prestito come per i saldi di fine stagione. Le banche, però, fanno le banche. E' nella loro indole usuraia. I capitali vanno investiti dove è più alta la remunerazione. Dare soldi a un'azienda in difficoltà o a una start up è un rischio. Comprare titoli pubblici lo è un po' meno. Deve fallire un intero Stato. E allora è probabile le banche acquisteranno i titoli di Stato dei Pigs, quelli con gli interessi più alti, dal 6/7% in su. Un guadagno netto garantito. E anche un gesto nobile. Il prestito accordato dalla BCE coprirebbe per tutto il 2012 l'intero fabbisogno di Italia e Spagna. L'Europa sarebbe salva.
Qualcosa in questo gioco di prestigio però non torna. Per salvarci e collocare il debito pubblico dobbiamo pagare interessi altissimi alle banche con soldi prestati da noi attraverso la BCE. Le stesse banche, a iniziare da quelle francesi e tedesche, che hanno venduto a piene mani titoli italiani e spagnoli nell'ultimo anno. E che ora li ricompreranno con interessi quintuplicati. La ragione si smarrisce in questo labirinto. In questo Giro di Bot. Perché riconoscere gli interessi a banche private che comprano il nostro debito prestandogli i soldi? Compriamocelo da soli il debito, con il Tesoro o la Banca d'Italia, almeno gli interessi li pagheremo allo Stato. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure

La questione sociale: inedita e spietata

di Emanuele Macaluso. Fonte: ilriformista
A Roma, giorno di Natale, il tempo era bello, il cielo azzurro e il sole invitavano a godersi la città senza il gran traffico. Insomma, c’erano le condizioni per trascorrere una giornata serena con i familiari. Invece, nell’aria e nell’animo mio c’era qualcosa che non si conciliava con la giornata: un malessere accumulato in un anno in cui l’incerto è diventato ancora più incerto e quel che ci circonda ci inquieta e ci rattrista.
La questione sociale appare come insolubile. Ho conosciuto momenti più amari e pesanti di questi, ma c’era una speranza, si intravedeva una via di uscita, anche se lontana. Penso agli anni del fascismo, della guerra, della fame: parlo dei primi anni quaranta.
C’era, allora, il convincimento che gli Alleati avrebbero vinto la guerra e si intravedeva un mondo nuovo, il tutto ci dava fiducia. Io, e tanti ragazzi, in quegli anni scegliemmo la lotta antifascista con la certezza di essere nel giusto e di contribuire a fare una società migliore.
La speranza: anche gli anni del dopoguerra, tra crisi e sviluppo, in un clima caratterizzato da lotte sociali, politiche e civili, la speranza che il mondo potesse cambiare in meglio era nella mente di tante persone. C’era certezza pure nel nemico da battere: il capitalismo l’imperialismo, da una parte, il comunismo dall’altra. Anche chi perdeva il lavoro, o era costretto ad emigrare dal Sud al Nord, in Germania, in Svizzera in Belgio, affrontava la vita con la speranza di cambiare il peggio in meglio.
Ora non è così. C’è un nemico, invisibile e globalizzato, di cui tutti parlano male: la grande finanza. Ma nessuno sa come individuarlo e combatterlo. E, in ogni caso, nessuno ha le armi e l’organizzazione globale per farlo. Il giorno di Natale, il Tg3 delle 19, lodevolmente ci ha fatto vedere squarci della società del malessere. Operai licenziati con le famiglie su una torre trascorrevano il loro Natale al freddo per dire a tutti: ci siamo anche noi. Ha parlato anche una giovane operaia di Reggio Emilia licenziata, con tutte le sue compagne e compagni, dato che i padroni della fabbrica Omsa ormai produrranno le calze in Serbia dove la mano d’opera costa meno e il fisco è tenero. Una realtà che non è certo figlia del governo Monti, il quale semmai deve fronteggiarla. Ma molti si chiedono: chi è il nemico che cospira contro i lavoratori italiani? E dov’è la forza che possa opporsi all’internazionale del capitale dato che non c’è l’internazionale del lavoro? La lotta di classe, che alcuni sapienti hanno cancellato, si presenta sotto forme inedite e spietate.
Intanto, per molti la cassa integrazione sta finendo e l’operaia reggiana Angela Cavalli, con due figliolette, rimedia piccoli doni per le bambine ma non sa cosa farà e come vivrà domani. «Levandomi il lavoro, mi hanno annullato», ha detto Angela. Quante sono oggi le persone che si sentono “annullate”. È una domanda che inquieta il Natale, anche perché sembra che le proteste, le lotte, l’opposizione a questo stato di cose non hanno sbocco. Eppure non bisogna arrendersi, occorre cercare lo sbocco, riorganizzando le forze degli “annullati” e degli annullabili. I pionieri del socialismo capirono che bisognava organizzarsi non solo nelle “leghe di miglioramento” e nel partito socialista italiano, ma nel mondo. Cose vecchie! Ma la questione sociale di oggi ripropone i temi che furono - in un mondo diverso e con problemi diversi - le ragioni dell’Internazionale socialista. È un’utopia? Ma se non si comincia a parlarne, l’operaia di Reggio Emilia o di Termini Imerese si sentirà sempre più sola e annullata. Che fare? Dovrebbe essere il tema di chi capisce che il nemico “invisibile” e visibilissimo qui, in Europa e nel mondo, ma la sinistra così com’è non riesce a renderlo visibile e a combatterlo qui, in Europa e nel mondo. È questo il tema dell’anno che si va ad aprire.

