di Luca Galassi. Fonte: nazioneindiana
Elevare lo status del rappresentante palestinese in Italia a quello di ‘ambasciatore’ può essere un mero escamotage formale. Perchè, in sostanza, lo Stato palestinese non esiste. Che la formula sia “riconosciuta dal governo israeliano” è una conferma al gattopardesco rituale degli incontri diplomatici. Napolitano è stato ieri in visita in Israele e in Cisgiordania. Se al presidente palestinese ha promesso un nuovo rango per la sua feluca – “un altro regalo che ci fa l’Italia”, ha commentato in modo assai infelice Abu Mazen – agli israeliani Napolitano, nel corso dell’incontro a Gerusalemme dal titolo “Italia e Israele, da 150 anni insieme”, ha ricordato i legami storici tra Mazzini e Herzl. Perché Italia e Israele dovrebbero essere legati da 150 anni di storia, cultura, politica comune? Che c’entra il patriota italiano con il teorico e fondatore del sionismo?
Chi conosce la storia del sionismo e dello Stato di Israele risponderebbe senza esitazione: c’entrano molto poco. Eppure, metterli insieme, accomunarli in modo arbitrario, deliberato e sgangherato, sancire una comunità di ideali e di aspirazioni tra Mazzini e Herzl – oltreché far correre parallele le storie di due nazioni il cui processo di costruzione è agli antipodi – ha un suo preciso significato.
Per legittimarsi, il potere ha da sempre avuto bisogno di una genealogia. Se una comunità, un popolo, una nazione, non hanno forza, credito, sostegno, necessari a garantirsi l’esistenza (e il mantenimento di tale esistenza, ovvero la sopravvivenza), deve entrare in gioco una narrazione storica che si richiami a una mitologia. Genealogia e mitologia sono il lievito che, impastato alla teoria e all’ideologia politica, rende commestibile un pane altrimenti azzimo.
Ebbene, suo malgrado, Napolitano obbedisce a questo: alla fondazione di un mito e alla sua propaganda. Suo malgrado perché non sa quel che dice. Suo malgrado perché dice quello che gli dicono di dire. Nelle stanze delle istituzioni italiane si sta imponendo un processo di legittimazione dello Stato di Israele e della società israeliana che parte da una colossale mistificazione. E Napolitano è voce forse inconsapevole di tale processo.
Il presidente della Repubblica italiana ieri ha detto che la storia d’Italia e quella di Israele sono “intrecciate in modo speciale e ineludibile”, che “alla radice di entrambi i processi unitari c’è la coscienza di un’identità mai sopita”, che i ‘nostri’ sono “due popoli il cui destino appare intrecciato in nome di una storia così alta e ricca di idealità”, ha sostenuto che sia “la nazione mazziniana che il sionismo di Theodor Herzl sono ben lontani dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”. Ma soprattutto Napolitano ha detto che “il nostro Risorgimento fu fonte di ispirazione e di incoraggiamento per l’evolversi della coscienza ebraica nel senso della consapevolezza di rappresentare non più solo una comunità religiosa, ma un popolo e una nazione, e di dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina. Ma importante – conclude, come se non bastasse, il capo dello Stato italiano – agli albori del sionismo, fu la lezione, soprattutto, di Giuseppe Mazzini per suggerire un approccio alla questione nazionale che presentasse la più limpida impronta umanistica e universalistica”.
Non si capisce in che modo possano essere intrecciate le storie di due nazioni che si sono formate in modo completamente diverso: la prima con i moti carbonari, le Cinque giornate di Milano, la guerra di indipendenza contro gli occupanti borboni, austriaci, spagnoli, francesi. La seconda con l’acquisto e la presa di possesso violenta di una terra abitata da altri, con l’immigrazione illegale e la colonizzazione. La ‘storia’ così ‘alta e ricca di idealità’ che accomuna i due popoli è, per Israele, una storia di invasione e di occupazione. Esattamente il contrario di quella italiana, che è stata di liberazione. Se il sionismo di Herzl è “lontano dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”, chi potrà contestare che la costruzione della nazione israeliana ha avuto esiti disastrosi per settecentomila (secondo la moderna storiografia israeliana) palestinesi che abitavano la Palestina? Come poté il ‘nostro Risorgimento’ essere ‘ispirazione e incoraggiamento’ per l’evolversi di una coscienza ebraica intesa come rappresentazione di un ‘popolo’ e di una ‘nazione’, e di ‘dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina’? In che modo il nostro Risorgimento – che ha combattuto gli occupanti – avrebbe incoraggiato gli ebrei a diventare essi stessi occupanti, a mettere in fuga gli indigeni palestinesi, a diventare d’incanto un ‘popolo’ solo per ius soli, a formare la propria nazione su un territorio solo biblicamente ‘promesso’ (fatte salve le ‘rassicurazioni’ di Lord Balfour nel 1917), a plasmarlo in seguito a un’immigrazione continua e illegale, a generare una ‘nazione’ cosmopolita totalmente artificiale e ad espellerne con massacri i legittimi abitanti? Avrebbe Mazzini appoggiato tale operazione?
