Sigmar Gabriel, capo del
partito socialdemocratico tedesco, ha invitato il filosofo Jürgen Habermas a
partecipare alla stesura del nuovo programma elettorale per le elezioni del
2014
Il risultato è un contributo,
scritto in collaborazione con il filosofo Nida-Rümelin e l’economista Peter
Bofinger, apparso sulle pagine del Frankfurter Allgemeine Zeitung lo scorso
agosto. Sono due i punti chiave che traspaiono sin dalle prime battute: la
critica alla gestione della crisi da parte del governo tedesco, definita “senza
prospettiva”, e la volontà di passare da una “democrazia di facciata”, lasciata
in balìa dei mercati finanziari, a una reale integrazione politica che sappia
rispettare la promessa del modello sociale europeo e dare all’Europa un peso
adeguato nel concerto politico mondiale, a cui le singole entità nazionali
dovrebbero altrimenti rinunciare.
La crisi ha origini ben
precise che il governo di Berlino non sembra aver individuato, affermano i tre
accademici. L’euro rimane una valuta stabile e il debito europeo complessivo è
minore di quello giapponese e americano. La crisi è causata da un mancato
sistema di protezione a livello comunitario per quei paesi con elevato debito
pubblico che faticano a rifinanziarsi sul mercato a causa degli elevati tassi
di interesse. A dispetto degli impegni presi con i programmi di salvataggio il
governo tedesco non ha avuto il coraggio di affrontare quei problemi
strutturali di governance economica che affliggono l’Unione monetaria, portando
la Grecia sull’orlo del fallimento e Italia, Spagna e Portogallo in grave
recessione. Le misure di austerità imposte ai paesi in crisi per accedere al
fondo di salvataggio hanno solamente aggravato le già deboli economie
nazionali. Una corretta strategia anticrisi prevede invece risposte sistemiche
a problemi sistemici. Occorre quindi che una grande potenza economica come
l’Eurozona assuma il ruolo che le compete con un consolidamento del processo di
integrazione verso un sempre maggiore coordinamento delle politiche fiscali, in
modo da ridurre gli squilibri finanziari tra gli stati membri, invece di
lasciare tale compito a misure di recupero temporanee che minano la solidarietà
tra le popolazioni.
Mai come ora torna di
attualità lo slogan della lotta per l’indipendenza americana, No taxation
without representation, aggiungono i tre studiosi. Occorrono istituzioni che
garantiscano che il legislatore democraticamente eletto sia in grado di
decidere delle politiche fiscali europee, tanto dell’imposizione dei tributi
quanto della loro ripartizione. Il governo tedesco, in quanto maggior
contribuente, dovrebbe inoltre guidare l’iniziativa per un processo costituente
europeo che passi attraverso misure di legittimazione popolare. Solo una
risposta positiva a tale quesito potrà legittimare l’utilizzo di strumenti
economici adeguati a restituire ai popoli d’Europa la sovranità sottratta dai
mercati finanziari. Tali cambiamenti saranno i fondamenti di un nuovo nucleo
monetario europeo, aperto a nuovi stati come la Polonia, tuttavia non orientato
al modello federalista.
La crisi economica ha
risvegliato l’interesse delle grandi masse. “È stata la prima volta nella
storia del capitalismo che una crisi causata dalle banche viene pagata dai
contribuenti” tuonano le pagine del Frankfurter Allgemeine. È il momento,
concludono i tre professori, di una discussione aperta e di ampio respiro sul
ruolo dell’Europa nel nuovo corso della storia mondiale.
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