Le cipolle amare del Governo Monti - di Beppe Scienza

Fonte: beppegrillo
Il Governo Monti è come una cipolla. Lo strato esterno, quello più visibile, è la BCE. Governo della UE quindi. Ricordate? Soltanto un mese fa l’Italia rischiava di far implodere l’Europa, gli Stati Uniti, la Cina, il mondo intero, se lo spread avesse superato i 500 punti con il bund e gli interessi sui titoli di Stato il 7%. Cose che sono puntualmente successe anche con Monti, il bocconiano, l’uomo del Colle, ma senza conseguenze a parte le tasse. Governo dei bocconiani quindi. Il terzo strato sono le banche, italiane e straniere, che rischiavano di veder diventare carta straccia le decine di miliardi di euro di titoli italiani acquistati. Governo delle banche allora, in particolare quelle francesi, dopate di Btp. Il quarto strato della cipolla è Banca Intesa, la più grande del Paese. Governo di Banca Intesa infine, con due esponenti di primissimo piano come Passera e la Fornero. Entrambi con un curriculum di tutto rispetto a favore dei lavoratori. Si è passati dal governo delle televisioni private di Mediaset a quello di Banca Intesa. Nulla è cambiato, tranne i beneficiari diretti.Beppe Scienza ci spiega nel suo Passaparola chi sono Passera e la Fornero (detta Frignero).
Intervento di Beppe Scienza, matematico ed economista,

Giorgio Bocca. I misfatti del mercato (globale)

Fonte: repubblica
Ricchezza e tecnologia per pochi e povertà e insicurezze per moltissimi, distruzione dell’ecosistema e crescita della delinquenza: questi, e troppi altri, gli effetti del neoliberismo globale che i padroni del mercato perpetrano a tutti i costi (altrui).