Non è difficile individuare gli ispiratori del discorso di Napolitano. Uno si chiama Luigi Compagna, è un senatore del Pdl e nel 2010 ha scritto un libro intitolato “Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele”, in cui sostiene pari pari le tesi enunciate da Napolitano. Compagna, presidente dal 2001 al 2006 del Comitato interparlamentare di amicizia Italia-Israele, è stato il relatore, nel 2005, di un Ddl per la ‘salvaguardia culturale del patrimonio ebraico’, poi diventato legge: un finanziamento di cinque milioni di euro nell’arco di tre anni. L’altro è Francesco Nucara, segretario del Pri e oggi nel Gruppo dei Responsabili, che affiancava Herzl a Mazzini nel suo discorso “La nascita dell’Italia indipendente e quella dello Stato di Israele”, tenuto al municipio di Sderot nel 2007. Tale discorso si concludeva così: “Gli occidentali hanno il dovere di difendere Israele, perché, come diceva lo scomparso leader La Malfa, ‘la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. Durante la visita del sindaco di Sderot alla sede del Pri, Nucara disse: “Noi difendiamo Israele perché è l’unica democrazia in tutto il Medio Oriente”. Nucara e Compagna sono entrambi esponenti della lobby ebraica in Italia. E sono entrambi massoni. Anche Mazzini era massone. Ma auspicava – riprendendo il discorso di Napolitano di ieri – “l’aspirazione a realizzare condizioni di pacifica e cooperativa convivenza fra nazioni”. Parole paradossali, se applicate allo Stato di Israele. Ma anche parole pericolose.
Pericolose perché mistificano. Pericolose perché, provenendo dalla più alta carica dello Stato italiano in missione diplomatica, rappresentano la linea di politica estera di un Paese e l’opinione del popolo di questo Paese. Avvalorando tesi che affratellano uno dei padri della patria italiana con l’ideologo del sionismo – in una subdola operazione di hasbara, di propaganda –, non solo si giustifica il sionismo, quello originario di Herzl e quello degenerato fino ai giorni nostri in forme ben più perniciose. Ma si reca ingiuria al pensiero liberale, democratico, laico, solidale e progressista di Mazzini. Al suo ossequio per i principi di giustizia sociale, di libertà, di pace. Alla sua fede nella autodeterminazione dei popoli. Di tutti i popoli, e non di uno soltanto.
Elevare lo status del rappresentante palestinese in Italia a quello di ‘ambasciatore’ può essere un mero escamotage formale. Perchè, in sostanza, lo Stato palestinese non esiste. Che la formula sia “riconosciuta dal governo israeliano” è una conferma al gattopardesco rituale degli incontri diplomatici. Napolitano è stato ieri in visita in Israele e in Cisgiordania. Se al presidente palestinese ha promesso un nuovo rango per la sua feluca – “un altro regalo che ci fa l’Italia”, ha commentato in modo assai infelice Abu Mazen – agli israeliani Napolitano, nel corso dell’incontro a Gerusalemme dal titolo “Italia e Israele, da 150 anni insieme”, ha ricordato i legami storici tra Mazzini e Herzl. Perché Italia e Israele dovrebbero essere legati da 150 anni di storia, cultura, politica comune? Che c’entra il patriota italiano con il teorico e fondatore del sionismo?
Chi conosce la storia del sionismo e dello Stato di Israele risponderebbe senza esitazione: c’entrano molto poco. Eppure, metterli insieme, accomunarli in modo arbitrario, deliberato e sgangherato, sancire una comunità di ideali e di aspirazioni tra Mazzini e Herzl – oltreché far correre parallele le storie di due nazioni il cui processo di costruzione è agli antipodi – ha un suo preciso significato.
Per legittimarsi, il potere ha da sempre avuto bisogno di una genealogia. Se una comunità, un popolo, una nazione, non hanno forza, credito, sostegno, necessari a garantirsi l’esistenza (e il mantenimento di tale esistenza, ovvero la sopravvivenza), deve entrare in gioco una narrazione storica che si richiami a una mitologia. Genealogia e mitologia sono il lievito che, impastato alla teoria e all’ideologia politica, rende commestibile un pane altrimenti azzimo.
Ebbene, suo malgrado, Napolitano obbedisce a questo: alla fondazione di un mito e alla sua propaganda. Suo malgrado perché non sa quel che dice. Suo malgrado perché dice quello che gli dicono di dire. Nelle stanze delle istituzioni italiane si sta imponendo un processo di legittimazione dello Stato di Israele e della società israeliana che parte da una colossale mistificazione. E Napolitano è voce forse inconsapevole di tale processo.