di Giorgio Bocca, da MicroMega

Nessuno sa quale sarà il futuro del mondialismo neoliberista, quali effetti sociali e politici avrà nei prossimi decenni. Ma nel presente alcune sue connotazioni sono di una feroce chiarezza. La prima è quella della forbice fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, che vale sia per i paesi avanzati che per il Terzo Mondo. La mitica marea del progresso che doveva sollevare tutte le barche non ha funzionato neppure nei dieci più ricchi paesi del pianeta. Negli ultimi quindici anni i profitti del capitale in questa area privilegiata sono aumentati del 300 e passa per cento, ma i salari dei lavoratori sono rimasti stazionari, solo perché le donne sono entrate in massa nella produzione. E si sono allargate le sacche di povertà: nella florida Francia, Secours Catholique assiste 800 mila famiglie, 600 mila persone sono senza casa, e a Milano – la più ricca città italiana, con una popolazione di un milione e mezzo di persone – 300 mila sono sulla soglia della povertà. Fra paesi ricchi e paesi poveri siamo a diversità abissali: il primato è toccato al rapporto Svizzera-Mozambico, passato in due secoli dal 5 al 400 a 1. Nell’America Latina e in Africa aumenta una povertà che si nasconde, che è quasi impossibile censire. Solo la metà del genere umano ha luce elettrica e telefono, un terzo ignora la tecnologia moderna, un miliardo di lavoratori ha paghe giornaliere inferiori alle 500 lire e anche nei paesi opulenti 160 milioni non superano le 2.000 lire.
Trentacinque disoccupati nel mondo povero, 8 in quello ricco, dove il paese più ricco, gli Stati Uniti, consuma 8 volte più energia che l’intera Africa.

Ricchi sempre più divisi dai poveri. Negli Stati Uniti ci sono 30 mila comunità blindate, circondate da muri e inferriate, guardate da uomini in armi. E quasi a misura della ricchezza aumentano la società penitenziaria e l’analfabetismo di ritorno. L’élite militare tecnologica progetta lo sbarco su Marte, ma i milioni del popolo basso corrono perennemente dietro le virtualità del nuovo mercato. È molto difficile definire il neoliberismo, che non si sa bene dove vada fra i successi dei pochi e le delusioni dei molti. Doveva ridurre il tempo del lavoro, ma nel più ricco Stato dell’Unione, la California, è aumentato rispetto a 15 anni fa di 5 ore la settimana. Lavorano ossessivamente anche quelli della società alta: orari e contabilità sono continuamente superati dalla corsa al profitto. Chi entra nella rete informatica deve essere raggiungibile in qualsiasi ora, il patriottismo aziendale non ammette eccezioni. Una tendenza costante della nuova società del profitto è di far ricadere sulla collettività spese e sprechi che sono della minoranza ricca. Non si contabilizzano l’aumento del lavoro e la diminuzione del salario dovuti alla flessibilità; in qualsiasi evento i profitti della pubblicità, che dipende dai padroni, sono enormemente più grandi di ciò che va alla comparsata. La trasmissione il Grande fratello è stata la metafora del banchetto di una rete televisiva e delle briciole rimaste ai poveretti che pensavano di salire nell’Olimpo passeggiando in mutande in una finta casa.
OCCAM'S RAZOR

lunedì 26 dicembre 2011

Guerrilla radio, il blog di Vittorio Arrigoni riprende la sua attività.

Fonte: senzasoste
La famiglia di Vittorio Arrigoni ha deciso, guerrillaradio tornerà a vivere. Il blog creato da Vittorio Arrigoni "contro l'accanimento terapeutico all'informazione moribonda veicolata dai grossi media che ormai sono tutti istituzionalizzati, lobotomizzati quindi a grancassa di una mediocre politica che non si vuole estinguere" rinascerà, perchè " rimanere immobili significa sostenere il genocidio". Dopo essersi a lungo interrogati su quanto Vittorio avrebbe preferito per il futuro di questo spazio così importante per lui, la famiglia di Vik ha deciso di fare in modo che guerrillaradio continui a dar voce ai testimoni di tutte le ingiustizie e delle negazioni dei diritti umani, ovunque esse si manifestino. Per continuare ad abbattere il complice muro del silenzio. Gli articoli verranno letti dalla famiglia di Vik e da alcuni fidati collaboratori, ne verranno verificati i contenuti e le generalità di chi li scrive. Solo allora, pubblicati. Considerato il ruolo cardinale che il blog di Vittorio ricopriva come organo di infomazione, la selezione sarà molto scrupolosa, e verranno pubblicati esclusivamente gli articoli ritenuti coerenti con i principi che hanno spinto Vik a dedicare la sua vita alla Palestina.Egidia Beretta, Alessandra Arrigoni

Corsa delle banche italiane all'asta Bce.

di Morya Longo da Sole24ore.com
Quando oggi la Banca centrale europea aprirà i rubinetti della liquidità, gli istituti di credito italiani potranno giocare jolly nuovi di zecca per «prelevare» denaro a Francoforte: le obbligazioni bancarie garantite dallo Stato previste dalla manovra del Governo Monti. Tutte le banche italiane sono già pronte a calare questo jolly, nella speranza di superare la pesante crisi di liquidità che le sta soffocando da mesi: già oggi, secondo le indiscrezioni raccolte dal «Sole 24 Ore», gli istituti italiani hanno a disposizione qualcosa come 50 miliardi di euro di questi nuovi titoli.
Li hanno già creati. Li hanno pronti all'uso. E li utilizzeranno già oggi per andare dalla Bce: questo significa che gli istituti italiani (dai big come Intesa e UniCredit, ai medi come Veneto Banca, Credito Valtellinese, Iccrea, Popolare di Vicenza e Popolare dell'Emilia) hanno la possibilità di prelevare da Francoforte 50 miliardi in più. E, in futuro, potranno arrivare a 228 miliardi di euro. Ecco la nuova 'medicina', artificiale, contro il credit crunch.

Il 'bancomat' della Bce
Per capire questa rivoluzione bisogna partire da Francoforte. La Bce organizza regolarmente delle operazioni di rifinanziamento: si tratta di momenti in cui tutte le banche d'Europa possono prendere in prestito, al tasso super-agevolato dell'1%, tutti i soldi che vogliono. Le quantità sono illimitate. C'è però un solo «paletto»: le banche devono consegnare alla Bce obbligazioni (titoli di Stato, ma anche bond bancari o aziendali) in garanzia per tutto il tempo della durata del finanziamento. Questo negli ultimi tempi è diventato un problema, perché i titoli da dare in garanzia iniziano a scarseggiare.

Ecco perché il Governo Monti (come in altri Paesi) è intervenuto. Ha dato alle banche la possibilità di emettere nuove obbligazioni, su cui lo Stato mette una garanzia senza aumentare il debito pubblico, per un importo massimo pari al patrimonio di vigilanza di ogni istituto. Dato che, secondo Bankitalia, il patrimonio totale delle banche italiane è pari a 228 miliardi di euro, a tanto potrebbero arrivare le nuove emissioni: gli istituti possono quindi creare «artificialmente» nuovi titoli, fino a tale importo, con il solo scopo di darli in garanzia alla Bce. Proprio oggi l'istituto di Francoforte, oltre alle tradizionali operazioni a tre mesi, organizzerà il primo finanziamento illimitato della durata di tre anni: per le banche c'è dunque l'imperdibile occasione di ottenere prestiti al tasso dell'1% di durata triennale.

«Medicina» anti-crisi
Per gli istituti di credito è come manna dal cielo. Oggi, a causa della bufera finanziaria, le banche italiane non riescono infatti a finanziarsi sul mercato obbligazionario. Ieri le obbligazioni triennali di Intesa e UniCredit quotavano con tassi d'interesse anche superiori al 7%: livelli proibitivi. Questo è un grave problema: l'anno prossimo - secondo i dati di Dealogic - gli istituti italiani dovranno infatti rimborsare obbligazioni per 78 miliardi di euro. Se non riuscissero a trovare finanziamenti sul mercato, o se li trovassero a tassi d'interesse da usura, l'intera economia del Paese rischierebbe di bloccarsi.
La Bce, invece, oggi offrirà finanziamenti triennali al tasso dell'1%. Per ottenerli, gli istituti dovranno consegnare titoli obbligazionari e/o i nuovi bond auto-prodotti e garantiti dallo Stato. Considerando i costi di questi nuovi titoli (bisogna pagare una commissione allo Stato che offre la garanzia), per le banche significa comunque finanziarsi a tre anni pagando un tasso lordo intorno al 2%: si tratta di un gran risparmio. Considerando che potranno «creare» nuovi bond per 228 miliardi, questo dovrebbe metterle al riparo per tutto il 2012: «Gli importi sono importanti» spiega l'avvocato Franco Grilli Cicilioni di Clifford Chance. «Questo significa che le banche potranno fare raccolta anche se il mercato obbligazionario dovesse restare chiuso». Insomma: la Bce potrà sostituirsi al mercato e finanziare in toto le banche italiane.