Il presidente della Repubblica italiana ieri ha detto che la storia d’Italia e quella di Israele sono “intrecciate in modo speciale e ineludibile”, che “alla radice di entrambi i processi unitari c’è la coscienza di un’identità mai sopita”, che i ‘nostri’ sono “due popoli il cui destino appare intrecciato in nome di una storia così alta e ricca di idealità”, ha sostenuto che sia “la nazione mazziniana che il sionismo di Theodor Herzl sono ben lontani dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”. Ma soprattutto Napolitano ha detto che “il nostro Risorgimento fu fonte di ispirazione e di incoraggiamento per l’evolversi della coscienza ebraica nel senso della consapevolezza di rappresentare non più solo una comunità religiosa, ma un popolo e una nazione, e di dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina. Ma importante – conclude, come se non bastasse, il capo dello Stato italiano – agli albori del sionismo, fu la lezione, soprattutto, di Giuseppe Mazzini per suggerire un approccio alla questione nazionale che presentasse la più limpida impronta umanistica e universalistica”.
Non si capisce in che modo possano essere intrecciate le storie di due nazioni che si sono formate in modo completamente diverso: la prima con i moti carbonari, le Cinque giornate di Milano, la guerra di indipendenza contro gli occupanti borboni, austriaci, spagnoli, francesi. La seconda con l’acquisto e la presa di possesso violenta di una terra abitata da altri, con l’immigrazione illegale e la colonizzazione. La ‘storia’ così ‘alta e ricca di idealità’ che accomuna i due popoli è, per Israele, una storia di invasione e di occupazione. Esattamente il contrario di quella italiana, che è stata di liberazione. Se il sionismo di Herzl è “lontano dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”, chi potrà contestare che la costruzione della nazione israeliana ha avuto esiti disastrosi per settecentomila (secondo la moderna storiografia israeliana) palestinesi che abitavano la Palestina? Come poté il ‘nostro Risorgimento’ essere ‘ispirazione e incoraggiamento’ per l’evolversi di una coscienza ebraica intesa come rappresentazione di un ‘popolo’ e di una ‘nazione’, e di ‘dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina’? In che modo il nostro Risorgimento – che ha combattuto gli occupanti – avrebbe incoraggiato gli ebrei a diventare essi stessi occupanti, a mettere in fuga gli indigeni palestinesi, a diventare d’incanto un ‘popolo’ solo per ius soli, a formare la propria nazione su un territorio solo biblicamente ‘promesso’ (fatte salve le ‘rassicurazioni’ di Lord Balfour nel 1917), a plasmarlo in seguito a un’immigrazione continua e illegale, a generare una ‘nazione’ cosmopolita totalmente artificiale e ad espellerne con massacri i legittimi abitanti? Avrebbe Mazzini appoggiato tale operazione?
Non è difficile individuare gli ispiratori del discorso di Napolitano. Uno si chiama Luigi Compagna, è un senatore del Pdl e nel 2010 ha scritto un libro intitolato “Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele”, in cui sostiene pari pari le tesi enunciate da Napolitano. Compagna, presidente dal 2001 al 2006 del Comitato interparlamentare di amicizia Italia-Israele, è stato il relatore, nel 2005, di un Ddl per la ‘salvaguardia culturale del patrimonio ebraico’, poi diventato legge: un finanziamento di cinque milioni di euro nell’arco di tre anni. L’altro è Francesco Nucara, segretario del Pri e oggi nel Gruppo dei Responsabili, che affiancava Herzl a Mazzini nel suo discorso “La nascita dell’Italia indipendente e quella dello Stato di Israele”, tenuto al municipio di Sderot nel 2007. Tale discorso si concludeva così: “Gli occidentali hanno il dovere di difendere Israele, perché, come diceva lo scomparso leader La Malfa, ‘la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. Durante la visita del sindaco di Sderot alla sede del Pri, Nucara disse: “Noi difendiamo Israele perché è l’unica democrazia in tutto il Medio Oriente”. Nucara e Compagna sono entrambi esponenti della lobby ebraica in Italia. E sono entrambi massoni. Anche Mazzini era massone. Ma auspicava – riprendendo il discorso di Napolitano di ieri – “l’aspirazione a realizzare condizioni di pacifica e cooperativa convivenza fra nazioni”. Parole paradossali, se applicate allo Stato di Israele. Ma anche parole pericolose.
Pericolose perché mistificano. Pericolose perché, provenendo dalla più alta carica dello Stato italiano in missione diplomatica, rappresentano la linea di politica estera di un Paese e l’opinione del popolo di questo Paese. Avvalorando tesi che affratellano uno dei padri della patria italiana con l’ideologo del sionismo – in una subdola operazione di hasbara, di propaganda –, non solo si giustifica il sionismo, quello originario di Herzl e quello degenerato fino ai giorni nostri in forme ben più perniciose. Ma si reca ingiuria al pensiero liberale, democratico, laico, solidale e progressista di Mazzini. Al suo ossequio per i principi di giustizia sociale, di libertà, di pace. Alla sua fede nella autodeterminazione dei popoli. Di tutti i popoli, e non di uno soltanto.
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