Effetti collaterali
Ma gli istituti potrebbero usare i soldi, prelevati dalla Bce anche grazie ai nuovi titoli, per farne altri usi. Non solo per rimborsare i propri titoli in scadenza, ma anche ‐ testimonia un banchiere ‐ «per ricomprare parte del proprio debito sul mercato a prezzi bassi». Ma le banche potrebbero anche fare altro (caldeggiate dalle stesse Autorità): utilizzare i finanziamenti della Bce (all'1%) per comprare BTp (che rendono il 6,5%). Questo avrebbe il merito di abbassare anche i rendimenti dei BTp e di dare un sollievo allo Stato. Ma avrebbe anche l'effetto collaterale di creare un corto circuito spaventoso: lo Stato mette la garanzia sui bond bancari, le banche li usano per finanziarsi in Bce e con i soldi comprano titoli dello stesso Stato. Non serve un genio per vedere, dietro questa «manna», una potenziale bomba.

Lo spread tocca di nuovo quota 500. Verso la manovra infinita.

Fonte: senzasoste
Già prima di natale possiamo fare un bilancio dell'incarico patriottico, fortemente voluto da Napolitano, al professor Mario Monti. Una manovra, la quarta di fatto in 5 mesi, molto dura, votata di gran fretta ha condotto l'Italia allo stesso punto in cui si trovava prima delle dimissioni di Berlusconi. A dimostrazione che la crisi, sia economica che finanziaria, non è solo italiana e che le manovre d'austerità, in un contesto globale, servono solo a deprimere l'economia e privare la società di elementari diritti (oltre che a tutelare i grandi capitali).

Il motivo per cui lo spread sale, aumentando il debito pubblico, è elementare e legato alle leggi del mercato. Nei primi mesi del 2012 l'Italia ha una quantità notevole di titoli pubblici in scadenza. Vanno collocati per rifinanziare la macchina dello stato. In queste settimane chi ha grosse masse finanziarie da poter muovere ha quindi tutto l'interesse a vendere titoli italiani oggi per poter alzare il loro valore quando verranno acquistati, di nuovo, a breve. Le scadenze tecniche dei primi tre mesi del 2012 mettono l'Italia in condizioni di non scegliere. I titoli scadranno e i nuovi tassi di interesse li farà il "mercato".
Va menzionato il fatto che da qualche giorno le grandi banche europee se vogliono, e vogliono, hanno maggiori finanziamenti per fare questo genere di operazioni di pilotaggio dei valori dei titoli pubblici italiani.
Già, chi li ha finanziate? L'italianissimo Mario Draghi giusto questa settimana nel sostanziale silenzio dei grandi media del nostro paese. E, guarda te il caso, la Bce oggi non è intervenuta contro la speculazione acquistando titoli italini per tenere più basso lo spread.
Si va quindi verso una manovra infinita: dettata dagli spread più alti, dalle previsioni di crescita sballate con le quali Tremonti ha firmato, per l'Italia, l'impegno al pareggio di bilancio nel 2013, dalle necessità di cassa di uno stato in un paese in piena recessione.
Se si potesse scommettere sull'andamento dei primi novanta giorni del 2012 si andrebbe sul sicuro. Nuove finanziarie patriottiche, nuovi appelli ai sacrifici, nuove prove di "responsabilità" dei partiti, nuovi attacchi al livello di vita della popolazione. Ma chi scommette c'è già: e lo fa ad un gioco che si chiama borsa. Dove noi finiamo per pagare sempre.

(red) 23 dicembre 2011

La luna di miele tra il mercato e il professore della Bocconi sembra destinata a concludersi qui. Con i rendimenti del decennale su livelli che hanno spinto gli altri Piigs a chiedere aiuti esterni, l'Italia incontrera' non poche difficolta' a collocare sul primario 440 miliardi di euro di debito nel 2012, di cui 250 miliardi da qui a febbraio.

http://www.wallstreetitalia.com/article/1293102/azionario/borsa-milano-e-paralisi-spread-al-top-sopra-510.aspx
COME ON, HURRY UP !

domenica 25 dicembre 2011

Crescita infinita?...

La fuga dalla realtà e il mito della crescita infinita
L’economia come disciplina specifica nacque alla fine del Settecento, assieme a numerose altre scienze come, ad esempio, la chimica. A partire dal quel momento l’economia coltivò, giustamente, il sogno di potersi dare regole e principi ispirandosi al modello della fisica newtoniana.
Un’aspirazione legittima nell’ambito del contesto in cui nacque. Ma i contesti cambiano e le conoscenze scientifiche mutano, si ampliano. L’economia, invece, una volta costituitasi in disciplina autonoma, iniziò ad ignorare (naturalmente a livello di orientamento dominante) gli avanzamenti delle ricerche sulla struttura e il funzionamento della natura.
Newton non avrebbe approvato. Nel corso dell’Ottocento, in particolare, l’economia non prestò particolare attenzione a due fondamentali rivoluzioni in ambito scientifico: la rinnovata conoscenza dei rapporti tra individuo e ambiente, in relazione allo sviluppo del concetto di evoluzione, e la nascita della termodinamica.
Così facendo gli economisti, pur continuando ad elaborare teorie e modelli matematici, mantennero un’immagine della realtà che corrispondeva sempre meno a quella descrivibile grazie agli sviluppi della fisica e della biologia.
Per questo motivo numerosi ed autorevoli studiosi hanno sostenuto uno stretto collegamento fra economia e follia. Kenneth Boulding ha pronunciato una frase destinata a diventare celebre: «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista».
Questa idea, infatti, come sappiamo ormai da un secolo e mezzo, non ha alcun fondamento scientifico ed è in totale disaccordo con una percezione corretta della mondo e della natura. Come ha ricordato non molto tempo fa Hermann Daly, la maggior parte degli economisti crede «che, visto che la crescita ci ha portato tanto lontano, potremo andare avanti all’infinito». Eppure, aggiunge Daly, «i fatti sono semplici e incontestabili: la biosfera è finita, non cresce, è chiusa (con l’eccezione del costante apporto di energia dal Sole), ed è regolata dalle leggi della termodinamica.
Qualunque sottosistema, come l’economia, a un certo punto deve smettere di crescere e adattarsi a un equilibrio dinamico, simile a uno stato stazionario» (H. Daly, L’economia in un mondo pieno, in «Le Scienze», n. 447, novembre 2005, p. 114).
Purtroppo, pare che l’esistenza della termodinamica sia ancora ignota alla maggior parte degli economisti, per non parlare dei politici: «è certo che la conoscenza del II Principio della Termodinamica potrebbe far ravvedere i sostenitori del grande bluff della crescita infinita e che un corso di termodinamica ben fatto sarebbe di grande beneficio per gli studenti di Economia, particolarmente per quelli che un giorno aspirassero a diventare Ministri» (N. Armaroli, V. Balzani, Energia oggi e domani. Prospettive, sfide, speranze, Bologna, Bononia University Press, 2004, p. 13.).
Tuttavia, come ha scritto Schumpeter, una nuova «visione» può «ricomparire nella storia di qualsiasi scienza, ogni qual volta qualcuno c’insegna a vedere le cose in una luce la cui sorgente non può esser trovata nei fatti, nei metodi e nei risultati della scienza già esistente» (J. A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica[1954], Torino, Bollatti Boringhieri, 1972, p. 50).
Anche l’economia può dunque cambiare, a patto che accetti la realtà del mondo in cui viviamo. La storia della scienza può offrirle un grande aiuto in questo senso.

Natale con Troisi.

In guerra contro i poveri.

di Frances Fox Piven * Fonte: nwoit
Dall'ideologia razzista alla war on drugs, passando per ogni deregulation finanziaria. Storia dello smantellamento del Welfare e dei programmi di assistenza governativa Oltre la metà dei bambini sotto i 6 anni con una madre single vive sotto la soglia di sopravvivenza. Per la destra, sono i nuovi nemici

Siamo in guerra da decenni ormai: non solo in Afghanistan o in Iraq ma qui, a casa. È una guerra contro i poveri, ma se non ve ne siete accorti non stupitevi. I giornali e i tg della sera qui non riferiscono spesso il bilancio dei caduti di questo conflitto. Per quanto devastante, la guerra contro i poveri è passata inosservata - finora.
Il movimento Occupy Wall Street (OWS) ha posto al centro della politica la concentrazione di ricchezza al vertice della società. Ora promette di fare altrettanto con la povertà in America.
Rendendo Wall Street un bersaglio simbolico, e definendosi un movimento del 99% della società, OWS ha puntato l'attenzione pubblica sulle diseguaglianze estreme, che ha presentato come un problema fondamentalmente morale. Fino a poco fa, per «morale» nella politica s'intendeva la liceità delle preferenze sessuali o i comportamenti personali del presidente. La politica economica, tra cui i tagli fiscali per i ricchi, le sovvenzioni e protezioni statali per le assicurazioni e le aziende farmaceutiche, la deregulation finanziaria, erano avvolte da una nuvola di propaganda o considerate troppo complesse per gli americani comuni.
Ora, d'incanto, la nebbia si è dissipata e la questione della moralità del capitalismo finanziario contemporaneo è divenuta centrale. I dimostranti sono riusciti in questo grazie soprattutto al potere simbolico delle loro azioni, scegliendo come nemico Wall Street, cuore del capitalismo finanziario, e accogliendo gli homeless e gli esclusi nelle loro occupazioni. Lo slogan «noi siamo il 99%» ha ribadito il messaggio che quasi tutti stiamo soffrendo delle smodate speculazioni di pochissimi profittatori (e non è lontano dalla realtà: l'aumento del reddito dell'1% più ricco negli Usa negli ultimi trent'anni è quasi pari alla perdita di reddito dell'80% più povero).
Soglie da fame
Alcuni fatti: all'inizio del 2011, il Us Bureau of Census (l'Istat americano) ha riferito che il 14,3% della popolazione Usa - cioè 47 milioni di persone (un americano su 6) - vive sotto la soglia ufficiale di povertà, fissata a 22.400 dollari annui per una famiglia di 4 persone. Circa 19 milioni vivono in «estrema povertà», cioè il loro reddito familiare è meno della metà della soglia di povertà. Oltre un terzo degli estremamente poveri sono bambini. Anzi: oltre la metà dei bambini sotto i 6 anni con una madre single sono poveri. Estrapolando da questi dati, Emily Monea e Isabel Sawhill della Brookings Istitution stimano che nel nostro futuro americano c'è un ulteriore, drastico aumento dei tassi di povertà e di povertà infantile.
WAR AND PEACE

sabato 24 dicembre 2011

Il debito spiegato ai cittadini

di Maria Lucia Fattorelli. Fonte: asudnet
Questo è il testo di riferimento della relazione presentata dall’autrice al Seminario sull’audit del debito organizzato a Liegi il 12 e13 dicembre scorso dal CADTM, il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo (www.cadtm.org). Il testo è stato tradotto da Aldo Zanchetta per la Campagna del congelamento del debito ed è disponibile anche sul sito della campagna: http://cnms.it/campagna_congelamento_debito.

Maria Lucia Fattorelli è coordinatrice dal 2001 dell’Audit cittadino del Brasile (www.divida-auditoriacidada.org.br); ha fatto parte della Commissione per l’Audit sul debito dell’Ecuador (2007-2008) ed è stata consigliera tecnica della Commissione di inchiesta parlamentare sul debito pubblico (2009-2010). Essa ringrazia Rodrigo Ávila, João Gabriel Pimentel Lopes e Laura Carneiro de Mello Senza per la loro collaborazione a questo articolo.

La recente crisi del debito negli Stati Uniti e le nuove informazioni sugli attuali problemi economici dei paesi europei rivelano il modo in cui il debito pubblico è stato utilizzato a beneficio del settore bancario e finanziario.

E’ necessario innanzi tutto sottolineare che il debito pubblico non è in sé un fatto negativo. Infatti dovrebbe trattarsi di un importante strumento di finanziamento delle politiche pubbliche, una delle ragioni per le quali gli Stati sono autorizzati a contrarre dei debiti, evidentemente sotto certi limiti e condizioni. I prestiti devono consentire di ottenere dei fondi che, sommati alle altre entrate fiscali, consentono al governo di svolgere il proprio ruolo soddisfacendo i bisogni di base della popolazione. Tuttavia molti studi, audit e inchieste hanno già rivelato che invece di contribuire al progresso delle politiche pubbliche, certe somme significative registrate come debito pubblico non corrispondono a denaro ottenuto mediante prestiti. Inoltre una gran parte del debito sovrano viene utilizzato per pagare interessi e ammortamenti di debiti precedenti la cui contropartita non è nota.

Si può identificare facilmente il problema principale: lo strumento del debito pubblico si trasforma in un mezzo di distrazione di risorse pubbliche. La mancanza di trasparenza in questi processi e la grande quantità di privilegi –sia a livello giuridico che finanziario, con numerose ramificazioni- consente di affermare che questo modello funziona come un “sistema debito” a beneficio di un settore ristretto dei mercati finanziari.

Il “sistema debito” è un affare molto redditizio. Il sistema finanziario privato è un complesso di attori depositari di una serie di privilegi giuridici, politici, finanziari e economici. Questi attori sono grandi imprese con alla loro testa grandi banche e potenti agenzie di rating.

Negli Stati uniti questo sistema si è recentemente mobilitato per salvare le banche dall’imminente rischio di fallimento. La dimensione di questo piano di salvataggio è stata rivelata il 21 luglio scorso dal senatore Bernie Sander[1] che ha presentato i risultati di un audit realizzato dal Government Accountability Office[2] (commissione di inchiesta del Congresso incaricata dell’esame della contabilità pubblica). Questo rapporto dimostra che la Federal Riserve (FED) fra il dicembre 2007 e il giugno 2010 ha speso circa 16.000 miliardi di dollari per i piani di salvataggio, ammontare trasferito direttamente (e segretamente ndt) alle banche e alle grandi imprese applicando un tasso di interesse vicino allo zero

Le rivelazioni di questo rapporto di audit governativo forniscono sicuramente uno degli esempi più rimarchevoli dei privilegi del settore finanziario la cui crisi ha costituito il primo passo dell’attuale crisi del debito sovrano non solo negli Stati uniti ma anche in Europa. Queste somme erogate dalla FED superano il totale del debito pubblico statunitense (stimato attualmente in 14.500 miliardi di dollari) e del prodotto nazionale lordo (14.300 miliardi di dollari nel 2010).

L’audit di questa operazione deve proseguire perchè mostra chiaramente come immensi debiti privati vengono trasformati in debiti pubblici. I principali beneficiari di queste erogazioni della FED sono, secondo il rapporto:

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